Siena, Ambrogio Lorenzetti: il buon governo |
Durante le innumerevoli assemblee dei lavoratori fatte nelle unità produttive ed in altre realtà lavorative, si percepisce la comune necessità dei lavoratori di essere considerati non come un semplice centro di costo, ma principalmente come delle persone, e per quanto riguarda l'attività strettamente lavorativa , una ricchezza per l'azienda in quanto la propria professionalità il proprio lavoro e le proprie capacità, sono gli unici elementi che permettono all'azienda di produrre reddito.
Il cosidetto " Costo del lavoro" in un'ottica di sana economia è il giusto compenso per una attività professionale ed un ottimo investimento per l'azienda.
Tutto questo sia i docenti Universitari che le società di revisione come la McKinsey forse non lo sanno o peggio pur sapendolo lo ignorano. Quello che è peggio è che anche il management delle grandi aziende sembra ignorare la ricchezza che ha nei propri dipendenti.
In un mercato in cui difficilmente le aziende riusciranno a migliorare i propri bilanci massimizzando i ricavi, anche e soprattutto in virtù di un futuro calo dei tassi d'interesse e in un periodo economico di quasi recessione, è matematico che le aziende ricercano l'utile riducendo i costi. Ma prorpio in virtù del fatto che non considerano il personale una loro ricchezza, vanno ad incidere sullo stesso, prepensionandolo esternalizzandolo limitandone i riconoscimenti economici ecc.
Tutto questo senza rendersi conto, o forse , coscienti che stanno colpendo la parte produttiva dei costi, quella cioè che può garatire nel futuro i possibili ricavi e quella tanto sbandierata sostenibilità economica.
Contemporaneamente restano però in piedi tutti quei costi, spesso non regolamentati da alcun tipo di contratto, come i salari incentivanti, le campagne acquisto ecc. che portano alle odiose pressioni commerciali e spesso alla perdita di fiducia della clientela nei confronti delle aziende commerciali e di servizio a cui assistiamo sempre più spesso.
Cambiare tutto questo non è semplice ne tanto meno fattibile in breve periodo, ma per far ciò è necessario che ognuno di noi, nella nostra vita privata come sul lavoro si riappropri del proprio ruolo di persona, che non può e non deve essere condizionato dal " mercato ", dando valore a se stessi alle proprie esigenze di persona di padre di famiglia, considerando il cliente una persona come noi, e non un soggetto da spolpare in nome di una redditività che se mai avrà dei benefici non saranno certo ripartiti tra i lavoratori sempre più spessi depredati dal proprio " giusto salario".
per gentile concessione di F.P
Siena, Ambrogio Lorenzetti: il buon governo |
l'approfondimento:
dalla Laborem Exercens
Diritti degli uomini del lavoro
Rimanendo ancora nella prospettiva dell'uomo come soggetto del lavoro, ci conviene toccare, almeno sinteticamente, alcuni problemi che definiscono più da vicino la dignità del lavoro umano, poiché permettono di caratterizzare più pienamente il suo specifico valore morale. Occorre far questo tenendo sempre davanti agli occhi quella vocazione biblica a «soggiogare la terra»14, nella quale si è espressa la volontà del Creatore, perché il lavoro rendesse possibile all'uomo di raggiungere quel «dominio» che gli è proprio nel mondo visibile.La fondamentale e primordiale intenzione di Dio nei riguardi dell'uomo, che Egli «creò ... a sua somiglianza, a sua immagine»15, non è stata ritrattata né cancellata neppure quando l'uomo, dopo aver infranto l'originaria alleanza con Dio, udì le parole: «Col sudore del tuo volto mangerai il pane»16. Queste parole si riferiscono alla fatica a volte pesante, che da allora accompagna il lavoro umano; però, non cambiano il fatto che esso è la via sulla quale l'uomo realizza il «dominio», che gli è proprio, sul mondo visibile «soggiogando» la terra. Questa fatica è un fatto universalmente conosciuto, perché universalmente sperimentato. Lo sanno gli uomini del lavoro manuale, svolto talora in condizioni eccezionalmente gravose. Lo sanno non solo gli agricoltori, che consumano lunghe giornate nel coltivare la terra, la quale a volte «produce pruni e spine»17, ma anche i minatori nelle miniere o nelle cave di pietra, i siderurgici accanto ai loro altiforni, gli uomini che lavorano nei cantieri edili e nel settore