Europa, attacco al welfare
La crisi ha fatto la sua vittima finale. Dopo aver colpito, in ordine di tempo, la finanza, l' economia reale, il lavoro e i conti pubblici ora è il momento del welfare. La vera grande conquista dell' Europa nella seconda metà del ventesimo secolo è a rischio. A deciderlo sono stati i mercati, che hanno impresso una terribile accelerazione alla necessità di ridurre i deficit degli stati e la mannaia inesorabilmente sta calando su pensioni e sanità, assistenza ed educazione. Siamo solo all' inizio, ma intanto sono caduti i primi tabù.Il primo ministro francese Francois Fillon, in un messaggio agli altri componenti del governo nel quale delinea i contorni di un provvedimento per ridurre del 10 per cento in tre anni le spese per l' assistenza, testualmente scrive che le revisioni riguarderanno in particolare «i dispositivi legati a regole di individuazione automatica o i diritti acquisiti». E' una prima volta. Fino ad oggi i «diritti acquisiti» erano considerati materia intoccabile: ebbene, non lo sono più. E' un' altra delle poche certezze rimaste a cadere. Il secondo tabù è la riduzione dei salarinominali. Dal 1930 in poi non era mai successo, era l' inflazione a provvedere alla bisogna, erodendo mese dopo mese e anno dopo anno il potere di acquisto di salari e stipendi dei paesi meno competitivi, i salari reali crescevano ma il loro valore reale diminuiva. Ora non ci sarà più neanche l' illusione ottica di vedere i numeri in busta paga salire. Scenderanno invece, bruscamente e brutalmente. Lo hanno già deciso per i dipendenti pubblici l' Irlanda, la Grecia, la Spagna, la Romania e probabilmente lo farà anche il Portogallo. La lista dei provvedimenti già presi dai paesi più esposti è impressionante. Atene ha deciso di ridurre del 20 per cento gli stipendi dei dipendenti pubblici, del 10 per cento le pensioni e di aumentare da 61 a 65 anni l' età per il ritiro dal lavoro. Madrid ha tagliato gli stipendi dei dipendenti dell' amministrazione del 5 per cento, ha congelato le pensioni, ha cancellato il contributo di 2 mila 500 euro alle famiglie con un nuovo nato, ha ridotto la spesa sanitaria ed eliminato la retroattuività degli aiuti ai non autosufficienti. Si discute di un
aumento dell' età pensionabile da 65 a 67 anni. Lisbona aumenta le tasse
Indignados a Wall Street |
tassazione sui capital gain dal 18 al 40 per cento. Sarebbe assai
difficile colmare i buchi di bilancio puntando soltanto sulle fasce privilegiate della popolazione, perché sono più ristrette e il gettito non sarebbe sufficiente. Si pone tuttavia un problema di legittimazione e di sostenibilità politica dei sacrifici chiesti alle classi meno abbienti. Il sociologo Luciano Gallino, uno dei maggiori studiosi italiani delle tematiche del lavoro, la mette così: «Nell' arco degli ultimi 25 anni nei paesi Ocse tra 8 e 12 punti di pil si sono spostati dal lavoro alla rendita. Che si chieda adesso di pagare ancora a chi ha avuto già una riduzione così forte della sua partecipazione alla ricchezza prodotta, ci dice che qualcosa non quadra nel sistema politico dell' Occidente». Gallino pone anche un altro problema: «La quota dei lavoratori poveri, ovvero di coloro che hanno una attività ma il cui salario è inferiore ai due terzi del reddito medio è del 27 per cento negli Stati Uniti, del 23 per cento in Germania, del 18 per cento in Olanda. Se anche nei paesi più ricchi abbiamo un quarto della popolazione che lavora ed è povera, pensare di strizzarla ancora comporta un rischio serio di stabilità sociale».
