Si tratta di un portafoglio di elevata qualità che comprende 130
crediti, 48 debitori e 698 unità immobiliari. L'82% dei crediti è stato
originato tra il 2006 e il 2010, 85% ha come controparte aziende e l'83%
delle unità immobiliari è localizzato in Lombardia
MILANO - Algebris Npl
Fund, fondo di investimento riservato a investitori istituzionali
specializzato nel settore dei crediti in sofferenza e gestito da
Algebris investments, ha siglato nei giorni scorsi un accordo vincolante
con Deutsche Bank mutui per acquisire un portafoglio di crediti in
sofferenza secured con un gross book value pari a 172 milioni di euro.
Il portafoglio, che è stato oggetto di una gara competitiva tra primari
operatori italiani ed internazionali avviata da Deutsche Bank mutui lo
scorso ottobre, è costituito da 48 posizioni, garantite da immobili
prevalentemente ad uso residenziale e commerciale localizzati nel nord
Italia, in gran parte in Lombardia e a Milano. Si tratta di un
portafoglio di elevata qualità, ben al di sopra della media dei
portafogli venduti in italia negli ultimi 8 anni, che comprende 130
crediti, 48 debitori e 698 unità immobiliari. L'82% dei crediti è stato
originato tra il 2006 e il 2010, 85% ha come controparte aziende e l'83%
delle unità immobiliari è localizzato in Lombardia.
"Questa operazione si è svolta in maniera efficiente e in piena
trasparenza, attraverso un continuo scambio di informazioni tra noi e la
banca. Deutsche Bank Italia è una delle banche che ha svalutato di più
le sofferenze, ha cioè un
rapporto di copertura tra i più alti del sistema. Al tempo stesso, è
tra le banche che hanno il minor ammontare di sofferenze in percentuale
al totale dei crediti" commenta in una nota Massimo Massimilla, ad della
filiale di Algebris in Italia.
rassegna stampa: la repubblica 29 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/12/29/news/algebris_compra_172_milioni_di_sofferenze_da_deutsche_bank-130311436/
@GORA' :
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UN LABORATORIO DI PENSIERO E RIFLESSIONE FATTO DAI LAVORATORI:
il diario della crisi
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martedì 29 dicembre 2015
Mps vende 1 miliardo di sofferenze a Deutsche Bank
MILANO - Mentre la bad
bank di sistema si fa attendere più di Godot, le banche italiane cercano
di risolvere da sole il problema dei crediti in sofferenza: il Monte
dei Paschi ne ha venduto un pacchetto da 1 miliardo di euro a Deutsche
Bank.
Lo strumento che sgravi i bilanci delle banche dalla voce dei crediti di difficile esigibilità, una massa che al lordo delle coperture oscilla sui 200 miliardi nel sistema finanziario italiano e che è in parte all'origine della crisi delle quattro banche salvate per decreto - insieme alla gestione poco oculata di alcuni -, è da tempo allo studio del governo. E' anzi uno dei punti di contrasto con la Commissione europea, che da tempo ha il dito puntato sul grilletto degli aiuti di Stato. Molti osservatori, anche di alto lignaggio come la Bce, dicono da tempo che sarebbe un passo importante per risvegliare il credito all'economia reale, ma ancora non sono stati messi in fila tutti i pezzi del puzzle.
Intanto, come detto, la banca senese ha perfezionato la sua operazione e ha anche specificato che "ha evidenziato un forte interesse da parte degli investitori del settore", come a dire che un mercato per le sofferenze c'è. In una nota ha dettagliato che si tratta di un pacchetto di crediti "composto da circa 18.000 posizioni, per un valore contabile lordo di circa 1 miliardo di euro (circa 1,7 miliardi, includendo gli interessi di mora maturati e/o altri addebiti che vengono ceduti insieme al capitale)". Si tratta per altro di affidamenti che non hanno garanzie e che sono entrati in sofferenza ormai prima del 2009. "L'operazione", dice ancora la banca, "è coerente con il piano industriale 2015-2018, aggiunge la nota, e l'impatto della vendita sul conto economico e sui ratios patrimoniali di Mps non è significativo". Il management dichiara di volersi piuttosto focalizzare sulla "gestione delle esposizioni di importo più rilevante e con minore anzianità".
Il titolo del Monte dei Paschi tratta in rialzo alla notizia, mentre il mercato è poco mosso.
Lo strumento che sgravi i bilanci delle banche dalla voce dei crediti di difficile esigibilità, una massa che al lordo delle coperture oscilla sui 200 miliardi nel sistema finanziario italiano e che è in parte all'origine della crisi delle quattro banche salvate per decreto - insieme alla gestione poco oculata di alcuni -, è da tempo allo studio del governo. E' anzi uno dei punti di contrasto con la Commissione europea, che da tempo ha il dito puntato sul grilletto degli aiuti di Stato. Molti osservatori, anche di alto lignaggio come la Bce, dicono da tempo che sarebbe un passo importante per risvegliare il credito all'economia reale, ma ancora non sono stati messi in fila tutti i pezzi del puzzle.
Intanto, come detto, la banca senese ha perfezionato la sua operazione e ha anche specificato che "ha evidenziato un forte interesse da parte degli investitori del settore", come a dire che un mercato per le sofferenze c'è. In una nota ha dettagliato che si tratta di un pacchetto di crediti "composto da circa 18.000 posizioni, per un valore contabile lordo di circa 1 miliardo di euro (circa 1,7 miliardi, includendo gli interessi di mora maturati e/o altri addebiti che vengono ceduti insieme al capitale)". Si tratta per altro di affidamenti che non hanno garanzie e che sono entrati in sofferenza ormai prima del 2009. "L'operazione", dice ancora la banca, "è coerente con il piano industriale 2015-2018, aggiunge la nota, e l'impatto della vendita sul conto economico e sui ratios patrimoniali di Mps non è significativo". Il management dichiara di volersi piuttosto focalizzare sulla "gestione delle esposizioni di importo più rilevante e con minore anzianità".
Il titolo del Monte dei Paschi tratta in rialzo alla notizia, mentre il mercato è poco mosso.
rassegna stampa: la repubblica 28 dicembre 2015
lunedì 28 dicembre 2015
Ripartono i consumi, ma i negozi continuano a chiudere: nel 2015 perse 29mila imprese
Diminuiscono le chiusure di negozi, bar e ristoranti, ma rallenta anche
il ritmo delle nuove aperture. Così il saldo è negativo: ogni giorno la
popolazione degli esercenti perde 76 attività
MILANO - I consumi sono uno dei pilastri della (timida) ripresa economica italiana, soprattutto in un momento difficile per i mercati emergenti, eppure il 2015 non è ancora stato l'anno della ripresa per i commercianti: secondo Confesercenti "continua ad avanzare la desertificazione di attività commerciali e pubblici esercizi nei centri urbani". Secondo le stime dell'Osservatorio, anche quest'anno il bilancio tra aperture e chiusure di negozi, bar e ristoranti sarà in rosso, con un saldo negativo di oltre 29mila imprese. Un crollo meno grave di quello registrato nel 2014 (-34mila), ma comunque peggiore delle attese. Il calo delle chiusure - il primo in cinque anni - è infatti quasi annullato dalla frenata delle aperture: in totale quest'anno si stima che inizieranno l'attività circa 37mila nuove imprese, contro le oltre 42mila che hanno aperto lo scorso anno e le 45mila nel 2013.
Il 2015 è il quinto anno consecutivo di contrazione per il commercio in sede fissa, la ristorazione ed il servizio bar. In totale, dal 2011 ad oggi, questi tre settori hanno registrato circa 207mila aperture e 346mila chiusure, per un saldo negativo di poco meno di 140mila imprese. In media, negli ultimi 5 anni, ogni giorno hanno aperto 114 imprese e 190 hanno chiuso, per un saldo giornaliero negativo di 76 attività. I cinque anni di desertificazione hanno interessato tutto il territorio nazionale, anche se con intensità diverse a seconda delle zone. Tra le regioni, è la Sicilia ad aver messo a segno il saldo peggiore tra aperture e chiusure di negozi e locali (-16.355 imprese). Seguono, nella classifica delle emorragie di imprese più significative, la Lombardia (-14.327) e la Campania (-13.922). Tra le città capoluogo di provincia, invece, il primato di chiusure va a Roma: l'Urbe sta soffrendo una crisi commerciale ancora più intensa di quella registrata dal resto del Paese: in cinque anni la città ha subito un saldo negativo di quasi 7.500 tra negozi, bar, caffè e servizi di ristorazione. Seguono il comune di Torino, che perde oltre 3mila imprese, e quello di Napoli (-2.327 imprese). Complessivamente, considerando tutti i capoluoghi di provincia, l'unico comune che ha registrato un saldo positivo è Padova, dove negli ultimi cinque anni il numero di bar, negozi e ristoranti è cresciuto, anche se solo di 42 unità.
"Attività commerciali e pubblici esercizi non sono ancora usciti da uno stato di difficoltà che ormai dura da cinque anni", commenta il presidente di Confesercenti Massimo Vivoli. "La ripartenza dei consumi, che pure c'è stata, è ancora troppo recente e modesta per portare ad una rapida inversione di tendenza, anche se finalmente nel 2015 tornano a calare le chiusure di imprese. Preoccupa, però, la frenata di nuove aperture, bloccate dalla stretta del credito e dalla riduzione dei margini di impresa, erosi dalla crisi e da una fiscalità cresciuta quasi costantemente negli ultimi cinque anni".
rassegna stampa: la repubblica 28 dicembre 2016
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/28/news/ripartono_i_consumi_ma_i_negozi_continuano_a_chiudere_nel_2015_perse_29mila_imprese-130261350/?ref=HREC1-13
MILANO - I consumi sono uno dei pilastri della (timida) ripresa economica italiana, soprattutto in un momento difficile per i mercati emergenti, eppure il 2015 non è ancora stato l'anno della ripresa per i commercianti: secondo Confesercenti "continua ad avanzare la desertificazione di attività commerciali e pubblici esercizi nei centri urbani". Secondo le stime dell'Osservatorio, anche quest'anno il bilancio tra aperture e chiusure di negozi, bar e ristoranti sarà in rosso, con un saldo negativo di oltre 29mila imprese. Un crollo meno grave di quello registrato nel 2014 (-34mila), ma comunque peggiore delle attese. Il calo delle chiusure - il primo in cinque anni - è infatti quasi annullato dalla frenata delle aperture: in totale quest'anno si stima che inizieranno l'attività circa 37mila nuove imprese, contro le oltre 42mila che hanno aperto lo scorso anno e le 45mila nel 2013.