delle costruzioni in frequente pericolo di vita o di invalidità. Lo sanno, al tempo stesso, gli uomini legati al banco del lavoro intellettuale, lo sanno gli scienziati, lo sanno gli uomini sui quali grava la grande responsabilità di decisioni destinate ad avere vasta rilevanza sociale. Lo sanno i medici e gli infermieri, che vigilano giorno e notte accanto ai malati. Lo sanno le donne,che, talora senza adeguato riconoscimento da parte della società e degli stessi familiari, portano ogni giorno la fatica e la responsabilità della casa e dell'educazione dei figli. Lo sanno tutti gli uomini del lavoro e, poiché è vero che il lavoro è una vocazione universale, lo sanno tutti gli uomini.Eppure, con tutta questa fatica - e forse, in un certo senso, a causa di essa - il lavoro è un bene dell'uomo. Se questo bene comporta il segno di un «bonum arduum», secondo la terminologia di San Tommaso18, ciò non toglie che, come tale, esso sia un bene dell'uomo. Ed è non solo un bene «utile» o «da fruire», ma un bene «degno», cioè corrispondente alla dignità dell'uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce. Volendo meglio precisare il significato etico del lavoro, si deve avere davanti agli occhi prima di tutto questa verità. Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo».Senza questa considerazione non si può comprendere il significato della virtù della laboriosità, più particolarmente non si può comprendere perché la laboriosità dovrebbe essere una virtù: infatti, la virtù, come attitudine morale, è ciò per cui l'uomo diventa buono in quanto uomo19. Questo fatto non cambia per nulla la nostra giusta preoccupazione, affinché nel lavoro, mediante il quale la materia viene nobilitata, l'uomo stesso non subisca una diminuzione della propria dignità20. E noto, ancora, che è possibile usare variamente il lavoro contro l'uomo, che si può punire l'uomo col sistema del lavoro forzato nei lager, che si può fare del lavoro un mezzo di oppressione dell'uomo, che infine si può in vari modi sfruttare il lavoro umano, cioè l'uomo del lavoro. Tutto ciò depone in favore dell'obbligo morale di unire la laboriosità come virtù con l'ordine sociale del lavoro, che permetterà all'uomo di «diventare più uomo» nel lavoro, e non già di degradarsi a causa del lavoro, logorando non solo le forze fisiche (il che, almeno fino a un certo grado, e inevitabile), ma soprattutto intaccando la dignità e soggettività, che gli sono proprie.
III - Il conflitto tra lavoro e capitale nella presente fase storica
11. Dimensioni di tale conflittoL'abbozzo della fondamentale problematica del lavoro qual è stato delineato sopra, come si riferisce ai primi testi biblici, così costituisce, in un certo senso, la stessa struttura portante dell'insegnamento della Chiesa, che si mantiene immutato attraverso i secoli, nel contesto delle varie esperienze della storia. Tuttavia, sullo sfondo delle esperienze che hanno preceduto la pubblicazione dell'Enciclica Rerum Novarum e che l'hanno seguita, esso acquista una particolare espressività ed un'eloquenza di viva attualità. Il lavoro appare in questa analisi come una grande realtà, che esercita un fondamentale influsso sulla formazione in senso umano del mondo affidato all'uomo dal Creatore, ed è una realtà strettamente legata all'uomo, come al proprio soggetto, ed al suo razionale operare. Questa realtà, nel corso normale delle cose, riempie la vita umana e incide fortemente sul suo valore e sul suo senso. Anche se unito con la fatica e con lo sforzo, il lavoro non cessa di essere un bene, sicché l'uomo si sviluppa mediante l'amore per il lavoro. Questo carattere del lavoro umano, del tutto positivo e creativo, educativo e meritorio, deve costituire il fondamento delle valutazioni e delle decisioni, che oggi si prendono nei suoi riguardi, anche in riferimento ai diritti soggettivi dell'uomo, come attestano le Dichiarazioni internazionali ed anche i molteplici Codici del lavoro, elaborati sia dalle competenti istituzioni legislative dei singoli Paesi, sia dalle Organizzazioni che dedicano la loro attività sociale o anche scientifico-sociale alla problematica del lavoro. Un organismo che promuove a livello internazionale tali iniziative è l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, la più antica Istituzione specializzata dell'ONU.Nella parte successiva delle presenti considerazioni ho intenzione di ritornare in modo più dettagliato su questi importanti problemi, ricordando almeno gli elementi fondamentali della dottrina della Chiesa intorno a questo tema. Prima però conviene toccare un cerchio molto importante di problemi, tra i quali si e venuto formando questo insegnamento nell'ultima fase, cioè nel periodo, la cui data, in un certo senso simbolica, è l'anno della pubblicazione dell'Enciclica Rerum Novarum.