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UN LABORATORIO DI PENSIERO E RIFLESSIONE FATTO DAI LAVORATORI:
il diario della crisi

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la Proposta: proviamo a pensare ad uno strumento utile per:



Pensiamo ad uno strumento per poter partecipare alle assemblee degli azionisti, studiamo cosa è meglio predisporre, che tipo di ente fondare e che nome dargli?
Prima di essere totalmente estromessi della nostra dignità di lavoratori!!!


BASILEA 1, 2 E 3 …

COUNTDOWN PER ALTRI FUTURI ESUBERI?

In data 8.11.10 l’OSSERVATORIO CREDITO/FINANZA DELLA FIBA TOSCANA ha presentato i dati relativi all’ “Analisi, valutazione e comparazione dei dati di bilancio e delle politiche aziendali” del sistema bancario nel Territorio della Toscana.

Un dato comune che emergeva dalla comparazione dei dati di bilancio relativi agli anni 2007-2008-2009 era quello di una generalizzata diminuzione del MARGINE DA CLIENTELA (che arrivava anche ad una flessione del -25%) , in dipendenza dei diminuiti volumi e dalla contrazione degli impieghi nel periodo considerato.

Ma tale dato risultava più accentuato e differenziato a seconda della grandezza dei gruppi bancari analizzati.

Ad esempio la CR Firenze (gruppo Intesa) nel periodo considerato vedeva tanto più aumentare la diminuzione dei Margini da clientela con il diminuire degli impieghi erogati ( anche dei mutui) rispetto a banche medio piccole del territorio che al contrario non avevano avuto una contrazione in percentuale analoga degli impieghi.

Tale andamento pertanto manifestava la dinamica di una perdita non solo di redditività, ma anche di una perdita di quote di mercato delle banche più grandi a favore delle banche medie e piccole della Toscana.

In contemporanea si notava che il ROE diminuiva in corrispondenza di un aumento delle rettifiche su perdite su crediti e non per il costo del personale.

In data 5 novembre 2010 usciva il report di BOFA (Banca d’America) su Unicredit che riteniamo sia interessante da considerare, in tale report gli analisti evidenziavano come "Sulla base dei nostri dati - spiegano gli analisti - emerge come Unicredit stia perdendo soldi in Italia, un caso unico fra le banche italiane". …

“…Guardando alle ragioni per cui Unicredit perde soldi in Italia, gli analisti di Bofa osservavano come cio' sia dovuto a un costo del credito doppio per la banca rispetto agli altri istituti italiani, 150 punti base contro 75 punti base. "Non ci e' chiaro perche' l'esposizione sul mercato del credito domestico differisca rispetto alle altre banche italiane che hanno una composizione delle attivita' simile". Una delle ipotesi e' che "Unicredit abbia fatto accantonamenti superiori alla media o, per converso, che le altre banche, ne abbiano fatti troppo pochi".

Gli analisti di Bofa, per il caso Unicredit, mettono a fuoco quali sono le cause di questa perdita di redditività e competività sul mercato domestico e del costo del credito doppio rispetto al sistema delle banche italiane che hanno una composizione delle attività simile ( “150 punti base contro 75 punti base”). e che non imputano ad un elevato costo del personale ma che al contrario "Unicredit abbia fatto accantonamenti superiori alla media o, per converso, che le altre banche, ne abbiano fatti troppo pochi".

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Ebbene cosa emergeva inoltre nell’analisi dell’Osservatorio della Fiba Toscana? che la riduzione degli impieghi, della contrazione dei Margini da clientela, dei relativi aumenti degli accantonamenti per perditi su crediti, della conseguente diminuzione di redditività e relativa perdita di quote di mercato erano indiscutibilmente correlate e che se variavano da banca a banca non solo per le relative dimensioni, e con ampie differenziazioni tra banche grandi e banche piccole, anche tra le stesse Banche medie e piccole la contrazione della reddititività collegata alla contrazione degli impieghi aumentava con il passaggio della implementazione , nel periodo preso in esame, e dalle adozioni dei parametri da parte di alcune di queste delle certificazioni relative da Basilea 1 a Basilea 2, il peggioramento dei dati di bilancio appariva inevitabilmente conseguente.