Il 2015 è il quinto anno consecutivo di contrazione per il commercio in sede fissa, la ristorazione ed il servizio bar. In totale, dal 2011 ad oggi, questi tre settori hanno registrato circa 207mila aperture e 346mila chiusure, per un saldo negativo di poco meno di 140mila imprese. In media, negli ultimi 5 anni, ogni giorno hanno aperto 114 imprese e 190 hanno chiuso, per un saldo giornaliero negativo di 76 attività. I cinque anni di desertificazione hanno interessato tutto il territorio nazionale, anche se con intensità diverse a seconda delle zone. Tra le regioni, è la Sicilia ad aver messo a segno il saldo peggiore tra aperture e chiusure di negozi e locali (-16.355 imprese). Seguono, nella classifica delle emorragie di imprese più significative, la Lombardia (-14.327) e la Campania (-13.922). Tra le città capoluogo di provincia, invece, il primato di chiusure va a Roma: l'Urbe sta soffrendo una crisi commerciale ancora più intensa di quella registrata dal resto del Paese: in cinque anni la città ha subito un saldo negativo di quasi 7.500 tra negozi, bar, caffè e servizi di ristorazione. Seguono il comune di Torino, che perde oltre 3mila imprese, e quello di Napoli (-2.327 imprese). Complessivamente, considerando tutti i capoluoghi di provincia, l'unico comune che ha registrato un saldo positivo è Padova, dove negli ultimi cinque anni il numero di bar, negozi e ristoranti è cresciuto, anche se solo di 42 unità.
"Attività commerciali e pubblici esercizi non sono ancora usciti da uno stato di difficoltà che ormai dura da cinque anni", commenta il presidente di Confesercenti Massimo Vivoli. "La ripartenza dei consumi, che pure c'è stata, è ancora troppo recente e modesta per portare ad una rapida inversione di tendenza, anche se finalmente nel 2015 tornano a calare le chiusure di imprese. Preoccupa, però, la frenata di nuove aperture, bloccate dalla stretta del credito e dalla riduzione dei margini di impresa, erosi dalla crisi e da una fiscalità cresciuta quasi costantemente negli ultimi cinque anni".
rassegna stampa: la repubblica 28 dicembre 2016
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/28/news/ripartono_i_consumi_ma_i_negozi_continuano_a_chiudere_nel_2015_perse_29mila_imprese-130261350/?ref=HREC1-13
Arezzo, Banca Etruria, pugni e grida dei risparmiatori: "Ladri, ladri"
Manifestazione dei
risparmiatori che hanno perso gli investimenti nelle obbligazioni
subordinate davanti alla sede storica della banca
Pugni contro i vetri della sede centrale di Banca Etruria ad Arezzo. Gente che grida: "Ladri, ladri", "Non ci arrenderemo". I risparmiatori che si ritengono danneggiati
da Banca Etruria protestano davanti al banca. C'è rabbia e amarezza, in
una cinquantina sono arrivati da varie parti della Toscana e d'Italia,
chi con il treno, chi con i bus, chi con le macchine. Un gruppetto ha
tentato di forzare il blocco e di entrare nella sede centrale, ma al
secondo sbarramento dopo aver guadagnato l'atrio, non è riuscito ad
entrare. I contestatori sono stati circondati dalle forze dell'ordine,
ci sono stati attimi ti tensione ma nessun contatto. La protesta è
andata avanti fino al pomeriggio e corso Italia, strada del centro della
città toscana, è rimasta bloccata dai vigili urbani.
Il presidio è stato organizzato dal comitato 'Vittime del salva-banche' e in una staffetta i risparmiatori si sono alternati nelle proteste davanti alla sede dell'istituto. Gli ex obbligazionisti hanno sfidato il freddo e la nebbia per contestare contro quella che definiscono "una truffa" ai loro danni. Hanno issato striscioni e cartelli con scritto "Qui giace la fiducia nel sistema bancario", "Rivogliamo tutti i soldi che ci avete rubato" e "A noi lezioni di finanza a voi lezioni di onestà", "Rivogliamo tutti i soldi che ci avete rubato", "No all'elemosina" e altri slogan. I risparmiatori sono arrabbiati con le nuove banche che proprio dopo l'ultimo consiglio di amministrazione hanno preso le distanze dai risarcimenti facendo sapere nei giorni scorsi che la competenza è della bad bank. Otto ore davanti alla banca sono rimasti i risparmiatori in tutto oltre un centinaio: "Diciamo no al fondo proposto dal governo, è insufficiente. Anche gli azionisti devono essere risarciti non soltanto gli obligazionisti. E l'arbitrato è ridicolo, non disciplina niente: non è vero che le obbligazioni sono state vendute online, si vendevano anche quelle del mercato secondario allo sportello" spiega Silvia. I risparmiatori sono arrabbiati anche contro la Banca d'Italia dove a breve torneranno a manifestare perché "non ha vigilato" e "avrebbe dovuto intervenire per evitare che le banche continuassero a vendere carta straccia".
Il presidio è stato organizzato dal comitato 'Vittime del salva-banche' e in una staffetta i risparmiatori si sono alternati nelle proteste davanti alla sede dell'istituto. Gli ex obbligazionisti hanno sfidato il freddo e la nebbia per contestare contro quella che definiscono "una truffa" ai loro danni. Hanno issato striscioni e cartelli con scritto "Qui giace la fiducia nel sistema bancario", "Rivogliamo tutti i soldi che ci avete rubato" e "A noi lezioni di finanza a voi lezioni di onestà", "Rivogliamo tutti i soldi che ci avete rubato", "No all'elemosina" e altri slogan. I risparmiatori sono arrabbiati con le nuove banche che proprio dopo l'ultimo consiglio di amministrazione hanno preso le distanze dai risarcimenti facendo sapere nei giorni scorsi che la competenza è della bad bank. Otto ore davanti alla banca sono rimasti i risparmiatori in tutto oltre un centinaio: "Diciamo no al fondo proposto dal governo, è insufficiente. Anche gli azionisti devono essere risarciti non soltanto gli obligazionisti. E l'arbitrato è ridicolo, non disciplina niente: non è vero che le obbligazioni sono state vendute online, si vendevano anche quelle del mercato secondario allo sportello" spiega Silvia. I risparmiatori sono arrabbiati anche contro la Banca d'Italia dove a breve torneranno a manifestare perché "non ha vigilato" e "avrebbe dovuto intervenire per evitare che le banche continuassero a vendere carta straccia".
Caso Rossi. Si è svolta oggi al Csm l'audizione del procuratore di Arezzo Roberto Rossi. Il magistrato è stato sentito dalla prima commissione per verificare se ci fosse incompatibilità tra il suo ruolo come coordinatore dei filoni di inchiesta su Banca Etruria aperti dalla procura di Arezzo e quello di consulente del Dipartimento affari giuridici legislativi di Palazzo Chigi. A chiedere l'audizione era stato il consigliere laico di Forza Italia Pierantonio Zanettin. Alla fine della seduta il presidente della prima commissione Renato Balduzzi ha spiegato che "allo stato non ci sono gli estremi per l'apertura di una pratica per incompatibilità ambientale o funzionale: abbiamo ascoltato un magistrato sereno che dà prova di imparzialità".
rassegna stampa: la repubblica 28 dicembre 2015 di Laura Montanari
domenica 27 dicembre 2015
Italia al vertice in Europa per i Neet: giovani che né studiano né lavorano
Da uno studio dell'istituto Bruegel di Bruxelles emerge come sia
cresciuta la disoccupazione in Europa tra il 2007 e il 2013 e come il
nostro Paese sia in cima alla lista tra quelli in cui le nuove leve si
trovino in una sorta di Limbo tra mancanza di lavoro e inattività
MILANO - Allarme giovani in Europa: durante la crisi si è allargato il gap generazionale nel Vecchio Continente sia in termini di benessere economico che di risorse stanziate dai governi. E' quanto emerge dal rapporto del think tank Bruegel di Bruxelles intitolato 'The growing intergenerational divide in Europe'.
"Durante i sette anni di crisi economica in molti paesi è aumentato il divario intergenerazionale in termini di reddito" con "i giovani in media che sono diventati significativamente più poveri". La disoccupazione tra i minori di 25 anni è aumentata notevolmente, mentre i lavoratori più anziani (di età compresa tra 50-64) sono stati meno colpiti. Dati alla mano, nell'Ue la disoccupazione tra i giovani di 15-24 è aumentata del 7,8 percentuale punti tra il 2007 e il 2013, raggiungendo il picco del 23,7% nel 2013, mentre la disoccupazione tra i lavoratori più anziani nel gruppo di età 50-64 è aumentato del 2,4% andando al 7,8% nel 2013.
Preoccupante nei paesi dell'Europa mediterranea la quota dei Neet, acronimo tristemente noto per indicare i giovani che non lavorano, non studiano e non svolgono alcuna attività di formazione. Negli gli Stati più colpiti dalla crisi (Cipro, Grecia, Irlanda, Italia e Spagna) il tasso Neet è aumentato di oltre 7 punti percentuali tra il 2007 e il 2013, con un picco di oltre il 20% in Italia, al primo posto in Europa, seguita da Bulgaria e Grecia.Per contro, il tasso Neet è diminuito in Germania nello stesso periodo passando dall'8,9 al 6,3%, Lussemburgo (al 5% nel 2013) e Malta (al 10% nel 2013), mentre è rimasto immutato in Austria (sotto il 10%).
Il think tank suggerisce la sua ricetta per colmare il gap e dare una chance ai giovani europei. "Le misure per affrontare il divario intergenerazionale potrebbero includere politiche contro la disoccupazione giovanile, il riequilibrio della spesa e più equa ripartizione degli oneri tra le generazioni negli schemi pensionistici", si legge nel testo. "La crisi ha lasciato un pericoloso retaggio intergenerazionale" insiste il Bruegel. "Affrontare questa eredità attraverso una nuova ridistribuzione della spesa pubblica e ristabilire equità intergenerazionale nei sistemi pensionistici - conclude - dovrebbe essere una priorità per i responsabili politici in gran parte dell'Unione europea".
rassegna stampa: la repubblica 26 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/26/news/italia_al_vertice_in_europa_per_i_neet_giovani_che_ne_studiano_ne_lavorano-130198627 /?ref=HREC1-19
MILANO - Allarme giovani in Europa: durante la crisi si è allargato il gap generazionale nel Vecchio Continente sia in termini di benessere economico che di risorse stanziate dai governi. E' quanto emerge dal rapporto del think tank Bruegel di Bruxelles intitolato 'The growing intergenerational divide in Europe'.
"Durante i sette anni di crisi economica in molti paesi è aumentato il divario intergenerazionale in termini di reddito" con "i giovani in media che sono diventati significativamente più poveri". La disoccupazione tra i minori di 25 anni è aumentata notevolmente, mentre i lavoratori più anziani (di età compresa tra 50-64) sono stati meno colpiti. Dati alla mano, nell'Ue la disoccupazione tra i giovani di 15-24 è aumentata del 7,8 percentuale punti tra il 2007 e il 2013, raggiungendo il picco del 23,7% nel 2013, mentre la disoccupazione tra i lavoratori più anziani nel gruppo di età 50-64 è aumentato del 2,4% andando al 7,8% nel 2013.