C' è peraltro da ricordare che mentre i tagli agli stipendi e al welfare sono stati decisi assai rapidamente, la tassazione degli intermediari finanziari, quelli che hanno fatto miliardi creando la bolla, hanno poi scaricato i loro rischi sui debiti pubblici facendoli esplodere e poi si sono messi a fare altri miliardi attaccando i paesi che li avevano salvati, ancora non decolla. Ci sono sul tavolo tre proposte la Financial Stability Contribution, una piccola tassa proporzionale al debito delle istituzioni finanziarie; la Financial Activity Tax, una sorta di iva che tassi i profitti delle imprese finanziarie e i bonus dei loro manager; la Financial Transaction Tax, un prelievo tra lo 0,1 e lo 0,01 sulle transazioni finanziarie internazionali ma le banche salvate con i soldi dei contribuenti si dimostrano assai più forti dei contribuenti stessi e le decisioni su questo fronte non sembrano imminenti. Il welfare non sfuggirà al suo destino. Volando alto, qualcuno dice che messa in mezzo tra il modello americano e quello cinese, l' Europa deve fare la sua parte per adeguarsi se non vuole rimanere stritolata: il welfare bisogna poterselo permettere e non è dalle tasse, che in Europa sono decisamente più alte che negli altri continenti, che può venire la soluzione. Scendendo più in basso quello che conta sono i numeri, i quali ci dicono che il sistema europeo di protezione sociale era già in tensione assai prima del crack della Lehman Brothers e di quello che ne è seguito. L' Aging Working Group dell' Unione Europea, da tempo sta valutando gli effetti della demografia sulla tenuta del welfare nel vecchio continente e ancora nel 2006, prima cioè della crisi, i risultati delle sue analisi non erano confortanti. Ad una valutazione prudenziale il solo effetto demografico, ovvero l' invecchiamento della popolazione, avrebbe determinato nei prossimi cinquant' anni un aumento del peso del welfare sul pil di oltre quattro punti percentuali.
Speciale TG2, ore 20.30 del 18/12/11
- vivere al tempo della crisi: in Grecia -
Ovviamente la crisi ha peggiorato le cose, perché il pil è diminuito, e quindi anche se la spesa fosse rimasta costante il suo peso sulla ricchezza prodotta sarebbe aumentato. Il rapporto del gruppo di lavoro presentato nel 2009 ne tiene conto e infatti la situazione si aggrava. Anche se l' Italia è tra i paesi per i quali è prevista una delle correzioni più basse, solo il 2 per cento contro per esempio l' 8,9 per cento della Spagna e il 16 per cento della Grecia, ma anche il 2,7 della Francia e il 2,6 della Germania o il 5,1 della Gran Bretagna. Scendendo ancora più in basso, al di sotto cioè delle tendenze di lungo periodo e andando invece a guardare i comportamenti dei singoli stati, si scorgono in questo epilogo triste responsabilità che non sono della demografia né della crisi ma delle scelte politiche di governi e maggioranze che hanno usato la spesa pubblica per costruire consenso e per tenere in piedi con lo strumento più facile, il debito, economie poco competitive. E' accaduto all' Italia degli anni ' 70 e soprattutto ' 80, quelli delle baby pensioni, delle assunzioni di massa nella pubblica amministrazione, delle pensioni d' invalidità usate come strumento di clientela e di sostegno sociale, ed è accaduto in Grecia nel primo decennio di questo millennio complicato, con l' ombrello dell' euro che teneva bassi i tassi e i trucchi contabili che nascondevano i buchi, mentre lo stato e gli enti locali assumevano a man bassa e le pensioni non si negavano a nessuno. Non era grasso da distribuire, era debito che veniva distribuito, e ora che il debito bisogna pagarlo si deve tornare indietro. Eliminare le rendite che ci sono nei sistemi pubblici e nel welfare è una operazione doverosa, che l' Italia in parte ha fatto e che deve completare, e che altri paesi devono rapidamente cominciare a fare. Ma attenzione, subito dopo c' è la carne viva della società, quella che quando si arriva a toccarla fa male davvero. - MARCO PANARA
Speciale TG2, ore 20.30 del 18/12/11
- vivere al tempo della crisi: in Spagna ed Irlanda -
nb:
- nel 2006 il PIL procapite nell'Unione Europea era di 28.000 $ per abitante (la 1° nel mondo)
- 45 milioni sono i disoccupati nei paesi più sviluppati (dati OCSE febbraio 2012)
- 18 milioni sono i disoccupati nella sola Eurozona record dal 2004
- 120 Milioni a rischio povertà in Europa, pari al 24,2% della popolazione europea (dati Eurostat per il 2011).
