Indignados a Washington |
dal DISCORSO DEL CARDINALE ANGELO SCOLA, ARCIVESCOVO DI MILANO
PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITÀ
PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITÀ
dell’ORDINAZIONE DI SANT’AMBROGIO VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA
2. La “crisi economica e finanziaria” nel presente travaglio
Entrare nei meandri della crisi economica e finanziaria è, per la stragrande maggioranza dei cittadini, un’impresa impervia. Qualsiasi analisi appena un po’ meno che generica diventa presto inintelligibile al profano. Così il discorso economico, e ancor più quello finanziario, si è fatto lontanissimo dalla possibilità di comprensione di coloro che pure ne sono i destinatari e gli attori finali, cioè tutti.
È necessario che l’economia e la finanza, senza ovviamente prescindere dal loro livello specialistico, non rinuncino mai ad esplicitare quello elementare ed universale. Tutti debbono poter capire, almeno a grandi linee, la “cosa” con cui economia e finanza hanno a che fare. Ciò è necessario perché ognuno non solo possa difendere i propri diritti, ma sappia soprattutto assumersi consapevolmente le proprie responsabilità in riferimento alla costruzione del bene comune anche attraverso sacrifici e rinnovati impegni. Non si può inoltre accettare una riflessione e una pratica dell’economia che prescinda da una lettura culturale complessiva che inevitabilmente implica un’antropologia e un’etica.
A questo proposito mi sembra decisiva la prospettiva con cui si sceglie di guardare all’odierna situazione. Parlare di crisi economico-finanziaria per descrivere l’attuale frangente di inizio del Terzo millennio non è sufficiente. A mio giudizio la crisi del momento presente chiede di essere letta e interpretata in termini di travaglio e di transizione.
Questo tempo in cui la Provvidenza ci chiama più che mai ad agire da co-agonisti nel guidare la storia è simile a quello di un parto, una condizione di sofferenza anche acuta, ma con lo sguardo già rivolto alla vita nascente: «La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16, 21). Il travaglio del parto esige però dalla donna l’impegno di tutta la sua energia umana. Così anche noi, cittadini immersi nella crisi economico-finanziaria,
siamo chiamati a metterci in gioco, impegnando tutta la nostra energia personale e comunitaria14. Il domani avrà un volto nuovo se rifletterà la nostra speranza di oggi. Una “speranza affidabile” deve quindi guidare le nostre decisioni e la nostra operosità15.
3. Allargare la “ragione economica” e la “ragione politica”
Parlare di travaglio e non limitarsi a parlare di crisi economico-finanziaria, vuol dire non fermarsi alle pur necessarie misure tecniche per far fronte alle gravi difficoltà che stiamo attraversando.
Secondo molti esperti la radice della cosiddetta crisi starebbe nel rovesciamento del rapporto tra sistema bancario-finanziario ed economia reale. Le banche sarebbero state spinte a dirottare molte risorse che avevano in gestione (e quindi anche il risparmio delle famiglie) verso forme di investimento di tipo puramente finanziario. Anche a proposito della nostra città si è potuto affermare: a Milano è rimasta solo la finanza.
Non spetta a me confermare o meno tale diagnosi. Voglio, invece, far emergere un dato che reputo decisivo: nonostante l’ostinato tentativo di mettere tra parentesi la dimensione antropologica ed etica dell’attività economico-finanziaria, in questo momento di grave prova il peso della persona e delle sue relazioni torna testardamente a farsi sentire.
Prima di offrire qualche suggerimento in vista della necessaria ricentratura antropologica ed etica dell’economia - domandata a ben vedere dalla stessa ragione economica - è giusto riconoscere, 14 Come ha ricordato il Santo Padre «la complessità e gravità dell'attuale situazione economica giustamente ci preoccupa, ma dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore. La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative.
La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente», BENEDETTO XVI, Caritas in veritate 21. 15 Cf. BENEDETTO XVI, Spe salvi 1.
4. come da più parti si è fatto, che la radice patologica della crisi sta nella mancanza di fiducia e di coesione.
Dalla crisi si esce solo insieme, ristabilendo la fiducia vicendevole. E questo perché un approccio individualistico non rende ragione dell’esperienza umana nella sua totalità. Ogni uomo, infatti, è sempre un “io-in-relazione”. Per scoprirlo basta osservarci in azione: ognuno di noi, fin dalla nascita, ha bisogno del riconoscimento degli altri. Quando siamo trattati umanamente, ci sentiamo pieni di gratitudine e il presente ci appare carico di promessa per il futuro. Con questo sguardo fiducioso diventiamo capaci di assumere compiti e di fare, se necessario, sacrifici.