Preoccupante nei paesi dell'Europa mediterranea la quota dei Neet, acronimo tristemente noto per indicare i giovani che non lavorano, non studiano e non svolgono alcuna attività di formazione. Negli gli Stati più colpiti dalla crisi (Cipro, Grecia, Irlanda, Italia e Spagna) il tasso Neet è aumentato di oltre 7 punti percentuali tra il 2007 e il 2013, con un picco di oltre il 20% in Italia, al primo posto in Europa, seguita da Bulgaria e Grecia.Per contro, il tasso Neet è diminuito in Germania nello stesso periodo passando dall'8,9 al 6,3%, Lussemburgo (al 5% nel 2013) e Malta (al 10% nel 2013), mentre è rimasto immutato in Austria (sotto il 10%).
Il think tank suggerisce la sua ricetta per colmare il gap e dare una chance ai giovani europei. "Le misure per affrontare il divario intergenerazionale potrebbero includere politiche contro la disoccupazione giovanile, il riequilibrio della spesa e più equa ripartizione degli oneri tra le generazioni negli schemi pensionistici", si legge nel testo. "La crisi ha lasciato un pericoloso retaggio intergenerazionale" insiste il Bruegel. "Affrontare questa eredità attraverso una nuova ridistribuzione della spesa pubblica e ristabilire equità intergenerazionale nei sistemi pensionistici - conclude - dovrebbe essere una priorità per i responsabili politici in gran parte dell'Unione europea".
rassegna stampa: la repubblica 26 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/26/news/italia_al_vertice_in_europa_per_i_neet_giovani_che_ne_studiano_ne_lavorano-130198627 /?ref=HREC1-19
Lavoro, la Uil lancia l'allarme: "L'occupazione non cresce"
Da un'analisi sui dati delle nuove assunzioni da parte dell'ufficio
studi del sindacato dei lavoratori, emerge che nel terzo trimestre 2015
l'incremento dei posti lavoro è stato di lieve entità, mentre è cambiata
la tipologia dei contratti
MILANO - Con 2.500.584 avviamenti al lavoro il terzo trimestre del 2015 (luglio, agosto e settembre) segnala che, rispetto allo stesso periodo del 2014, non vi è stata alcuna sostanziale crescita (solo 593 contratti in più). Cambia invece - fa notare Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL - la composizione di "come" le aziende assumono: cresce il tempo indeterminato con 493.927 (+21,2%) contratti attivati, che assorbe in parte l'apprendistato (-14.969) e crollano del 45,2 % le collaborazioni (solo 85.925 avviamenti) mentre "tiene", ancora, il contratto a termine (+4.778) che con 1.750.106 avviamenti, sempre nel trimestre, rimane - sottolinea Guglielmo Loy- naturalmente la tipologia più utilizzata (70%) e che non sembra ridimensionarsi quantitativamente. Preoccupa, in linea generale, la continua erosione del lavoro "femminile" che cala di 36.833 contratti (-3,1%) anche in quadro di sostanziale stagnazione. Una "tenuta" certificata anche dal numero delle cessazioni che con 2.394.264 contratti terminati segnala un modesto -3,4 % sullo stesso periodo del 2014.
"Dati non confortanti ed in linea con la bassa crescita della ricchezza prodotta. Ancora più preoccupante - conclude Guglielmo Loy - è il confronto con il 2014 in quanto questo è l'anno dei generosi (e generalizzati) incentivi previsti dalla legge di stabilità del 2015. Infatti se si incrociano questi dati del Ministero (comunicazioni obbligatorie ) dei tre mesi in esame con quelli dell'Inps emerge che, sempre nello stesso terzo trimestre, sono stati 261.655 i contratti incentivati ( circa il 50% di tutti gli avviamenti a tempo interminato) di cui 62.677 per le trasformazioni (da tempo determinato e/o collaborazioni). Se si considera quanto siano costati alla collettività questi incentivi (quasi 2 miliardi nel 2015,oltre 3 negli anni successivi) non si può non sottolineare come solo con vere e durature politiche di crescita si potrà favorire maggiore e buona occupazione".
rassegna stampa: la repubblica 26 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/26/news/lavoro_la_uil_lancia_l_allarme_il_lavoro_non_cresce_-130201243/?ref=HREC1-19
MILANO - Con 2.500.584 avviamenti al lavoro il terzo trimestre del 2015 (luglio, agosto e settembre) segnala che, rispetto allo stesso periodo del 2014, non vi è stata alcuna sostanziale crescita (solo 593 contratti in più). Cambia invece - fa notare Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL - la composizione di "come" le aziende assumono: cresce il tempo indeterminato con 493.927 (+21,2%) contratti attivati, che assorbe in parte l'apprendistato (-14.969) e crollano del 45,2 % le collaborazioni (solo 85.925 avviamenti) mentre "tiene", ancora, il contratto a termine (+4.778) che con 1.750.106 avviamenti, sempre nel trimestre, rimane - sottolinea Guglielmo Loy- naturalmente la tipologia più utilizzata (70%) e che non sembra ridimensionarsi quantitativamente. Preoccupa, in linea generale, la continua erosione del lavoro "femminile" che cala di 36.833 contratti (-3,1%) anche in quadro di sostanziale stagnazione. Una "tenuta" certificata anche dal numero delle cessazioni che con 2.394.264 contratti terminati segnala un modesto -3,4 % sullo stesso periodo del 2014.
"Dati non confortanti ed in linea con la bassa crescita della ricchezza prodotta. Ancora più preoccupante - conclude Guglielmo Loy - è il confronto con il 2014 in quanto questo è l'anno dei generosi (e generalizzati) incentivi previsti dalla legge di stabilità del 2015. Infatti se si incrociano questi dati del Ministero (comunicazioni obbligatorie ) dei tre mesi in esame con quelli dell'Inps emerge che, sempre nello stesso terzo trimestre, sono stati 261.655 i contratti incentivati ( circa il 50% di tutti gli avviamenti a tempo interminato) di cui 62.677 per le trasformazioni (da tempo determinato e/o collaborazioni). Se si considera quanto siano costati alla collettività questi incentivi (quasi 2 miliardi nel 2015,oltre 3 negli anni successivi) non si può non sottolineare come solo con vere e durature politiche di crescita si potrà favorire maggiore e buona occupazione".
rassegna stampa: la repubblica 26 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/26/news/lavoro_la_uil_lancia_l_allarme_il_lavoro_non_cresce_-130201243/?ref=HREC1-19
Mps, anche i manager si tagliano lo stipendio
Il sindacato della Fabi ha annunicato di aver firmato un accordo su costi
con i vertici della banca senese: le spese verranno abbattute di 200
milioni e i dirigenti si ridurranno lo stipendio del 2,5%
MILANO - E' stato raggiunto alla vigilia di Natale, dopo una trattativa non stop di tre giorni, l'accordo tra Gruppo Mps e sindacati aziendali sulla razionalizzazione dei costi imposta dalla Banca centrale europea, che chiedeva un abbattimento delle spese sul personale di circa 200 milioni di euro. Lo riferisce la Fabi.
Grazie all'intesa, i sindacati sono riusciti a ottenere il ripristino della contrattazione aziendale, sospesa dal 2012, e a ridurre notevolmente gli impatti economici del piano sui lavoratori, chiamando a contribuire al taglio dei costi i top manager e le alte figure professionali, per i quali è prevista una diminuzione dello stipendio del 2,5% annuo.
"E' un accordo nel segno dell'equità sociale: tutela i dipendenti anche in vista di future ristrutturazioni e respinge l'impostazione iniziale dell'azienda che voleva far pagare solo ai lavoratori l'ulteriore taglio dei costi di circa 200 milioni voluto dalla Bce", commenta il Coordinamento FABI del Gruppo Mps. "Grazie a un duro e delicato lavoro di negoziazione, abbiamo ricostruito il contratto aziendale, da 3 anni disapplicato, e abbiamo preteso che i sacrifici fossero sostenuti soprattutto dai vertici, contenendo notevolmente gli impatti del piano sui lavoratori. Inoltre, con questo accordo abbiamo stabilito che le prossime eventuali future tensioni occupazionali nel Gruppo potranno essere gestite solamente con gli ammortizzatori sociali di categoria, escludendo la possibilità per l'azienda di ricorrere ai licenziamenti collettivi o per giustificato motivo economico", commenta il Coordinamento FABI del Gruppo Mps.
"Infine, nell'ambito dell'intesa, è stata costituita una commissione paritetica sull'organizzazione del lavoro per studiare un nuovo modello di banca a sostegno del territorio, che veda i lavoratori protagonisti del rilancio del Gruppo", conclude. Sul versante del contenimento dei costi, sono stati raggiunti obiettivi importanti. E' stato stabilito, infatti, in un'ottica di riequilibrio distributivo, che al piano di "spending review" partecipino anche i top manager e le figure professionali strategiche, con un taglio del 2,5% della loro retribuzione.
E' stato inoltre contenuto l'impatto economico delle giornate di solidarietà per dipendenti. Dalle attuali sei si riducono a cinque per chi ha un reddito fino a 35.000,00 euro lordi. Infine sarà possibile utilizzare anche integralmente le ferie arretrate, la banca delle ore arretrata ed il controvalore del ticket pasto fino a totale concorrenza dei sei/cinque giorni in sostituzione delle stesse giornate di solidarietà. L'accordo reintroduce dopo quattro anni il premio aziendale, che è pari a 300 euro e maggiorato in caso di prestazioni welfare, e regolamenta per la prima volta il Premio Variabile di Risultato. Per quanto riguarda il welfare aziendale, è stata confermata la struttura complessiva del sistema di assistenza e previdenza interno, dalla polizza sanitaria, alla contribuzione del datore di lavoro sul Fondo di previdenza integrativo, fino al valore dei buoni pasto. Istituti, questi ultimi, che l'azienda avrebbe disapplicato in caso di mancato accordo.
E' stata poi ampliata la base di calcolo del TFR, con accantonamenti aumentati del 17%, e incrementati i contributi aziendali per i neo assunti dell'1,5%. Sono state, infine, migliorate le previsioni normative sulla sicurezza, ed è stato istituito un organismo Paritetico sull'organizzazione del lavoro, il nuovo modello di banca e le nuove professionalità.
rassegna stampa: la repubblica 26 dicembre 2017
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/12/26/news/mps_anche_i_manager_si_tagliano_lo_stipendio-130206530/?ref=HRLV-6
MILANO - E' stato raggiunto alla vigilia di Natale, dopo una trattativa non stop di tre giorni, l'accordo tra Gruppo Mps e sindacati aziendali sulla razionalizzazione dei costi imposta dalla Banca centrale europea, che chiedeva un abbattimento delle spese sul personale di circa 200 milioni di euro. Lo riferisce la Fabi.
Grazie all'intesa, i sindacati sono riusciti a ottenere il ripristino della contrattazione aziendale, sospesa dal 2012, e a ridurre notevolmente gli impatti economici del piano sui lavoratori, chiamando a contribuire al taglio dei costi i top manager e le alte figure professionali, per i quali è prevista una diminuzione dello stipendio del 2,5% annuo.