- in 10 anni di euro si calcola che sia diminuito del -40% il potere d'acquisto degli italiani
- 10 milioni sono gli italiani con una pensione minima, sociale, e/o d'invalidità
- nel 2010 l'avanzo primario dell'INPS è stato di 5 miliardi di euro
Tg2 - del 2/12/2011- ore 20,30 -
l'Italia nel rapporto del CENSIS
Banche italiane ancora sotto attacco
Fabio Pavesi
Ormai è come il gioco del gatto con il topo. Con il gatto (gli investitori) che ad ogni seduta va a caccia, nell'unico modo che conosce cioè vendendo, di quel topolino rappresentato ormai dalle banche italiane che continuano a perdere valore di Borsa. Una sorta di stillicidio continuo in cui non c'è spazio per nessuna logica razionale.
Non contano i dati di bilancio. Se le banche in questione faranno quest'anno utili o meno. Se quegli utili saranno in linea con il 2010 o più sotto. Se i margini saranno in caduta libera o meno. Tutto questo alla Borsa non interessa. Non in questa fase. Il problema è che questa fase ormai sembra un dato strutturale, poichè si trascina dall'estate scorsa e di fatto viaggia pari pari con l'assillante aumento degli spread dei titoli governativi italiani sull'inossidabile (per ora) Bund tedesco. Si prenda a titolo d'esempio la giornata di ieri. Non solo UniCredit ha visto ancora una brusca caduta sia del valore del titolo (-12,8% a 2,286 euro) che dei diritti (-65,4% a 0,47 euro). Una caduta che ha sorpreso molto gli osservatori dato che già settimana scorsa il titolo si era allineato al prezzo scontato dell'aumento da 7,5 miliardi.
Lo scacco delle ricapitalizzazioni
Ma se UniCredit non smette di scendere, causa ricapitalizzazione, che c'entrano Monte dei Paschi di Siena e Banco Popolare o Ubi banca? Siena ha perso addirittura il 14,4% e quota sotto i 20 centesimi. Banco Popolare ha lasciato sul terreno il 5,3% a 83 centesimi e Ubi ha chiuso ieri a -3%. La risposta è automatica: per tutte e tre l'Eba ha chiesto di rafforzare il patrimonio. E allora il gioco del gatto con il topo trova una sua perversa ragion d'essere. Se si sa da mesi che le prime 5 banche italiane (solo Intesa esclusa) devono ricorrere al mercato, il gioco di abbassarne le quotazioni diventa un gioco da ragazzi.
Meno il titolo vale, più è conveniente aderire. Si media il valore di carico delle azioni. Il mercato è impietoso in questo, ma va detto che aver da mesi annunciato la necessità di aumentare il capitale è stata la miccia ideale per muovere la scommessa al ribasso.
Il paradosso: cade anche chi non deve ricapitalizzare
Se la ricapitalizzazione da 15 miliardi per il sistema bancario italiano spinge il mercato a muoversi in senso ribassista, che c'entrano le banche che non hanno necessità di mezzi freschi? IntesaSanpaolo è tra queste. Eppure ieri il titolo è scivolato del 3,17% a 1,1 euro.
Ma ha perso anche la tranquilla, e isolata dallo tsunami finanziario, Banca Popolare di Sondrio in calo dell'1,4%.
E Mediobanca? L'istituto italiano con il più alto Core Tier 1 e che certo non deve ricorrere al mercato è caduta ieri del 6,9% a quota 3,82 euro. Come si vede è ormai un'ecatombe collettiva. Che ha poco a che fare con i fondamentali.