Da qui è bene ripartire per ricostruire un’idea di famiglia, di vicinato, di città, di paese, di Europa, di umanità intera, che riconosca questo dato di esperienza, comune - nella sua sostanziale semplicità - a tutti gli uomini.
Non basta la competenza fatta di calcolo e di esperimento. Per affrontare la crisi economicofinanziaria occorre anche un serio ripensamento della ragione, sia economica che politica, come ripetutamente ci invita a fare il Papa. È davvero urgente liberare la ragione economico-finanziaria dalla gabbia di una razionalità tecnocratica e individualistica di cui, con la crisi, abbiamo potuto toccare con mano i limiti. Ed è altrettanto urgente liberare la ragione politica dalle secche di una realpolitik incapace di capire il cambiamento e coglierne le sfide. La politica, nell’attuale impasse nazionale e nel monco progetto europeo, ha bisogno di una rinnovata responsabilità creativa perché la società non può fare a meno del suo compito di impostazione e di guida.
A questa assunzione di responsabilità da parte della politica deve corrispondere l’accettazione, da parte di tutti i cittadini, dei sacrifici che l’odierna situazione impone. Per sollevare la nazione è necessario il contributo di tutti, come succede in una famiglia: soprattutto in tempi di grave emergenza ogni membro è chiamato, secondo le sue possibilità, a dare di più. Chi ha il compito istituzionale di imporre sacrifici dovrà però farlo con criteri obiettivi di giustizia ed equità inserendoli in una prospettiva di sviluppo integrale (Caritas in veritate) che non si misura solo con la pur indicativa crescita del PIL.
È necessario che l’economia e la finanza, senza ovviamente prescindere dal loro livello specialistico, non rinuncino mai ad esplicitare quello elementare ed universale. Tutti debbono poter capire, almeno a grandi linee, la “cosa” con cui economia e finanza hanno a che fare. Ciò è necessario perché ognuno non solo possa difendere i propri diritti, ma sappia soprattutto assumersi consapevolmente le proprie responsabilità in riferimento alla costruzione del bene comune anche attraverso sacrifici e rinnovati impegni. Non si può inoltre accettare una riflessione e una pratica dell’economia che prescinda da una lettura culturale complessiva che inevitabilmente implica un’antropologia e un’etica.
A questo proposito mi sembra decisiva la prospettiva con cui si sceglie di guardare all’odierna situazione. Parlare di crisi economico-finanziaria per descrivere l’attuale frangente di inizio del Terzo millennio non è sufficiente. A mio giudizio la crisi del momento presente chiede di essere letta e interpretata in termini di travaglio e di transizione.
Questo tempo in cui la Provvidenza ci chiama più che mai ad agire da co-agonisti nel guidare la storia è simile a quello di un parto, una condizione di sofferenza anche acuta, ma con lo sguardo già rivolto alla vita nascente: «La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16, 21). Il travaglio del parto esige però dalla donna l’impegno di tutta la sua energia umana. Così anche noi, cittadini immersi nella crisi economico-finanziaria,
siamo chiamati a metterci in gioco, impegnando tutta la nostra energia personale e comunitaria14. Il domani avrà un volto nuovo se rifletterà la nostra speranza di oggi. Una “speranza affidabile” deve quindi guidare le nostre decisioni e la nostra operosità15.
3. Allargare la “ragione economica” e la “ragione politica”
Parlare di travaglio e non limitarsi a parlare di crisi economico-finanziaria, vuol dire non fermarsi alle pur necessarie misure tecniche per far fronte alle gravi difficoltà che stiamo attraversando.
Secondo molti esperti la radice della cosiddetta crisi starebbe nel rovesciamento del rapporto tra sistema bancario-finanziario ed economia reale. Le banche sarebbero state spinte a dirottare molte risorse che avevano in gestione (e quindi anche il risparmio delle famiglie) verso forme di investimento di tipo puramente finanziario. Anche a proposito della nostra città si è potuto affermare: a Milano è rimasta solo la finanza.
Non spetta a me confermare o meno tale diagnosi. Voglio, invece, far emergere un dato che reputo decisivo: nonostante l’ostinato tentativo di mettere tra parentesi la dimensione antropologica ed etica dell’attività economico-finanziaria, in questo momento di grave prova il peso della persona e delle sue relazioni torna testardamente a farsi sentire.