"E' un accordo nel segno dell'equità sociale: tutela i dipendenti anche in vista di future ristrutturazioni e respinge l'impostazione iniziale dell'azienda che voleva far pagare solo ai lavoratori l'ulteriore taglio dei costi di circa 200 milioni voluto dalla Bce", commenta il Coordinamento FABI del Gruppo Mps. "Grazie a un duro e delicato lavoro di negoziazione, abbiamo ricostruito il contratto aziendale, da 3 anni disapplicato, e abbiamo preteso che i sacrifici fossero sostenuti soprattutto dai vertici, contenendo notevolmente gli impatti del piano sui lavoratori. Inoltre, con questo accordo abbiamo stabilito che le prossime eventuali future tensioni occupazionali nel Gruppo potranno essere gestite solamente con gli ammortizzatori sociali di categoria, escludendo la possibilità per l'azienda di ricorrere ai licenziamenti collettivi o per giustificato motivo economico", commenta il Coordinamento FABI del Gruppo Mps.
"Infine, nell'ambito dell'intesa, è stata costituita una commissione paritetica sull'organizzazione del lavoro per studiare un nuovo modello di banca a sostegno del territorio, che veda i lavoratori protagonisti del rilancio del Gruppo", conclude. Sul versante del contenimento dei costi, sono stati raggiunti obiettivi importanti. E' stato stabilito, infatti, in un'ottica di riequilibrio distributivo, che al piano di "spending review" partecipino anche i top manager e le figure professionali strategiche, con un taglio del 2,5% della loro retribuzione.
E' stato inoltre contenuto l'impatto economico delle giornate di solidarietà per dipendenti. Dalle attuali sei si riducono a cinque per chi ha un reddito fino a 35.000,00 euro lordi. Infine sarà possibile utilizzare anche integralmente le ferie arretrate, la banca delle ore arretrata ed il controvalore del ticket pasto fino a totale concorrenza dei sei/cinque giorni in sostituzione delle stesse giornate di solidarietà. L'accordo reintroduce dopo quattro anni il premio aziendale, che è pari a 300 euro e maggiorato in caso di prestazioni welfare, e regolamenta per la prima volta il Premio Variabile di Risultato. Per quanto riguarda il welfare aziendale, è stata confermata la struttura complessiva del sistema di assistenza e previdenza interno, dalla polizza sanitaria, alla contribuzione del datore di lavoro sul Fondo di previdenza integrativo, fino al valore dei buoni pasto. Istituti, questi ultimi, che l'azienda avrebbe disapplicato in caso di mancato accordo.
E' stata poi ampliata la base di calcolo del TFR, con accantonamenti aumentati del 17%, e incrementati i contributi aziendali per i neo assunti dell'1,5%. Sono state, infine, migliorate le previsioni normative sulla sicurezza, ed è stato istituito un organismo Paritetico sull'organizzazione del lavoro, il nuovo modello di banca e le nuove professionalità.
rassegna stampa: la repubblica 26 dicembre 2017
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/12/26/news/mps_anche_i_manager_si_tagliano_lo_stipendio-130206530/?ref=HRLV-6
giovedì 24 dicembre 2015
Nuove banche 'salvate' al riparo da azionisti e obbligazionisti
I nuovi manager specificano che non possono intraprendere azioni di
responsabilità verso la vecchia dirigenza, opzione aperta per i
commissari nell'ambito della liquidazione dei vecchi istituti. "Al
lavoro per famiglie e territori"
MILANO - Le Nuove banche (Etruria, Carife, Marche e CariChieti) nate a seguito del decreto del governo del 22 novembre scorso sono al riparo dalle rivendicazioni di azionisti e obbligazionisti subordinati delle vecchie istituzioni, ora poste in liquidazione coatta amministrativa dal Tesoro su indicazione di Bankitalia. Lo precisano le quattro banche risanate e sgravate dei crediti in sofferenza, in una nota che aggiunge altresì come il nuovo management (con Roberto Nicastro presidente unico dei quattro istituti) non possa dar corso ad azioni di responsabilità verso la vecchia dirigenza, sulla quale stanno cercando di far luce anche alcune indagini giudiziarie. Eventuali azioni di responsabilità, infatti, sono in capo ai commissari che hanno avviato la procedura di liquidazione, si chiarisce oggi precisando quel che fino a pochi giorni fa era ancora vago (non a caso, l'ad di Banca Etruria aveva detto di voler andare fino in fondo, anche con simili azioni).
Nella nota odierna si spiega poi che i consigli di amministrazione delle quattro banche si sono messi al lavoro e "concentrati sulle delibere interne necessarie ad accelerare la piena operatività delle 'Good Bank'" ponendo "massima attenzione sulle famiglie e sulle piccole imprese, promuovendo l'azione sui territori di tradizionale insediamento e facendo piena leva sull'eccellente solidità patrimoniale (oltre 1,800 miliardi di euro) di cui le nuove banche dispongono". Un chiaro messaggio per cercare di tamponare la minaccia di ritiro di c/c e investimenti da parte dei clienti scottati dall'azzeramento dei loro risparmi, che si sono riuniti nel gruppo delle Vittime del salva banche e chiedono un pieno ristoro del loro investimento, giudicando del tutto inadeguata la soluzione del governo di avviare arbitrati individuali e risarcire con un Fondo da massimi 100 milioni di euro.
I cda hanno inoltre accolto "con soddisfazione" i recentissimi rinnovi delle tesorerie del Comune di Pesaro e del Comune e della Provincia di Ferrara. In linea con lo status di nuove banche, spiega la nota, "si è poi avviato totale supporto e collaborazione: al Fondo per i risparmiatori in via di istituzione; alle Autorità inquirenti e di vigilanza per le indagini e approfondimenti relativi all'operato delle vecchie banche, nonchè ai commissari speciali delle vecchie banche per le azioni di responsabilità a essi spettanti". I consigli di amministrazione hanno, infine, voluto esprimere "profonda riconoscenza ai 6.000 dipendenti delle nuove banche per l'energia e la passione profusi verso l'azienda e verso la clientela in questa impegnativa fase di avvio".
rassegna stampa. la repubblica 24 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/24/news/nuove_banche_salvate_al_riparo_da_azionisti_e_obbligazionisti-130099973/
MILANO - Le Nuove banche (Etruria, Carife, Marche e CariChieti) nate a seguito del decreto del governo del 22 novembre scorso sono al riparo dalle rivendicazioni di azionisti e obbligazionisti subordinati delle vecchie istituzioni, ora poste in liquidazione coatta amministrativa dal Tesoro su indicazione di Bankitalia. Lo precisano le quattro banche risanate e sgravate dei crediti in sofferenza, in una nota che aggiunge altresì come il nuovo management (con Roberto Nicastro presidente unico dei quattro istituti) non possa dar corso ad azioni di responsabilità verso la vecchia dirigenza, sulla quale stanno cercando di far luce anche alcune indagini giudiziarie. Eventuali azioni di responsabilità, infatti, sono in capo ai commissari che hanno avviato la procedura di liquidazione, si chiarisce oggi precisando quel che fino a pochi giorni fa era ancora vago (non a caso, l'ad di Banca Etruria aveva detto di voler andare fino in fondo, anche con simili azioni).
Nella nota odierna si spiega poi che i consigli di amministrazione delle quattro banche si sono messi al lavoro e "concentrati sulle delibere interne necessarie ad accelerare la piena operatività delle 'Good Bank'" ponendo "massima attenzione sulle famiglie e sulle piccole imprese, promuovendo l'azione sui territori di tradizionale insediamento e facendo piena leva sull'eccellente solidità patrimoniale (oltre 1,800 miliardi di euro) di cui le nuove banche dispongono". Un chiaro messaggio per cercare di tamponare la minaccia di ritiro di c/c e investimenti da parte dei clienti scottati dall'azzeramento dei loro risparmi, che si sono riuniti nel gruppo delle Vittime del salva banche e chiedono un pieno ristoro del loro investimento, giudicando del tutto inadeguata la soluzione del governo di avviare arbitrati individuali e risarcire con un Fondo da massimi 100 milioni di euro.
I cda hanno inoltre accolto "con soddisfazione" i recentissimi rinnovi delle tesorerie del Comune di Pesaro e del Comune e della Provincia di Ferrara. In linea con lo status di nuove banche, spiega la nota, "si è poi avviato totale supporto e collaborazione: al Fondo per i risparmiatori in via di istituzione; alle Autorità inquirenti e di vigilanza per le indagini e approfondimenti relativi all'operato delle vecchie banche, nonchè ai commissari speciali delle vecchie banche per le azioni di responsabilità a essi spettanti". I consigli di amministrazione hanno, infine, voluto esprimere "profonda riconoscenza ai 6.000 dipendenti delle nuove banche per l'energia e la passione profusi verso l'azienda e verso la clientela in questa impegnativa fase di avvio".
rassegna stampa. la repubblica 24 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/24/news/nuove_banche_salvate_al_riparo_da_azionisti_e_obbligazionisti-130099973/
Allarme sui debiti del Regno Unito, rischio default delle famiglie
Quest'anno le famiglie della Gran Bretagna hanno speso 40 miliardi in
più di quanto guadagnato. Così il debito cresce: ormai si può calcolare
intorno alle 1.500 sterline a nucleo
LONDRA - Il Regno Unito a rischio default per colpa delle famiglie che spendono ormai più di quel che possono permettersi. Anzi, molto di più se è vero che la cifra ammonta, solo per quest'anno, a un indebitamento pari a 40 miliardi di sterline: soldi spesi, ma che non hanno guadagnato. L'allarme, riportato dall'Independent, arriva dall'Office for Budget responsability, un think tank economico che analizza le casse dello Stato e svluppa proiezioni a lungo termine sulla situazione monetaria del Paese.
Ebbene, i conti di fine anno dell'Obr sono tutt'altro che incoraggianti e alimentano i timori che la crescita economica del Paese sia legata all'impennata del debito. Un castello di carte, dunque, che potrebbe facilmente crollare, mandando la Gran Bretagna gambe all'aria. Per evitarlo, suggerisce l'organo, servirebbe una stretta creditizia simile a quella che nel 2008, causata anche allora dall'eccessivo indebitamento delle famiglie. In quei tempi i conti erano in nero, cioè in attivo, con un surplus pari a 70 miliardi di sterline. Sulla scia del crollo finanziario, la reazione fu però quella di frenare i consumi e risparmiare. Ora però, secondo l'Obr, un eccesso d'ottimismo ha portato ad affrontare spese folli in tutto il Paese e il credito familiare si è sinistramente mutato in un profondo rosso.
Come si è arrivati fin qui, lo spiega al quotidiano britannico la deputata britannica Seema Malhotra, segretario al tesoro nel governo ombra di Corbyn: "Il ministro delle finanze Osborne conta sulle spese delle famiglie britanniche, che indebitandosi gli permettono di raggiungere i suoi obiettivi di crescita. Un comportamento a rischio che danneggia, piuttosto che aiutare le famiglie britanniche. Il rischio che milioni di famiglie si trovino a breve ad affrontare gravi difficoltà dettate dai tassi di interesse che cominciano a salire è più che reale". Le fa eco l'ex segretario al Bilancio, Sir Vince Cable, che all'Independent dichiara: "Siamo in bilico su un tapis roulant: la crescita è sostenuta da prestiti personali. Di fatto, un magazzino gonfiato. Stiamo cioè tornando a forme infelici e screditate di falsa crescita economica".