Questo non solo dimostra come le regole di Basilea siano pro-cicliche ma che le stesse determinino un peggioramento della redditività e delle conseguenti perdite di quote di mercato a seconda che si applichi Basilea 1 o Basilea 2. Il peggioramento è immediato se si passa ad applicare le regole previste da Basilea1 a quelle previste per Basilea2.

A tale proposito è bene ricordare come funzioni la valutazione del rischio in Basilea e le relative differenze di rating tra Basilea1 e 2

  • Basilea 1 prevedeva un’accantonamento fisso dell’8% su tutta l’attività di finanziamento monetaria e non monetaria erogata.
  • Basilea 2 invece prevede dei modelli di rating:
  1. Il modello standard è quello adottato al momento dalle banche più piccole e si avvicina molto a quanto previsto da Basilea 1, il rating può essere interno od esterno (ad esempio esistono Agenzie esterne che fanno il modello di rating adottato per le BCC).
  2. Il Modello interno su base avanzato è quello adottato dai primi 5 gruppi bancari (Unicredit, Intesa, MPS, UBI Banca, B.po. Lodi) con rating interni su procedure interne validate da Bankitalia.
E’ evidente che non è indifferente a questo punto il modello adottato, se poi inoltre ci si aggiunge che le certificazioni interne dei grandi gruppi sono stati implementati a partire dal 2007 e che solo negli anni seguenti 2008- 2009 il modello è stato differenziato a seconda della tipologia del soggetto economico analizzato (ditta individuale, società di persone, società di capitali) ad esempio la tipologia delle Associazioni no profit nelle principali banche hanno avuto un’iter certificativo di rating separato dalle SPA o SRL con una procedura di analisi a se stante solo a partire dal 2010 mentre precedentemente hanno dovuto sottostare e scontare parametri che erano totalmente avulsi dalle proprie prerogative (come la mancanza di patrimonio, oppure la finalità di no-profit); e parliamo di una delle banche più grandi del settore. Possiamo quindi oggi incominciare a valutare quale sia stato l’impatto di questi conseguente modelli sulle politiche creditizie di questi anni a prescindere dalle relative specificità settoriali.
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A tale proposito è illuminante come sia necessario in termine di valutazione del credito valorizzare la differente struttura produttiva di ogni paese, relativo alle proprie peculiarità, il sistema di valutazione di Basilea infatti non può essere la stessa in un paese a più alta concentrazione di grandi imprese, rispetto al ns. costituito da pochissime grandi imprese e tantissime PMi e piccole imprese e di cui il ns. tessuto economico ne è rappresentato. Le necessarie differenziazioni emergono infatti anche nella valutazione da parte dell’Osservatorio permanente del Credito (costituito da Abi con altre 14 associazioni imprenditoriali e di categoria) quando con il report di luglio 2010 mette in rilievo la differente dinamica del credito sui rapporti banche-imprese del nostro paese.
In particolare, rilevava che secondo l'Abi, pur registrando performance piu' virtuose anche nel confronto europeo: a fine maggio 2010 la variazione tendenziale del totale impieghi e' risultata pari a +1,1% nella media dell'Area Euro (+2% a maggio 2009), +2,5% in Italia (+2,9% a maggio 2009). Complessivamente, la quota degli impieghi alle imprese non finanziarie sul totale risulta a maggio pari al 62,3% in Italia, valore nettamente superiore al 48,4% europeo. Cio' si spiega anche con riguardo alle diversita' istituzionali, finanziarie, di struttura e comportamentali che caratterizzano il sistema economico italiano, quale, ad esempio, l'elevato numero di piccole e medie imprese esistenti sul territorio. Nel dettaglio, dall'Osservatorio emerge che a maggio 2010 l'andamento su base annua dei finanziamenti alle imprese e' risultata pari a -1,5% quindi in aumento rispetto al -3,1% di gennaio 2010. Un valore, comunque, migliore in confronto a quanto registrato dalla media europea (-3% a maggio 2010). Alla stessa data, la variazione tendenziale dei finanziamenti alle famiglie produttrici in Italia (imprese individuali) e' stata pari a circa il +1,5% (+1,9% a gennaio 2010; +1,1% a maggio 2009). La quota italiana sul totale Area Euro dei finanziamenti alle imprese non finanziarie si e' consolidata negli ultimi anni, posizionandosi al 18,3%, a fronte di un'incidenza dell'Italia in termini di Pil di circa il 17%. I finanziamenti alle imprese piccole hanno segnato una flessione piu' contenuta rispetto alle imprese medio-grandi. A fine aprile 2010 la contrazione di tali finanziamenti e' stata del -1,1% per le imprese piccole (fino a 20 addetti), contro circa il -5% della altre imprese (con almeno 20 addetti). I finanziamenti fino a 12,5 milioni di euro (riferiti ad imprese con fatturato fino a 50 milioni di euro) hanno segnato a marzo 2010 - ultimo dato al momento disponibile - una variazione negativa prossima al -1,5%. In sostanza, il credito bancario si e' concentrato soprattutto verso le Pmi e, in particolare, oltre il 50% del totale dei prestiti alle imprese e' stato destinato alle Pmi fino a 50 milioni di fatturato. Tale quota raggiunge quasi i 2/3 se si includono anche le imprese con fatturato fino a 250 milioni.