Prima di offrire qualche suggerimento in vista della necessaria ricentratura antropologica ed etica dell’economia - domandata a ben vedere dalla stessa ragione economica - è giusto riconoscere, 14 Come ha ricordato il Santo Padre «la complessità e gravità dell'attuale situazione economica giustamente ci preoccupa, ma dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore. La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative.
La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente», BENEDETTO XVI, Caritas in veritate 21. 15 Cf. BENEDETTO XVI, Spe salvi 1.
Indignados a Roma |
4. come da più parti si è fatto, che la radice patologica della crisi sta nella mancanza di fiducia e di coesione.
Dalla crisi si esce solo insieme, ristabilendo la fiducia vicendevole. E questo perché un approccio individualistico non rende ragione dell’esperienza umana nella sua totalità. Ogni uomo, infatti, è sempre un “io-in-relazione”. Per scoprirlo basta osservarci in azione: ognuno di noi, fin dalla nascita, ha bisogno del riconoscimento degli altri. Quando siamo trattati umanamente, ci sentiamo pieni di gratitudine e il presente ci appare carico di promessa per il futuro. Con questo sguardo fiducioso diventiamo capaci di assumere compiti e di fare, se necessario, sacrifici.
Da qui è bene ripartire per ricostruire un’idea di famiglia, di vicinato, di città, di paese, di Europa, di umanità intera, che riconosca questo dato di esperienza, comune - nella sua sostanziale semplicità - a tutti gli uomini.
Non basta la competenza fatta di calcolo e di esperimento. Per affrontare la crisi economicofinanziaria occorre anche un serio ripensamento della ragione, sia economica che politica, come ripetutamente ci invita a fare il Papa. È davvero urgente liberare la ragione economico-finanziaria dalla gabbia di una razionalità tecnocratica e individualistica di cui, con la crisi, abbiamo potuto toccare con mano i limiti. Ed è altrettanto urgente liberare la ragione politica dalle secche di una realpolitik incapace di capire il cambiamento e coglierne le sfide. La politica, nell’attuale impasse nazionale e nel monco progetto europeo, ha bisogno di una rinnovata responsabilità creativa perché la società non può fare a meno del suo compito di impostazione e di guida.
A questa assunzione di responsabilità da parte della politica deve corrispondere l’accettazione, da parte di tutti i cittadini, dei sacrifici che l’odierna situazione impone. Per sollevare la nazione è necessario il contributo di tutti, come succede in una famiglia: soprattutto in tempi di grave emergenza ogni membro è chiamato, secondo le sue possibilità, a dare di più. Chi ha il compito istituzionale di imporre sacrifici dovrà però farlo con criteri obiettivi di giustizia ed equità inserendoli in una prospettiva di sviluppo integrale (Caritas in veritate) che non si misura solo con la pur indicativa crescita del PIL.
5. Favorire le pratiche virtuose già in atto
Nel quadro delle considerazioni antropologiche, etiche e culturali accennate, è opportuno individuare percorsi esistenti in cui impegnarsi sia a livello personale che comunitario. Sono iniziative virtuose che, non a caso, ci stanno domandando un cambiamento degli stili di vita e delle politiche sociali ed economiche.
Lavoro, impresa e finanza
I cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, dell’impresa e della finanza esigono un ripensamento del significato del lavoro stesso e dello sviluppo e un’attenzione reale ai loro protagonisti.
Il lavoro, nel suo senso profondo, dice l’interagire della persona con le cose, con gli altri, con il grande mistero di Dio, che non smette mai di agire nei confronti del creato, come non a caso Gesù dice del Padre (cf. Gv 5,17). Il lavoro remunerato, e il tanto non remunerato, deve essere difeso con opportune politiche che favoriscano la libera intrapresa.
Anche un profano riesce a far proprie le indicazioni degli esperti in proposito. Occorre che obiettivo primario di queste politiche sia la rivalutazione della responsabilità personale tanto dei lavoratori quanto degli imprenditori, la creazione di nuovi servizi che favoriscano la crescita professionale e affianchino a percorsi di riqualificazione e formazione un sostegno economico e, infine, la valorizzazione e la creazione di spazi di partecipazione. Perché non riprendere in seria considerazione la proposta che tutti i lavoratori abbiano parte agli utili di impresa?
Gli esperti insistono poi sulla necessità di politiche di sostegno al sistema che opera attorno all’impresa in modo che sia accresciuto il livello qualitativo dei prodotti, il rafforzamento dei patrimoni, la promozione dell’esportazione e il cosiddetto “welfare aziendale”.