Così, mentre il debito cresce, e ormai si può calcolare intorno alle 1.500 sterline a famiglia (più di 2mila euro al cambio attuale), il ministro Osborne si vanta di una crescita che gli ha permesso di tagliare i crediti di imposta e potenziare il servizio di polizia. I conti parlano chiaro: gli inglesi erano riusciti a risparmiare 68 miliardi di sterline rispetto a quel che guadagnavano nel biennio 2009-2010. Risparmi rapidamente assotigliatisi, che già nel 2012-13 ammontavano a un risparmio di "appena" 29 miliardi. L'anno dopo è iniziato il rosso: 12 miliardi in meno nel 2013-14, 29,4 nel 2014 e ora la previsione è appunto di 40 miliardi. Mentre le persone che non riescono a rientrare dalle spese fatte con carta di credito a oggi sono già 133mila. "Per carità", spiega la deputata anglo indiana Malhotra, "le famiglie hanno certo bisogno di credito: ma questo deve essere bilanciato con maggiori prospettive lavorative e di rafforzamento dell'economia". Prospettive che sembrano mancare a un governo dove almeno la metà dei ministri sembra guardare con sempre più simpatia al Brexit come soluzione di ogni problema. E intanto il Tesoro nega i numeri: "L'economia si sta riprendendo e la fiducia sta tornando" ha spiegato un suo portavoce. I rischi al sistema finanziario saranno rapidamente identificati, monitorati e affrontati efficacemente".
rassegna stampa: la repubblica: 23 dicembre 2015 - di Anna Lombardi
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/23/news/gran_bretagna_debiti-130034327/
LONDRA - Il Regno Unito a rischio default per colpa delle famiglie che spendono ormai più di quel che possono permettersi. Anzi, molto di più se è vero che la cifra ammonta, solo per quest'anno, a un indebitamento pari a 40 miliardi di sterline: soldi spesi, ma che non hanno guadagnato. L'allarme, riportato dall'Independent, arriva dall'Office for Budget responsability, un think tank economico che analizza le casse dello Stato e svluppa proiezioni a lungo termine sulla situazione monetaria del Paese.
Ebbene, i conti di fine anno dell'Obr sono tutt'altro che incoraggianti e alimentano i timori che la crescita economica del Paese sia legata all'impennata del debito. Un castello di carte, dunque, che potrebbe facilmente crollare, mandando la Gran Bretagna gambe all'aria. Per evitarlo, suggerisce l'organo, servirebbe una stretta creditizia simile a quella che nel 2008, causata anche allora dall'eccessivo indebitamento delle famiglie. In quei tempi i conti erano in nero, cioè in attivo, con un surplus pari a 70 miliardi di sterline. Sulla scia del crollo finanziario, la reazione fu però quella di frenare i consumi e risparmiare. Ora però, secondo l'Obr, un eccesso d'ottimismo ha portato ad affrontare spese folli in tutto il Paese e il credito familiare si è sinistramente mutato in un profondo rosso.
Come si è arrivati fin qui, lo spiega al quotidiano britannico la deputata britannica Seema Malhotra, segretario al tesoro nel governo ombra di Corbyn: "Il ministro delle finanze Osborne conta sulle spese delle famiglie britanniche, che indebitandosi gli permettono di raggiungere i suoi obiettivi di crescita. Un comportamento a rischio che danneggia, piuttosto che aiutare le famiglie britanniche. Il rischio che milioni di famiglie si trovino a breve ad affrontare gravi difficoltà dettate dai tassi di interesse che cominciano a salire è più che reale". Le fa eco l'ex segretario al Bilancio, Sir Vince Cable, che all'Independent dichiara: "Siamo in bilico su un tapis roulant: la crescita è sostenuta da prestiti personali. Di fatto, un magazzino gonfiato. Stiamo cioè tornando a forme infelici e screditate di falsa crescita economica".
Così, mentre il debito cresce, e ormai si può calcolare intorno alle 1.500 sterline a famiglia (più di 2mila euro al cambio attuale), il ministro Osborne si vanta di una crescita che gli ha permesso di tagliare i crediti di imposta e potenziare il servizio di polizia. I conti parlano chiaro: gli inglesi erano riusciti a risparmiare 68 miliardi di sterline rispetto a quel che guadagnavano nel biennio 2009-2010. Risparmi rapidamente assotigliatisi, che già nel 2012-13 ammontavano a un risparmio di "appena" 29 miliardi. L'anno dopo è iniziato il rosso: 12 miliardi in meno nel 2013-14, 29,4 nel 2014 e ora la previsione è appunto di 40 miliardi. Mentre le persone che non riescono a rientrare dalle spese fatte con carta di credito a oggi sono già 133mila. "Per carità", spiega la deputata anglo indiana Malhotra, "le famiglie hanno certo bisogno di credito: ma questo deve essere bilanciato con maggiori prospettive lavorative e di rafforzamento dell'economia". Prospettive che sembrano mancare a un governo dove almeno la metà dei ministri sembra guardare con sempre più simpatia al Brexit come soluzione di ogni problema. E intanto il Tesoro nega i numeri: "L'economia si sta riprendendo e la fiducia sta tornando" ha spiegato un suo portavoce. I rischi al sistema finanziario saranno rapidamente identificati, monitorati e affrontati efficacemente".
rassegna stampa: la repubblica: 23 dicembre 2015 - di Anna Lombardi
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/23/news/gran_bretagna_debiti-130034327/
mercoledì 23 dicembre 2015
Crolla la fiducia nelle banche: ormai sono affidabili solo per il 16%
La crisi degli istituti di credito riflette le difficoltà delle piccole
imprese nel Nordest e al Centro: hanno lo stesso appeal di sindacati e
partiti
LA FIDUCIA nelle banche è in declino. Non è certo una sorpresa né una novità. Ma la novità è che il disincanto ha colpito le aree dove il rapporto con il credito era, tradizionalmente, più solido. Quasi di complicità. Fra società e banche locali. D'altronde, la crisi ha "investito" (sia detto senza ironia) soprattutto istituti di credito locali del Centro e del Nordest. La Banca Popolare dell'Etruria, la Banca delle Marche e, prima ancora, il Monte dei Paschi di Siena, da una parte. La Popolare di Vicenza e Veneto Banca, dall'altra. E se osserviamo le 16 banche "commissariate" dalla Banca d'Italia, oltre metà (10, per la precisione) hanno radici dal Trentino all'Emilia Romagna. Dal Veneto alla Toscana. Fino all'Abruzzo. Da Folgaria a Padova e a Loreto. Da Ferrara a Chieti (che rientrano nel recente decreto del governo).
LE TABELLE
Non si tratta di un profilo casuale, per chi abbia analizzato le tendenze dello sviluppo economico e territoriale degli ultimi trent'anni. Disegna, infatti, la mappa delle aree di piccola impresa. E coincide, largamente, con la "Terza Italia", delineata da Arnaldo Bagnasco. Ripresa, in seguito, da Giorgio Fuà, nel modello NEC. Non a caso: Nord-Est (Giorgio Lago lo rinominò Nordest, senza trattino)/Centro. Un'Italia distinta dalle altre perché si sottrae ai sistemi di regolazione tradizionali, centrati sulla grande impresa (il Nord Ovest) e sullo Stato assistenziale (il Mezzogiorno). Questa Italia di Mezzo, invece, ha coltivato la complicità fra economia, società e politica. Fra "grandi partiti e piccole imprese" (per citare un importante volume di Carlo Trigilia). Zone bianche - il Nordest - e rosse - il Centro. Qui le banche sono anch'esse "locali". Raccolgono il risparmio e lo erogano, in modo diffuso. Nel territorio. Così, la crisi del sistema bancario riflette - e moltiplica - le difficoltà dei sistemi aziendali che, in queste aree, hanno perduto la spinta propulsiva degli anni Ottanta e Novanta. Ma risente anche della fine dei grandi partiti di massa, DC e PCI, che garantivano coesione e rappresentanza politica. Non solo ai cittadini, ma anche agli interessi.
L'andamento della fiducia nei confronti delle banche riproduce queste tendenze. Il grado di "confidenza" verso le banche, fra gli italiani, agli inizi degli anni 2000 era intorno al 30% (Oss. Demos per Repubblica). Non moltissimo, ma, comunque, non poco. D'altronde le banche sono percepite in modo diverso, secondo la scala territoriale. Sul piano nazionale e globale, sono le istituzioni della Finanza. Che si distingue dall'Economia - intesa come attività di produzione e di commercio dei beni. Per spiegarlo, Edmondo Berselli nel suo breve e straordinario saggio di commiato - "L'economia giusta" - ricorre alle parole di Mickey Rourke, in "Nove settimane e mezzo". Interpellato da Kim Basinger su cosa facesse, risponde, in modo definitivo: "I make money by money". Faccio soldi con i soldi. Per questo è difficile immaginare come le istituzioni bancarie possano mantenere un rapporto stretto e duraturo, con la società. In tempi di tempeste monetarie e finanziarie globali, il loro "credito" (non per caso sinonimo di "attività bancarie") si logora. Infatti, dopo la crisi del 2008, la fiducia nei loro confronti è calata sotto il 20%. E negli ultimi anni è scesa ulteriormente, attestandosi fra il 12 e il 16%. (Sondaggio Demos, dicembre 2015). Poco più del sindacato e, ovviamente, dei partiti.
Tuttavia, come si è detto, le banche sono "anche" riferimenti sociali e locali. Se il "credito" delle Banche, in generale, nel 2013, era intorno al 13%, la fiducia nella "banca utilizzata più spesso" saliva oltre il 50%. D'altronde, negli ultimi anni, gli italiani hanno continuato a utilizzare le banche, anche se in modo diverso dal passato. Lo conferma il 49simo Rapporto del Censis, presentato nelle scorse settimane. Gli italiani, sottolinea il Censis, hanno continuato ad accrescere il loro patrimonio finanziario. Ma hanno adottato strategie "fortemente difensive". Così hanno privilegiato, sempre più, il contante e i depositi bancari, mentre sono crollate le azioni e le obbligazioni. Negli ultimi mesi questa tendenza è proseguita. Si assiste, così, a un costante aumento della liquidità e, insieme, a un incremento di assicurazioni e fondi pensione. Mentre gli investimenti in azioni e obbligazioni degli italiani continuano a ridursi. (E anche questo spiega le operazioni, talora poco trasparenti, di alcune banche per orientare i clienti in questa direzione.)
D'altro canto, appunta il Censis, "il risparmio è ancora la scialuppa di salvataggio nel quotidiano", visto che, nell'anno trascorso, 3,1 milioni di famiglie hanno dovuto ricorrere ai risparmi per affrontare le spese mensili. Così, in questo clima di grande incertezza, non sorprende la ripresa delle transazioni e dei mutui immobiliari. La casa, dopo anni di stallo, sembra essere tornata un (bene) rifugio. In tutti i sensi.