Si attaccano le banche per attaccare l'Italia
Intesa capitalizzava ieri 17,6 miliardi. Dovrebbe fare secondo gli analisti oltre 2 miliardi di utili netti nel 2011 e 2,3 miliardi nel 2012. La banca ha un patrimonio di 59 miliardi di euro. È a rischio questo patrimonio valutato dal mercato meno del 30%? No, perchè la banca continua a fare profitti e non ci sarà prevedibilmente nessuna erosione di capitale l'anno prossimo. E allora come si vede i fondamentali non servono più a nulla. Perchè vendere Intesa se non ha problemi nè di capitale nè di liquidità nè tantomeno di profittabilità?
La ragione per Intesa, come per le altre non sottoposte al giogo delle ricapitalizzazioni, è che sotto attacco c'è l'Italia e quell'attacco è fatto attraverso le sue banche e i suoi titoli di Stato. Si dice che pesano i 150 miliardi di BTp in pancia alle prime 5 banche. Ma quei BTp, come ha dimostrato nei giorni scorsi Il Sole-24Ore, per una buona metà vanno a scadenza entro settembre di quest'anno a un valore di 100. Quindi nessun rischio di perdite per i bilanci delle banche. Si è detto che c'è un problema di rifinanziamento. Ma anche questo non è vero, avendo le banche italiane asset esigibili presso la Bce per più del doppio delle scadenze di debito che devono affrontare. E allora il gatto va a caccia del topo perchè gioca contro l'Italia. Un gioco perverso: UniCredit con la caduta del valore ha visto di fatto già vanificato il suo aumento di capitale in corso.
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condiviso link da ilSole24ore del 10 gennaio 2012
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dalla Laborem Exercens
Ioannes Paulus PP. IIDopo aver delineato il ruolo importante, che l'impegno di dare un'occupazione a tutti i lavoratori ha al fine di garantire il rispetto degli inalienabili diritti dell'uomo in considerazione del suo lavoro, conviene toccare più da vicino questi diritti, i quali, in definitiva, si formano nel rapporto tra il lavoratore e il datore di lavoro diretto. Tutto ciò che è stato detto finora sul tema del datore di lavoro indiretto ha come scopo di precisare più da vicino proprio questi rapporti mediante la dimostrazione di quei molteplici condizionamenti, nei quali essi indirettamente si formano. Questa considerazione, però, non ha un significato puramente descrittivo; essa non è un breve trattato di economia o di politica. Si tratta di mettere in evidenza l'aspetto deontologico e morale. Il problema-chiave dell'etica sociale, in questo caso, è quello della giusta remunerazione per il lavoro che viene eseguito. Non c'è nel contesto attuale un altro modo più importante per realizzare la giustizia nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, di quello costituito appunto dalla remunerazione del lavoro. Indipendentemente dal fatto che questo lavoro si effettui nel sistema della proprietà privata dei mezzi di produzione oppure in un sistema, nel quale questa proprietà ha subìto una specie di «socializzazione», il rapporto tra il datore di lavoro (prima di tutto diretto) e il lavoratore si risolve in base al salario, cioè mediante la giusta remunerazione del lavoro che è stato eseguito.Occorre anche rilevare come la giustizia di un sistema socio-economico e, in ogni caso, il suo giusto funzionamento meritino, in definitiva, di essere valutati secondo il modo in cui il lavoro umano è in quel sistema equamente remunerato. A questo punto arriviamo di nuovo al primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale, e cioè al principio dell'uso comune dei beni. In ogni sistema, senza riguardo ai fondamentali rapporti esistenti tra il capitale e il lavoro, il salario, cioè la remunerazione del lavoro, rimane una via concreta, attraverso la quale la stragrande maggioranza degli uomini può accedere a quei beni che sono destinati all'uso comune: sia beni della natura, sia quelli che sono frutto della produzione. Gli uni e gli altri diventano accessibili all'uomo del lavoro grazie al salario, che egli riceve come remunerazione per il suo lavoro. Di qui, proprio il giusto salario diventa in ogni caso la concreta verifica della giustizia di tutto il sistema socio-economico