Tutto ciò è ancora più avvalorato dalla realtà della banca popolare di Lajatico piccola realtà della Toscana (provincia di Pisa) che è stata oggetto di ben n.2 ispezioni di Bankitalia in quanto non si capacitino come in questo periodo 2007-2010 al contrario di quanto avviene nel settore e nella regione e del periodo di crisi, e dell’andamento economico, questa banca presenti andamentali sorprendenti ed in controtendenza. Espansione delle masse amministrate, crescita dei volumi, crescita occupazionale, aumento degli impieghi, aumento della redditività, aumento dei dipendenti, scarsissimo contenzioso quasi nulli gli accantonamenti e le rettifiche su crediti.
La situazione è ritenuta talmente sorprendente da Bankitalia che ha voluto inviare n.5 osservatori ad acquisire informazioni ed a studiare il fenomeno.
La peculiarità della banca è quella di non aver adottato alcun criterio riferibile ai rating di Basilea. Si basano solo sullo sviluppo classico della vecchia banca e della sua relazione sul territorio. La conoscenza della sua dirigenza di quanto avviene nel proprio territorio e l’amministrazione del credito proprie della vecchia banca sono fonte di sviluppo, di stabilità e di crescita, non solo della banca ma di tutto il territorio. Fanno la banca classica di una volta, che favoriva lo sviluppo delle professionalità aziendali.!!!

Questa analisi e questo esempio ci sembra confuti il ragionamento che spieghi il motivo per cui ad esemio una grande banca come Unicredit sia la Banca che al momento applichi con più insistenza e velocità i rating e gli strumenti organizzativi previsti da Basilea 2 (addirittura si dice che sia già in linea con i parametri di Basilea 3) e sia quella banca, che a causa di questa strategia sia l’azienda che al momento paghi di più in termini di perdita di redditività, di perdita di masse amministrate, di riduzione di impieghi e di conseguenti quote di mercato, proprio perché adotta rigidamente le previsioni di Basilea 2?
E che come ci dicono gli analisti di BOFA nel loro report spieghi il perché “…Guardando alle ragioni per cui Unicredit perde soldi in Italia, gli analisti di Bofa osservano come cio' sia dovuto a un costo del credito doppio per la banca rispetto agli altri istituti italiani, 150 punti base contro 75 punti base. "Non ci e' chiaro perche' l'esposizione sul mercato del credito domestico differisca rispetto alle altre banche italiane che hanno una composizione delle attivita' simile". Una delle ipotesi e' che "Unicredit abbia fatto accantonamenti superiori alla media o, per converso, che le altre banche, ne abbiano fatti troppo pochi".