Certo, le tempeste che hanno coinvolto - e talora sconvolto - le banche, soprattutto locali, non hanno origine "solo" finanziaria. Così, il loro impatto, le loro conseguenze non riguardano e non riguarderanno "solo" economia e finanza. Ma riflettono le - e si rifletteranno nelle - trasformazioni e tensioni dello sviluppo territoriale. Per questo a risentirne maggiormente sembrano le regioni della Terza Italia. Del Centro e del Nordest. Il "credito" nei confronti delle banche, infatti, negli ultimi anni è calato maggiormente proprio lì. Di circa 10 punti nel Nordest e nel Centro, mentre nel Nord Ovest è diminuito di 4 punti e nel Mezzogiorno di 7.
Dietro alla crisi delle banche si coglie, così, la crisi del rapporto fra economia, società e politica. Nelle regioni dove lo sviluppo si è rivelato più intenso, negli ultimi trent'anni. Proprio lì, le piccole imprese non sono più re-attive come un tempo. I partiti di massa sono scomparsi. Al loro posto: i "post-partiti"(descritti da Paolo Mancini, in un recente saggio edito dal Mulino). Accanto alle post-banche. Anch'esse "sospese" in uno spazio senza territorio. Simboli e sintomi di una post-Italia dove mi sento spaesato. E che, francamente, mi sarei "risparmiato".
rassegna stampa: la repubblica 22 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/politica/2015/12/22/news/crolla_la_fiducia_negli_istituti_di_credito_ormai_sono_affidabili_solo_per_il_16_-129958224/?ref=HRER2-2
LA FIDUCIA nelle banche è in declino. Non è certo una sorpresa né una novità. Ma la novità è che il disincanto ha colpito le aree dove il rapporto con il credito era, tradizionalmente, più solido. Quasi di complicità. Fra società e banche locali. D'altronde, la crisi ha "investito" (sia detto senza ironia) soprattutto istituti di credito locali del Centro e del Nordest. La Banca Popolare dell'Etruria, la Banca delle Marche e, prima ancora, il Monte dei Paschi di Siena, da una parte. La Popolare di Vicenza e Veneto Banca, dall'altra. E se osserviamo le 16 banche "commissariate" dalla Banca d'Italia, oltre metà (10, per la precisione) hanno radici dal Trentino all'Emilia Romagna. Dal Veneto alla Toscana. Fino all'Abruzzo. Da Folgaria a Padova e a Loreto. Da Ferrara a Chieti (che rientrano nel recente decreto del governo).
LE TABELLE
Non si tratta di un profilo casuale, per chi abbia analizzato le tendenze dello sviluppo economico e territoriale degli ultimi trent'anni. Disegna, infatti, la mappa delle aree di piccola impresa. E coincide, largamente, con la "Terza Italia", delineata da Arnaldo Bagnasco. Ripresa, in seguito, da Giorgio Fuà, nel modello NEC. Non a caso: Nord-Est (Giorgio Lago lo rinominò Nordest, senza trattino)/Centro. Un'Italia distinta dalle altre perché si sottrae ai sistemi di regolazione tradizionali, centrati sulla grande impresa (il Nord Ovest) e sullo Stato assistenziale (il Mezzogiorno). Questa Italia di Mezzo, invece, ha coltivato la complicità fra economia, società e politica. Fra "grandi partiti e piccole imprese" (per citare un importante volume di Carlo Trigilia). Zone bianche - il Nordest - e rosse - il Centro. Qui le banche sono anch'esse "locali". Raccolgono il risparmio e lo erogano, in modo diffuso. Nel territorio. Così, la crisi del sistema bancario riflette - e moltiplica - le difficoltà dei sistemi aziendali che, in queste aree, hanno perduto la spinta propulsiva degli anni Ottanta e Novanta. Ma risente anche della fine dei grandi partiti di massa, DC e PCI, che garantivano coesione e rappresentanza politica. Non solo ai cittadini, ma anche agli interessi.
L'andamento della fiducia nei confronti delle banche riproduce queste tendenze. Il grado di "confidenza" verso le banche, fra gli italiani, agli inizi degli anni 2000 era intorno al 30% (Oss. Demos per Repubblica). Non moltissimo, ma, comunque, non poco. D'altronde le banche sono percepite in modo diverso, secondo la scala territoriale. Sul piano nazionale e globale, sono le istituzioni della Finanza. Che si distingue dall'Economia - intesa come attività di produzione e di commercio dei beni. Per spiegarlo, Edmondo Berselli nel suo breve e straordinario saggio di commiato - "L'economia giusta" - ricorre alle parole di Mickey Rourke, in "Nove settimane e mezzo". Interpellato da Kim Basinger su cosa facesse, risponde, in modo definitivo: "I make money by money". Faccio soldi con i soldi. Per questo è difficile immaginare come le istituzioni bancarie possano mantenere un rapporto stretto e duraturo, con la società. In tempi di tempeste monetarie e finanziarie globali, il loro "credito" (non per caso sinonimo di "attività bancarie") si logora. Infatti, dopo la crisi del 2008, la fiducia nei loro confronti è calata sotto il 20%. E negli ultimi anni è scesa ulteriormente, attestandosi fra il 12 e il 16%. (Sondaggio Demos, dicembre 2015). Poco più del sindacato e, ovviamente, dei partiti.
Tuttavia, come si è detto, le banche sono "anche" riferimenti sociali e locali. Se il "credito" delle Banche, in generale, nel 2013, era intorno al 13%, la fiducia nella "banca utilizzata più spesso" saliva oltre il 50%. D'altronde, negli ultimi anni, gli italiani hanno continuato a utilizzare le banche, anche se in modo diverso dal passato. Lo conferma il 49simo Rapporto del Censis, presentato nelle scorse settimane. Gli italiani, sottolinea il Censis, hanno continuato ad accrescere il loro patrimonio finanziario. Ma hanno adottato strategie "fortemente difensive". Così hanno privilegiato, sempre più, il contante e i depositi bancari, mentre sono crollate le azioni e le obbligazioni. Negli ultimi mesi questa tendenza è proseguita. Si assiste, così, a un costante aumento della liquidità e, insieme, a un incremento di assicurazioni e fondi pensione. Mentre gli investimenti in azioni e obbligazioni degli italiani continuano a ridursi. (E anche questo spiega le operazioni, talora poco trasparenti, di alcune banche per orientare i clienti in questa direzione.)
D'altro canto, appunta il Censis, "il risparmio è ancora la scialuppa di salvataggio nel quotidiano", visto che, nell'anno trascorso, 3,1 milioni di famiglie hanno dovuto ricorrere ai risparmi per affrontare le spese mensili. Così, in questo clima di grande incertezza, non sorprende la ripresa delle transazioni e dei mutui immobiliari. La casa, dopo anni di stallo, sembra essere tornata un (bene) rifugio. In tutti i sensi.
Certo, le tempeste che hanno coinvolto - e talora sconvolto - le banche, soprattutto locali, non hanno origine "solo" finanziaria. Così, il loro impatto, le loro conseguenze non riguardano e non riguarderanno "solo" economia e finanza. Ma riflettono le - e si rifletteranno nelle - trasformazioni e tensioni dello sviluppo territoriale. Per questo a risentirne maggiormente sembrano le regioni della Terza Italia. Del Centro e del Nordest. Il "credito" nei confronti delle banche, infatti, negli ultimi anni è calato maggiormente proprio lì. Di circa 10 punti nel Nordest e nel Centro, mentre nel Nord Ovest è diminuito di 4 punti e nel Mezzogiorno di 7.
Dietro alla crisi delle banche si coglie, così, la crisi del rapporto fra economia, società e politica. Nelle regioni dove lo sviluppo si è rivelato più intenso, negli ultimi trent'anni. Proprio lì, le piccole imprese non sono più re-attive come un tempo. I partiti di massa sono scomparsi. Al loro posto: i "post-partiti"(descritti da Paolo Mancini, in un recente saggio edito dal Mulino). Accanto alle post-banche. Anch'esse "sospese" in uno spazio senza territorio. Simboli e sintomi di una post-Italia dove mi sento spaesato. E che, francamente, mi sarei "risparmiato".
rassegna stampa: la repubblica 22 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/politica/2015/12/22/news/crolla_la_fiducia_negli_istituti_di_credito_ormai_sono_affidabili_solo_per_il_16_-129958224/?ref=HRER2-2
lunedì 21 dicembre 2015
Toshiba verso un rosso record, licenzierà 6.800 dipendenti
La società stima perdite per 4,2 miliardi di euro: più del doppio degli
utili cumulati negli ultimi 20 anni. A pesare sui conti è soprattutto lo
scandalo delle frodi contabili
MILANO - Toshiba, nel tentativo di riprendersi dallo scandalo delle frodi contabili, ha annunciato la soppressione di 6.800 posti di lavoro, su un organico che alla fine dello scorso marzo contava 198.700 dipendenti. Una ristrutturazione che coinvolge televisioni, pc ed elettrodomestici: un'azione drastica dettata dalla previsione di una perdita annuale record di 550 miliardi di yen (4,2 miliardi di euro) per l'esercizio che da aprile 2015 a marzo 2016: il rosso stimato è più che doppia rispetto agli utili cumulati degli ultimi 20 anni.
I guai di una delle più celebri compagnie giapponesi, fondata 140 anni fa, sono legati a un imbarazzante scandalo contabile, esploso alcuni mesi fa, che ha costretto il presidente e sette top manager alle dimissioni. Era emerso che dal 2008 i dirigenti dell'azienda avevano sistematicamente falsificato i bilanci trimestrali gonfiando gli utili di complessivi 1,2 miliardi di dollari. Gli investitori hanno, di conseguenza, abbandonato la società, che ha visto dimezzarsi in meno di un anno la propria capitalizzazione di mercato.
"Considerando quanto male si siano messe le cose, questo livello di ristrutturazione è il minimo che possano fare" dice a Bloomberg Mitsushige Akino, analisti di Ichiyoshi asset management che poi aggiunge: "Devono fare di più, ma non è facile come taglia persone e chiudere divisioni in perdita. La domanda è quali saranno i risultati due anni dopo la ristrutturazione". La società ha deciso anche di vendere l'impianto di produzione di televisioni in Indonesia e di chiudere il centro di ricerca alla periferia di Tokyo.
Il numero uno del gruppo, Masashi Muromachi, sta lavorando con il management dopo le dimissioni dei precedenti vertici che si sono assunti la responsabilità delle irregolarità contabili. Toshiba ha già annunciato che intenterà un'azione legale nei confronti dei vecchi dirigenti, inclusi gli ultimi due direttori finanziari. "Avvero una forte responsabilità, farò tutto il possibile per traghettare la compagnia verso acque sicure e recuperare la fiducia di tutti" ha detto Muromachi. A complicare i piani del gruppo è anche la causa intentata alla compagnia dagli azionisti, mentre l'autorità giapponese di vigilanza sui mercati ha proposto una multa da 60 milioni di dollari. Nel frattempo, Toshiba stessa ha denunciato gli ex manager considerati responsabili degli illeciti. Oltre al taglio dei dipendenti della divisioni lifestyle, la compagnia ridurrà di mille unità i dipendenti della divisione corporate e di 2.800 lavoratori quella dei chip.
rassegna stampa: la repubblica 21 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/12/21/news/toshiba_licenzia_6_800_dipendenti_un_terzo_della_forza_lavoro-129906055/?ref=HREC1-25
MILANO - Toshiba, nel tentativo di riprendersi dallo scandalo delle frodi contabili, ha annunciato la soppressione di 6.800 posti di lavoro, su un organico che alla fine dello scorso marzo contava 198.700 dipendenti. Una ristrutturazione che coinvolge televisioni, pc ed elettrodomestici: un'azione drastica dettata dalla previsione di una perdita annuale record di 550 miliardi di yen (4,2 miliardi di euro) per l'esercizio che da aprile 2015 a marzo 2016: il rosso stimato è più che doppia rispetto agli utili cumulati degli ultimi 20 anni.
