I falchi di Helsinki sono i
principali alleati in politica monetaria della Bundesbank, ma l'eccesso
di rigore ha messo in crisi un intero sistema economico ed industriale
alimentando le tensioni sociali. Il Paese è in recessione da tre anni e
l'export è crollato

I negoziati erano stati promossi dal nuovo governo di destra - composto dai conservatori guidati dal premier ed ex imprenditore di successo Juha Sipilae, e dai nazionalpopulisti antieuro xenofobi ed euroscettici (Perussuomalaiset, i finnici autentici) del ministro degli Esteri, Timo Soini. Sul tavolo della trattativa tra esecutivo, sindacati e datori di lavoro erano diverse ipotesi per ridurre il costo del lavoro, aumentare la produttività, introdurre più flessibilità sul fronte dell'occupazione. Ma nei giorni scorsi, il tentativo è fallito: le posizioni restano troppo rigide e lontane.
La conseguenza a breve termine è che a questo punto il governo andrà avanti da solo a colpi di decreti legge per tagliare il costo del lavoro con l'obiettivo prioritario di far tornare competitive le esportazioni, drammaticamente ridotte ad anni-luce di distanza dal competitivissimo export d'eccellenza dei partner nordici, a cominciare dalla Svezia che con una politica espansiva ispirata alla strategia di Mario Draghi e con la concertazione ormai arriva a ricavare il 50 per cento del Pil dall'export d'eccellenza industriale, ipertecnologico e internettiano. Ma questa situazione non convince gli economisti: "Ci aspettavamo un compromesso, adesso rischiamo un'ondata di scioperi di protesta contro tagli a welfare, ferie pagate e congedi-malattia, un'ondata di scioperi che colpirà comunque l'economia nazionale", ha detto alla Reuters l'economista Aki Kangasharju di Nordea. "Il piano del governo è buono a lungo termine, ma a breve le agitazioni e tensioni sociali avranno un pesante effetto negativo".
La Finlandia è sempre stato il più povero dei cinque paesi nordici (gli altri sono Svezia Norvegia Danimarca e Islanda) ma negli ultimi tempi la situazione si è aggravata. Il paese ha ancora un rating a tripla A, ma a rischio. E' in recessione da tre anni, a causa sia della crisi russa e del calo dell'export verso il grande vicino ma soprattutto per l'ostinazione con cui ogni governo ha seguito una politica di rigore estremo (appoggiando i falchi Bundesbank nell'Eurozona contro l'Europa mediterranea e la Francia), politica ben diversa da quella svedese. Stoccolma infatti è riuscita con un mix di riforme e austerità negoziate con le parti sociali a ridurre in dodici anni il debito sovrano dal 100 al 35-40 per cento del Pil, ed essendo esterna all'Eurozona può permettersi un disavanzo primario del 2 per cento con cui finanzia scuole università e ricerca tecnologica e scientifica, i motori dell'export d'eccellenza.
In Finlandia l'ultima ondata di scioperi risale al lontano 1991, e fu lanciata appunto contro tagli alle prestazioni sociali. Adesso il paese rischia un nuovo shock del genere. Mentre sul piano politico, con i populisti membri del governo che si accaniscono non solo contro i migranti (rifiutando di aiutare ad accoglierne la Svezia sovraffollata) bensì persino contro la minoranza svedese, tradizionalmente élite del paese. A cui i Perussuomalaiset sognano persino di togliere il bilinguismo ufficiale. Misura che sarebbe un colpo duro in più all'economia, visto che la Svezia è il partner chiave. Se dunque un altro paese dell'Eurozona entrerà in rischio grave, non immaginatevelo nel Mediterraneo.
rassegna stampa la repubblica 6 dicembre 2015 - di Andrea Tarquini