E spieghi come mai Unicredit sia obbligata a fare tutti questi accantonamenti a causa delle regole adottate da Basilea 2?!?
Quindi la colpa non è del costo del lavoro,
o del numero dei suoi lavoratori…

Ma se provassimo ad adottare una Basilea standard e non la 2 ne tanto meno la Basilea3? Non è che tutti ne beneficerebbero? Ed anche se mancasse il coraggio di farlo, non potremmo fare un’esperienza pilota sulla falsariga della Banca Pop. di Lajatico per un periodo magari su una sola filiale per banca per  verificarne le relative ricadute?

Al contrario siamo sicuri che il sindacato si ritroverà presto di nuovo a breve a dover gestire inevitabilmente ulteriori esodi anche perché oramai appare palese, perchè sperimentato, che Basilea sia stata studiata su un modello econometrico di sviluppo di mercato che si riteneva potesse essere sempre in crescita ed in continua espansione, cosa che al contrario sappiamo come non lo sia il momento attuale,  anche a causa ed in conseguenza delle politiche restrittive sul credito che l'adozione dei rating di Basilea 1,2 e 3 costringe ad imporre alle aziende di credito.

Basilea oggi appare sempre di più essere simile ad una ideologia (frutto di una filosofia umana) rigidamente applicata alla realtà economica simile a quella che fu a suo tempo il marxismo…i cui dogmi (delle ideologie) applicati alla realtà generano niente altro che disastri.

Sappiamo invece come la realtà umana, per fortuna sia ben altro….!!!! Il riconoscerlo sarebbe frutto di intelligenza ispirata.

 16.11.2010

Ambrogio Lorenzetti: il Buon Governo


l'approfondimento:

dalla Laborem Exercens
Il problema dell'occupazione
Considerando i diritti degli uomini del lavoro proprio in relazione a questo «datore di lavoro indiretto», cioè all'insieme delle istanze a livello nazionale ed internazionale che sono responsabili di tutto l'orientamento della politica del lavoro, si deve prima di tutto rivolgere l'attenzione ad un problema fondamentale. Si tratta del problema di avere un lavoro, cioè, in altre parole, del problema di un'occupazione adatta per tutti i soggetti che ne sono capaci. L'opposto di una giusta e corretta situazione in questo settore è la disoccupazione, cioè la mancanza di posti di lavoro per i soggetti che di esso sono capaci. Può trattarsi di mancanza di occupazione in genere, oppure in determinati settori di lavoro. Il compito di queste istanze, che qui si comprendono sotto il nome di datore di lavoro indiretto, è di agire contro la disoccupazione, la quale è in ogni caso un male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale. Essa diventa un problema particolarmente doloroso, quando vengono colpiti soprattutto i giovani, i quali, dopo essersi preparati mediante un'appropriata formazione culturale, tecnica e professionale, non riescono a trovare un posto di lavoro e vedono penosamente frustrate la loro sincera volontà di lavorare e la loro disponibilità ad assumersi la propria responsabilità per lo sviluppo economico e sociale della comunità. L'obbligo delle prestazioni in favore dei disoccupati, il dovere cioè di corrispondere le convenienti sovvenzioni indispensabili per la sussistenza dei lavoratori disoccupati e delle loro famiglie, è un dovere che scaturisce dal principio fondamentale dell'ordine morale in questo campo, cioè dal principio dell'uso comune dei beni o, parlando in un altro modo ancora più semplice, dal diritto alla vita ed alla sussistenza.
Per contrapporsi al pericolo della disoccupazione, per assicurare a tutti un'occupazione, le istanze che sono state qui definite come datore di lavoro indiretto devono provvedere ad una pianificazione globale in riferimento a quel banco di lavoro differenziato, presso il quale si forma la vita non solo economica, ma anche culturale di una data società; esse devono fare attenzione, inoltre, alla corretta e razionale organizzazione del lavoro a tale banco. Questa sollecitudine globale in definitiva grava sulle spalle dello Stato, ma non può significare una centralizzazione unilateralmente operata dai pubblici poteri. Si tratta, invece, di una giusta e razionale coordinazione, nel quadro della quale deve essere garantita l'iniziativa delle singole persone, dei gruppi liberi, dei centri e complessi di lavoro locali, tenendo conto di ciò che è già stato detto sopra circa il carattere soggettivo del lavoro umano.
Il fatto della reciproca dipendenza delle singole società e Stati e la necessità di collaborazione in vari settori richiedono che, mantenendo i diritti sovrani di ciascuno di essi nel campo della pianificazione e dell'organizzazione del lavoro nella propria società, si agisca al tempo stesso, in questo settore importante, nella dimensione della collaborazione internazionale mediante i necessari trattati e accordi. Anche qui è necessario che il criterio di questi patti e di questi accordi diventi sempre più il lavoro umano, inteso come un fondamentale diritto di tutti gli uomini, il lavoro che dà a tutti coloro che lavorano analoghi diritti, così che il livello della vita degli uomini del lavoro nelle singole società presenti sempre meno quelle urtanti differenze, che sono ingiuste e atte a provocare anche violente reazioni. Le Organizzazioni Internazionali hanno in questo settore compiti enormi da svolgere. Bisogna che esse si lascino guidare da un'esatta diagnosi delle complesse situazioni e dei condizionamenti naturali, storici, civili, ecc.; bisogna anche che esse, in relazione ai piani di azione stabiliti in comune, abbiano una maggiore operatività, cioè efficacia nella realizzazione.
Su tale via si può attuare il piano di un universale e proporzionato progresso di tutti, secondo il filo conduttore dell'Enciclica di Paolo VI Populorum Progressio. Bisogna sottolineare che l'elemento costitutivo e, al tempo stesso, la più adeguata verifica di questo progresso nello spirito di giustizia e di pace, che la Chiesa proclama e per il quale non cessa di pregare il Padre di tutti gli uomini e di tutti i popoli, è proprio la continua rivalutazione del lavoro umano, sia sotto l'aspetto della sua finalità oggettiva, sia sotto l'aspetto della dignità del soggetto d'ogni lavoro, che è l'uomo. Il progresso, del quale si tratta, deve compiersi mediante l'uomo e per l'uomo e deve produrre frutti nell'uomo. Una verifica del progresso sarà il sempre più maturo riconoscimento della finalità del lavoro e il sempre più universale rispetto dei diritti ad esso inerenti, conformemente alla dignità dell'uomo, soggetto del lavoro.
Una ragionevole pianificazione ed una adeguata organizzazione del lavoro umano, a misura delle singole società e dei singoli Stati, dovrebbero facilitare anche la scoperta delle giuste proporzioni tra le diverse specie di occupazione: il lavoro della terra, dell'industria, nei molteplici servizi, il lavoro di concetto ed anche quello scientifico o artistico, secondo le capacità dei singoli uomini e per il bene comune di ogni società e di tutta l'umanità. All'organizzazione della vita umana secondo le molteplici possibilità del lavoro dovrebbe corrispondere un adatto sistema di istruzione e di educazione, che prima di tutto abbia come scopo lo sviluppo di una matura umanità, ma anche una specifica preparazione ad occupare con profitto un giusto posto nel grande e socialmente differenziato banco di lavoro.
Gettando lo sguardo sull'intera famiglia umana, sparsa su tutta la terra, non si può non rimanere colpiti da un fatto sconcertante di proporzioni immense; e cioè che, mentre da una parte cospicue risorse della natura rimangono inutilizzate, dall'altra esistono schiere di disoccupati o di sotto-occupati e sterminate moltitudini di affamati: un fatto che, senza dubbio, sta ad attestare che sia all'interno delle singole comunità politiche, sia nei rapporti tra esse su piano continentale e mondiale - per quanto concerne l'organizzazione del lavoro e dell'occupazione - vi è qualcosa che non funziona, e proprio nei punti più critici e di maggiore rilevanza sociale.
Ioannes Paulus PP. II
Laborem exercens