I guai di una delle più celebri compagnie giapponesi, fondata 140 anni fa, sono legati a un imbarazzante scandalo contabile, esploso alcuni mesi fa, che ha costretto il presidente e sette top manager alle dimissioni. Era emerso che dal 2008 i dirigenti dell'azienda avevano sistematicamente falsificato i bilanci trimestrali gonfiando gli utili di complessivi 1,2 miliardi di dollari. Gli investitori hanno, di conseguenza, abbandonato la società, che ha visto dimezzarsi in meno di un anno la propria capitalizzazione di mercato.
"Considerando quanto male si siano messe le cose, questo livello di ristrutturazione è il minimo che possano fare" dice a Bloomberg Mitsushige Akino, analisti di Ichiyoshi asset management che poi aggiunge: "Devono fare di più, ma non è facile come taglia persone e chiudere divisioni in perdita. La domanda è quali saranno i risultati due anni dopo la ristrutturazione". La società ha deciso anche di vendere l'impianto di produzione di televisioni in Indonesia e di chiudere il centro di ricerca alla periferia di Tokyo.
Il numero uno del gruppo, Masashi Muromachi, sta lavorando con il management dopo le dimissioni dei precedenti vertici che si sono assunti la responsabilità delle irregolarità contabili. Toshiba ha già annunciato che intenterà un'azione legale nei confronti dei vecchi dirigenti, inclusi gli ultimi due direttori finanziari. "Avvero una forte responsabilità, farò tutto il possibile per traghettare la compagnia verso acque sicure e recuperare la fiducia di tutti" ha detto Muromachi. A complicare i piani del gruppo è anche la causa intentata alla compagnia dagli azionisti, mentre l'autorità giapponese di vigilanza sui mercati ha proposto una multa da 60 milioni di dollari. Nel frattempo, Toshiba stessa ha denunciato gli ex manager considerati responsabili degli illeciti. Oltre al taglio dei dipendenti della divisioni lifestyle, la compagnia ridurrà di mille unità i dipendenti della divisione corporate e di 2.800 lavoratori quella dei chip.
rassegna stampa: la repubblica 21 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/12/21/news/toshiba_licenzia_6_800_dipendenti_un_terzo_della_forza_lavoro-129906055/?ref=HREC1-25
JpMorgan paga 150 milioni per lo scandalo del trading londinese
Gli errori della divisione londinese, emersi nel 2012, erano costati
oltre 6 miliardi di perdite e 40 miliardi di capitalizzazione: saranno
tutelati tutti gli investitori che hanno comprato titoli della banca tra
il 13 aprile e il 21 maggio 2012
MILANO - JPMorgan Chase pagherà una multa da 150 milioni di dollari per archiviare accuse collegate allo scandalo della "London Whale", ovvero la vicenda legata a errori di trading della divisione londinese emersi nel 2012 e che hanno provocato alla banca perdite per 6,2 miliardi di dollari. Come riporta l'emittente televisiva Cnbc, i dettagli del patteggiamento sono stati depositati al tribunale di Manhattan e metteranno fine a una causa collettiva intentata dopo che la questione è venuta a galla.
Gli azionisti accusavano JPMorgan di avere consapevolmente nascosto gli alti rischi collegati alle attività del cio in più occasioni, compresa una conference call di aprile 2012, quando l'amministratore delegato Jamie Dimon aveva liquidato le prime indiscrezioni sulla vicenda definendole "una tempesta in un bicchier d'acqua". Nell'ambito dell'accordo, saranno tutelati tutti gli investitori che hanno comprato titoli di JPMorgan tra il 13 aprile e il 21 maggio 2012, periodo in cui le azioni della banca avevano perso quasi un quarto del loro valore, bruciando capitalizzazione per 40 miliardi di dollari. JPMorgan in passato ha già pagato multe per oltre 1 miliardo di dollari collegate alla vicenda e ha ammesso di avere commesso violazioni nell'ambito del patteggiamento con le autorità britanniche e americane.
rassegna stampa: la Repubblica 21 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/12/21/news/jpmorgan_paga_150_milioni_per_lo_scandalo_del_trading_londinese-129943929/?ref=HRLV-6
MILANO - JPMorgan Chase pagherà una multa da 150 milioni di dollari per archiviare accuse collegate allo scandalo della "London Whale", ovvero la vicenda legata a errori di trading della divisione londinese emersi nel 2012 e che hanno provocato alla banca perdite per 6,2 miliardi di dollari. Come riporta l'emittente televisiva Cnbc, i dettagli del patteggiamento sono stati depositati al tribunale di Manhattan e metteranno fine a una causa collettiva intentata dopo che la questione è venuta a galla.
Gli azionisti accusavano JPMorgan di avere consapevolmente nascosto gli alti rischi collegati alle attività del cio in più occasioni, compresa una conference call di aprile 2012, quando l'amministratore delegato Jamie Dimon aveva liquidato le prime indiscrezioni sulla vicenda definendole "una tempesta in un bicchier d'acqua". Nell'ambito dell'accordo, saranno tutelati tutti gli investitori che hanno comprato titoli di JPMorgan tra il 13 aprile e il 21 maggio 2012, periodo in cui le azioni della banca avevano perso quasi un quarto del loro valore, bruciando capitalizzazione per 40 miliardi di dollari. JPMorgan in passato ha già pagato multe per oltre 1 miliardo di dollari collegate alla vicenda e ha ammesso di avere commesso violazioni nell'ambito del patteggiamento con le autorità britanniche e americane.
rassegna stampa: la Repubblica 21 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/12/21/news/jpmorgan_paga_150_milioni_per_lo_scandalo_del_trading_londinese-129943929/?ref=HRLV-6
sabato 19 dicembre 2015
Bankitalia ammette: dei risparmiatori ce ne infischiavamo
Candida quanto fantastica ammissione del direttore generale di
Bankitalia, Salvatore Rossi, intervistato da Lucia Annunziata nella
trasmissione "In mezz'ora" su Rai3. "Da qualche anno abbiamo capito - ha
detto Rossi - che oltre a vigilare sulla solidità delle banche era bene
che ci occupassimo anche dei loro comportamenti verso i clienti". Per
questo, ha aggiunto, da quattro anni è stato istituito un apposito
servizio che ha già esaminato 14.000 esposti dei risparmiatori.
"Da qualche anno abbiamo capito"... Ma complimenti! Bella prontezza di riflessi, e soprattutto bella pretesa di potersela cavare solo istituendo un ufficio reclami. Mentre dunque le banche si comportavano con i clienti come il bottegaio che pesa la carta insieme al prosciutto senza mettere la tara alla bilancia, Bankitalia non se ne interessava (ce ne eravamo accorti!), perché "non aveva capito". E neanche la Consob aveva capito, perché è ad essa che spetta la vigilanza sui comportamenti degli intermediari.
Non stiamo parlando, qui, di infrazioni alla legge, come può essere quella di vendere - per dire - obbligazioni Cirio quando si sa che la società sta fallendo. Parliamo dei casi come quelli di cui abbiamo detto nel precedente articolo, in cui non ci sono vere e proprie illegalità, ma comunque danni per i risparmiatori che vengono spinti ad investire non al meglio per loro, ma in ciò che porta un vantaggio al venditore, approfittando della disparità di informazioni e di comprensione dei meccanismi finanziari. I controllori, Consob e Bankitalia, non hanno fatto il proprio dovere (non solo ora, in tutti gli ultimi decenni), che era quello di applicare l'artcolo 47 della Costituzione: "La Repubblica tutela il risparmio...".
Bankitalia può difendersi dicendo che il suo compito è quello di vigilare sulla stabilità delle banche, mentre dei comportamenti deve occuparsi la Consob. Ma sarebbe una difesa assai debole: come ha detto Rossi, anche la correttezza dei comportamenti incide sulla stabilità (è questo che - ha confessato - "hanno capito" solo da poco). E sarebbe comunque una giustificazione che si appiglia a un fatto formale. Nella sostanza, trattandosi di fenomeni diffusissimi ed evidenti obiettare solo "non è compito mio" senza nemmeno aver fatto una pubblica denuncia, o aver esercitato la famosa "moral suasion" che è uno degli strumenti delle banche centrali, comporta una chiara corresponsabilità.
Rossi ha parlato della possibilità di varare una legge che impedisca di vendere alla clientela al dettaglio prodotti rischiosi e tecnicamente complessi. Può essere una parte della soluzione, ma non basterà ad evitare tutti i raggiri di fatto che vengono perpetrati a danno dei piccoli investitori. Per quello ci vogliono delle Authority che stiano veramente dalla loro parte, e non siano pigre e distratte come sono state nel passato e come ancora oggi sono.
rassegna stampa: la repubblica 13 dicembre 2015
http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2015/12/13/bankitalia-ammette-dei-risparmiatori-ce-ne-infischiavamo/
"Da qualche anno abbiamo capito"... Ma complimenti! Bella prontezza di riflessi, e soprattutto bella pretesa di potersela cavare solo istituendo un ufficio reclami. Mentre dunque le banche si comportavano con i clienti come il bottegaio che pesa la carta insieme al prosciutto senza mettere la tara alla bilancia, Bankitalia non se ne interessava (ce ne eravamo accorti!), perché "non aveva capito". E neanche la Consob aveva capito, perché è ad essa che spetta la vigilanza sui comportamenti degli intermediari.
Non stiamo parlando, qui, di infrazioni alla legge, come può essere quella di vendere - per dire - obbligazioni Cirio quando si sa che la società sta fallendo. Parliamo dei casi come quelli di cui abbiamo detto nel precedente articolo, in cui non ci sono vere e proprie illegalità, ma comunque danni per i risparmiatori che vengono spinti ad investire non al meglio per loro, ma in ciò che porta un vantaggio al venditore, approfittando della disparità di informazioni e di comprensione dei meccanismi finanziari. I controllori, Consob e Bankitalia, non hanno fatto il proprio dovere (non solo ora, in tutti gli ultimi decenni), che era quello di applicare l'artcolo 47 della Costituzione: "La Repubblica tutela il risparmio...".
Bankitalia può difendersi dicendo che il suo compito è quello di vigilare sulla stabilità delle banche, mentre dei comportamenti deve occuparsi la Consob. Ma sarebbe una difesa assai debole: come ha detto Rossi, anche la correttezza dei comportamenti incide sulla stabilità (è questo che - ha confessato - "hanno capito" solo da poco). E sarebbe comunque una giustificazione che si appiglia a un fatto formale. Nella sostanza, trattandosi di fenomeni diffusissimi ed evidenti obiettare solo "non è compito mio" senza nemmeno aver fatto una pubblica denuncia, o aver esercitato la famosa "moral suasion" che è uno degli strumenti delle banche centrali, comporta una chiara corresponsabilità.