È noto che in tutto questo periodo, il quale non è affatto ancora terminato, il problema del lavoro è stato posto in base al grande conflitto, che nell'epoca dello sviluppo industriale ed insieme con esso si è manifestato tra il «mondo del capitale» e il «mondo del lavoro», cioè tra il gruppo ristretto, ma molto influente, degli imprenditori, proprietari o detentori dei mezzi di produzione, e la più vasta moltitudine di gente che era priva di questi mezzi, e che partecipava, invece, al processo produttivo esclusivamente mediante il lavoro. Tale conflitto è stato originato dal fatto che i lavoratori mettevano le loro forze a disposizione del gruppo degli imprenditori, e che questo, guidato dal principio del massimo profitto della produzione, cercava di stabilire il salario più basso possibile per il lavoro eseguito dagli operai. A ciò bisogna aggiungere anche altri elementi di sfruttamento, collegati con la mancanza di sicurezza nel lavoro ed anche di garanzie circa le condizioni di salute e di vita degli operai e delle loro famiglie.Questo conflitto, interpretato da certuni come un conflitto socio-economico a carattere di classe, ha trovato la sua espressione nel conflitto ideologico tra il liberalismo, inteso come ideologia del capitalismo, ed il marxismo, inteso come ideologia del socialismo scientifico e del comunismo, che pretende di intervenire in veste di portavoce della classe operaia, di tutto il proletariato mondiale. In questo modo il reale conflitto, che esisteva tra il mondo del lavoro ed il mondo del capitale, si è trasformato nella lotta programmata di classe, condotta con metodi non solo ideologici, ma addirittura, e prima di tutto, politici. È nota la storia di questo conflitto, come note sono anche le richieste dell'una e dell'altra parte. Il programma marxista, basato sulla filosofia di Marx e di Engels, vede nella lotta di classe l'unica via per l'eliminazione delle ingiustizie di classe, esistenti nella società, e delle classi stesse. L'attuazione di questo programma premette la collettivizzazione dei mezzi di produzione, affinché, mediante il trasferimento di questi mezzi dai privati alla collettività, il lavoro umano venga preservato dallo sfruttamento.A questo tende la lotta condotta con metodi non solo ideologici, ma anche politici. I raggruppamenti, ispirati dall'ideologia marxista come partiti politici, tendono, in funzione del principio della «dittatura del proletariato» ed esercitando influssi di vario tipo, compresa la pressione rivoluzionaria, al monopolio del potere nelle singole società, per introdurre in esse, mediante l'eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione, il sistema collettivistico. Secondo i principali ideologi e capi di questo ampio movimento internazionale, lo scopo di un tale programma di azione è quello di compiere la rivoluzione sociale e di introdurre in tutto il mondo il socialismo e, in definitiva, il sistema comunista.Toccando questo cerchio estremamente importante di problemi, che costituiscono non solo una teoria, ma proprio un tessuto di vita socio-economica, politica e internazionale della nostra epoca, non si può e non è nemmeno necessario entrare in particolari, poiché questi sono conosciuti sia grazie ad una vasta letteratura, sia in base alle esperienze pratiche. Si deve, invece, risalire dal loro contesto al problema fondamentale del lavoro umano, al quale sono dedicate soprattutto le considerazioni contenute nel presente documento. Al tempo stesso, infatti, è evidente che questo problema capitale, sempre dal punto di vista dell'uomo - problema che costituisce una delle fondamentali dimensioni della sua esistenza terrena e della sua vocazione -, non può essere altrimenti spiegato se non tenendo conto del pieno contesto della realtà contemporanea.
Ioannes Paulus PP. II
Laborem exercens