e, ad ogni modo, del suo giusto funzionamento. Non è questa l'unica verifica, ma è particolarmente importante ed è, in un certo senso, la verifica-chiave.Questa verifica riguarda soprattutto la famiglia. Una giusta remunerazione per il lavoro della persona adulta, che ha responsabilità di famiglia è quella che sarà sufficiente per fondare e mantenere degnamente una famiglia e per assicurarne il futuro. Tale remunerazione può realizzarsi sia per il tramite del cosiddetto salario familiare - cioè un salario unico dato al capo-famiglia per il suo lavoro, e sufficiente per il bisogno della famiglia, senza la necessità di far assumere un lavoro retributivo fuori casa alla coniuge -, sia per il tramite di altri provvedimenti sociali, come assegni familiari o contributi alla madre che si dedica esclusivamente alla famiglia, contributi che devono corrispondere alle effettive necessità, cioè al numero delle persone a carico per tutto il tempo che esse non siano in grado di assumersi degnamente la responsabilità della propria vita.L'esperienza conferma che bisogna adoperarsi per la rivalutazione sociale dei compiti materni, della fatica ad essi unita e del bisogno che i figli hanno di cura, di amore e di affetto per potersi sviluppare come persone responsabili, moralmente e religiosamente mature e psicologicamente equilibrate. Tornerà ad onore della società rendere possibile alla madre - senza ostacolarne la libertà, senza discriminazione psicologica o pratica, senza penalizzazione nei confronti delle sue compagne - di dedicarsi alla cura e all'educazione dei figli secondo i bisogni differenziati della loro età. L'abbandono forzato di tali impegni, per un guadagno retribuitivo fuori della casa, è scorretto dal punto di vista del bene della società e della famiglia, quando contraddica o renda difficili tali scopi primari della missione materna26.In tale contesto si deve sottolineare che, in via più generale, occorre organizzare e adattare tutto il processo lavorativo in modo che vengano rispettate le esigenze della persona e le sue forme di vita, innanzitutto della sua vita domestica, tenendo conto dell'età e del sesso di ciascuno. È un fatto che in molte società le donne lavorano in quasi tutti i settori della vita. Conviene, però, che esse possano svolgere pienamente le loro funzioni secondo l'indole ad esse propria, senza discriminazioni e senza esclusione da impieghi dei quali sono capaci, ma anche senza venir meno al rispetto per le loro aspirazioni familiari e per il ruolo specifico che ad esse compete nel contribuire al bene della società insieme con l'uomo. La vera promozione della donna esige che il lavoro sia strutturato in tal modo che essa non debba pagare la sua promozione con l'abbandono della propria specificità e a danno della famiglia, nella quale ha come madre un ruolo insostituibile.Accanto al salario, qui entrano in gioco ancora varie prestazioni sociali, aventi come scopo quello di assicurare la vita e la salute dei lavoratori e quella della loro famiglia. Le spese riguardanti le necessità della cura della salute, specialmente in caso di incidenti sul lavoro, esigono che il lavoratore abbia facile accesso all'assistenza sanitaria, e ciò, in quanto possibile, a basso costo, o addirittura gratuitamente. Un altro settore, che riguarda le prestazioni, è quello collegato al diritto al riposo: prima di tutto, si tratta qui del regolare riposo settimanale, comprendente almeno la Domenica, ed inoltre un riposo più lungo, cioè le cosiddette ferie una volta all'anno, o eventualmente più volte durante l'anno per periodi più brevi. Infine, si tratta qui del diritto alla pensione e all'assicurazione per la vecchiaia ed in caso di incidenti collegati alla prestazione lavorativa. Nell'ambito di questi diritti principali, si sviluppa tutto un sistema di diritti particolari, che insieme con la remunerazione per il lavoro decidono della corretta impostazione di rapporti tra il lavoratore e il datore di lavoro. Tra questi diritti va sempre tenuto presente quello ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi, che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro integrità morale.
Laborem exercens