Nel quadro delle considerazioni antropologiche, etiche e culturali accennate, è opportuno individuare percorsi esistenti in cui impegnarsi sia a livello personale che comunitario. Sono iniziative virtuose che, non a caso, ci stanno domandando un cambiamento degli stili di vita e delle politiche sociali ed economiche.
Lavoro, impresa e finanza
I cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, dell’impresa e della finanza esigono un ripensamento del significato del lavoro stesso e dello sviluppo e un’attenzione reale ai loro protagonisti.
Il lavoro, nel suo senso profondo, dice l’interagire della persona con le cose, con gli altri, con il grande mistero di Dio, che non smette mai di agire nei confronti del creato, come non a caso Gesù dice del Padre (cf. Gv 5,17). Il lavoro remunerato, e il tanto non remunerato, deve essere difeso con opportune politiche che favoriscano la libera intrapresa.
Anche un profano riesce a far proprie le indicazioni degli esperti in proposito. Occorre che obiettivo primario di queste politiche sia la rivalutazione della responsabilità personale tanto dei lavoratori quanto degli imprenditori, la creazione di nuovi servizi che favoriscano la crescita professionale e affianchino a percorsi di riqualificazione e formazione un sostegno economico e, infine, la valorizzazione e la creazione di spazi di partecipazione. Perché non riprendere in seria considerazione la proposta che tutti i lavoratori abbiano parte agli utili di impresa?
Gli esperti insistono poi sulla necessità di politiche di sostegno al sistema che opera attorno all’impresa in modo che sia accresciuto il livello qualitativo dei prodotti, il rafforzamento dei patrimoni, la promozione dell’esportazione e il cosiddetto “welfare aziendale”.
Si tratta di realtà già in atto nel nostro tessuto lombardo che chiedono di essere ulteriormente potenziate.
Parlare di lavoro e impresa a Milano non significa solo riconoscere il consistente contributo all’economia “reale”, ossia alla produzione dei beni e dei servizi. Milano ha anche un determinante ruolo finanziario e quindi ha una speciale vocazione, oggi decisiva, per ripensare e rigenerare il lavoro nell’ambito della finanza.
Sia l’economia reale, sia la finanza hanno bisogno del “ben fatto”, cioè del “bello”, del “buono”. Lo sapevano bene i nostri artigiani. Questo è il senso profondo del richiamo al gratuito - da non confondere col “gratis” - contenuto nella Caritas in veritate.
Nel caso della finanza, in particolare, è davvero urgente che chi vi opera e chi la studia, chi la commenta e chi ne fruisce, maturino la consapevolezza che quello della finanza è – per sua natura –
un patto potente e delicato, che serve realmente lo sviluppo quando crea relazioni solide e stabili nel tempo. L’appiattimento sul breve periodo dell’orizzonte di chi fa finanza e la spersonalizzazione dei rapporti finanziari, non “pagano” realmente. Anzi, l’esperienza ci insegna che hanno già ripetutamente portato il sistema a momenti critici. Il mercato non deve essere concepito come un
moloch che non può essere scalfito: esso non è un fatto di natura, ma di cultura.
Parlare di lavoro e impresa a Milano non significa solo riconoscere il consistente contributo all’economia “reale”, ossia alla produzione dei beni e dei servizi. Milano ha anche un determinante ruolo finanziario e quindi ha una speciale vocazione, oggi decisiva, per ripensare e rigenerare il lavoro nell’ambito della finanza.
Sia l’economia reale, sia la finanza hanno bisogno del “ben fatto”, cioè del “bello”, del “buono”. Lo sapevano bene i nostri artigiani. Questo è il senso profondo del richiamo al gratuito - da non confondere col “gratis” - contenuto nella Caritas in veritate.
Nel caso della finanza, in particolare, è davvero urgente che chi vi opera e chi la studia, chi la commenta e chi ne fruisce, maturino la consapevolezza che quello della finanza è – per sua natura –
un patto potente e delicato, che serve realmente lo sviluppo quando crea relazioni solide e stabili nel tempo. L’appiattimento sul breve periodo dell’orizzonte di chi fa finanza e la spersonalizzazione dei rapporti finanziari, non “pagano” realmente. Anzi, l’esperienza ci insegna che hanno già ripetutamente portato il sistema a momenti critici. Il mercato non deve essere concepito come un
moloch che non può essere scalfito: esso non è un fatto di natura, ma di cultura.