Rossi ha parlato della possibilità di varare una legge che impedisca di vendere alla clientela al dettaglio prodotti rischiosi e tecnicamente complessi. Può essere una parte della soluzione, ma non basterà ad evitare tutti i raggiri di fatto che vengono perpetrati a danno dei piccoli investitori. Per quello ci vogliono delle Authority che stiano veramente dalla loro parte, e non siano pigre e distratte come sono state nel passato e come ancora oggi sono.
rassegna stampa: la repubblica 13 dicembre 2015
http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2015/12/13/bankitalia-ammette-dei-risparmiatori-ce-ne-infischiavamo/
giovedì 17 dicembre 2015
Scendono le sofferenze bancarie, non accadeva dal 2012
A ottobre le sofferenze sono scese di 1,4 miliardi rispetto a settembre,
ma la crescita annua resta del +11%. La dinamica dei prestiti al
settore privato è prossima allo zero. Mutui, i tassi medi al 2,57%: è il
valore più basso dal luglio 2010
MILANO - Le sofferenze bancarie registrano per la prima volta dal 2012 un'inversione di rotta, seppur minima. Un segnale comunque da cogliere, visto che da Mario Draghi in giù si considera il problema dei crediti di difficile esigibilità come uno dei più pressanti per il sistema bancario. Lo dicono i dati Abi, secondo i quali le sofferenze al lordo delle svalutazioni del sistema bancario italiano sono risultate pari a 199 miliardi in ottobre, 1,4 miliardi in meno rispetto a settembre ma circa 19,6 miliardi in più rispetto a ottobre 2014. Si tratta del primo miglioramento dal marzo 2012 (quando scesero a 107,592 miliardi dai 107,637 miliardi di febbraio) e, precedentemente, dal bimestre ottobre-novembre 2008 (-3,71 miliardi). Su base annua l'incremento delle sofferenze lorde è dell'11% in ottobre, comunque in forte frenata dal +21,7% dell'ottobre 2014.
Al di là tornano di questo aspetto positivo, a novembre 2015 il totale dei finanziamenti in essere a famiglie e imprese ha ancira presentato una variazione negativa, seppur prossima allo zero (-0,03%) nei confronti di novembre 2014; il mese precedente era stato -0,3% e - sottolinea l'Abi - questo di novembre 2015 per i prestiti bancari a famiglie e imprese è il miglior risultato da aprile 2012. Positiva a fine novembre la variazione annua del totale prestiti all'economia (che include anche la pubblica amministrazione) a +0,1%.
Nel solo segmento dei mutui, le nuove erogazioni per l'acquisto di immobili hanno registrato un incremento annuo del +94,3% rispetto al medesimo arco temporale dello scorso anno. Il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni si è attestato al 2,57% il valore più basso da luglio 2010.
rassegna stampa. la repubblica 15 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/15/news/abi_mutui_prestiti-129530929/
MILANO - Le sofferenze bancarie registrano per la prima volta dal 2012 un'inversione di rotta, seppur minima. Un segnale comunque da cogliere, visto che da Mario Draghi in giù si considera il problema dei crediti di difficile esigibilità come uno dei più pressanti per il sistema bancario. Lo dicono i dati Abi, secondo i quali le sofferenze al lordo delle svalutazioni del sistema bancario italiano sono risultate pari a 199 miliardi in ottobre, 1,4 miliardi in meno rispetto a settembre ma circa 19,6 miliardi in più rispetto a ottobre 2014. Si tratta del primo miglioramento dal marzo 2012 (quando scesero a 107,592 miliardi dai 107,637 miliardi di febbraio) e, precedentemente, dal bimestre ottobre-novembre 2008 (-3,71 miliardi). Su base annua l'incremento delle sofferenze lorde è dell'11% in ottobre, comunque in forte frenata dal +21,7% dell'ottobre 2014.
Al di là tornano di questo aspetto positivo, a novembre 2015 il totale dei finanziamenti in essere a famiglie e imprese ha ancira presentato una variazione negativa, seppur prossima allo zero (-0,03%) nei confronti di novembre 2014; il mese precedente era stato -0,3% e - sottolinea l'Abi - questo di novembre 2015 per i prestiti bancari a famiglie e imprese è il miglior risultato da aprile 2012. Positiva a fine novembre la variazione annua del totale prestiti all'economia (che include anche la pubblica amministrazione) a +0,1%.
Nel solo segmento dei mutui, le nuove erogazioni per l'acquisto di immobili hanno registrato un incremento annuo del +94,3% rispetto al medesimo arco temporale dello scorso anno. Il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni si è attestato al 2,57% il valore più basso da luglio 2010.
rassegna stampa. la repubblica 15 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/15/news/abi_mutui_prestiti-129530929/
Stipendi, il 2016 sarà un anno di crescita: previsto +1,5%
Dinamica positiva per i salari reali, ma in diminuzione rispetto alla
crescita del 2,1% del 2015. La foto delle difficoltà della gavetta: in
Italia retribuzioni d'ingresso più basse del 70% rispetto alla Germania
MILANO - Si annuncia un anno positivo per gli stipendi, che potrebbero crescere intorno all'1,5%. E' questa la previsione dell'Osservatorio Tower Watson sulle politiche retributive, per il quale la busta paga del prossimo anno sarà più pesante del 2,6% rispetto al 2015. Guardando a circa cinquecento aziende, prevalentemente medio-grandi e appartenenti a tutti i principali settori industriali, l'indagine considera appunto che - al netto dell'inflazione - la crescita reale dei salari sarà di un punto e mezzo. Si tratta comunque di un rallentamento rispetto al 2,1% del 2015, ma nel complesso si andrebbe a ridurre il gap con gli altri Paesi occidentali che, in passato, generalmente hanno offerti compensi più elevati.
"Nel 2015 la crescita delle retribuzioni in Italia si è mantenuta intorno al 2,5%, dato consolidato negli ultimi anni, analogo a quello della Francia, ma inferiore rispetto a Regno Unito (2,8%) e superiore a Irlanda (2,4%) e Germania e Spagna (2,3%). Per il prossimo anno le previsioni sono assolutamente in linea con questo trend", dice la ricerca. "La crescita reale media delle retribuzioni nell'area EMEA è prevista intorno all'1,6%, con una punta del 2,1% per la Svizzera (altri paesi in forte crescita come la Turchia rileverebbero un aumento inferiore all'1%)".
Calcolatore: il tuo stipendio è corretto?
La ricerca segmenta anche le prospettive per le tipologie di inquadramento superiori: "Per quanto riguarda dirigenti e middle manager dei diversi Paesi europei, nel nostro paese il compenso medio è di 78mila euro per la parte fissa, più un 15% di retribuzione variabile, livello sostanzialmente in linea con quello degli omologhi francesi (i transalpini guadagnano mediamente il 3,2% in più) e superiore a quello degli spagnoli (+9,3%) e portoghesi (+19,2%). Il confronto con le altre grandi economie del Vecchio continente risulta invece penalizzante: dirigenti e middle manager italiani guadagnano in media il 17,6% in meno dei pari ruolo britannici e quasi un quarto in meno nel confronto con i tedeschi (il 23,4% per la precisione). Livelli retributivi più elevati sono anche registrati presso le aziende austriache (+19,6% sugli italiani), belghe (+18,5%) e olandesi (+16,5%)".
A livello di settori merceologici, i maggiori incrementi salariali dovrebbero riguardare chi lavora nella finanza (+2,9%), grazie al miglioramento dei conti da parte degli istituti bancari dopo la lunga stagione delle ristrutturazioni, e nel comparto media e intrattenimento (+2,8%), uno dei più penalizzati negli ultimi anni. Il trend si annuncia, invece, meno incisivo nel segmento energy e nel largo consumo (+2,5%), nel settore Retail/Grande Distribuzione (che segna l'incremento inferiore, 1,9%), mentre il settore Chimico dovrebbe segnare un +2,2%.
In Italia, però, resta la grande difficoltà della stagione della gavetta: c'è "un sensibile divario tra le retribuzioni di ingresso previste in Italia rispetto alle politiche praticate agli altri paesi europei: -70% rispetto alla Germania, -44% rispetto all'Austria, -38% rispetto al Belgio, -24% rispetto alla Francia, -55% rispetto all'Inghilterra. Peggiori dell'Italia solo Spagna e Portogallo".
rassegna stampa: la repubblica 17 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/17/news/stipendi_il_2016_sara_un_anno_positivo_previsto_1_5_-129667192/?ref=HRLV-6
MILANO - Si annuncia un anno positivo per gli stipendi, che potrebbero crescere intorno all'1,5%. E' questa la previsione dell'Osservatorio Tower Watson sulle politiche retributive, per il quale la busta paga del prossimo anno sarà più pesante del 2,6% rispetto al 2015. Guardando a circa cinquecento aziende, prevalentemente medio-grandi e appartenenti a tutti i principali settori industriali, l'indagine considera appunto che - al netto dell'inflazione - la crescita reale dei salari sarà di un punto e mezzo. Si tratta comunque di un rallentamento rispetto al 2,1% del 2015, ma nel complesso si andrebbe a ridurre il gap con gli altri Paesi occidentali che, in passato, generalmente hanno offerti compensi più elevati.
"Nel 2015 la crescita delle retribuzioni in Italia si è mantenuta intorno al 2,5%, dato consolidato negli ultimi anni, analogo a quello della Francia, ma inferiore rispetto a Regno Unito (2,8%) e superiore a Irlanda (2,4%) e Germania e Spagna (2,3%). Per il prossimo anno le previsioni sono assolutamente in linea con questo trend", dice la ricerca. "La crescita reale media delle retribuzioni nell'area EMEA è prevista intorno all'1,6%, con una punta del 2,1% per la Svizzera (altri paesi in forte crescita come la Turchia rileverebbero un aumento inferiore all'1%)".
Calcolatore: il tuo stipendio è corretto?
La ricerca segmenta anche le prospettive per le tipologie di inquadramento superiori: "Per quanto riguarda dirigenti e middle manager dei diversi Paesi europei, nel nostro paese il compenso medio è di 78mila euro per la parte fissa, più un 15% di retribuzione variabile, livello sostanzialmente in linea con quello degli omologhi francesi (i transalpini guadagnano mediamente il 3,2% in più) e superiore a quello degli spagnoli (+9,3%) e portoghesi (+19,2%). Il confronto con le altre grandi economie del Vecchio continente risulta invece penalizzante: dirigenti e middle manager italiani guadagnano in media il 17,6% in meno dei pari ruolo britannici e quasi un quarto in meno nel confronto con i tedeschi (il 23,4% per la precisione). Livelli retributivi più elevati sono anche registrati presso le aziende austriache (+19,6% sugli italiani), belghe (+18,5%) e olandesi (+16,5%)".
A livello di settori merceologici, i maggiori incrementi salariali dovrebbero riguardare chi lavora nella finanza (+2,9%), grazie al miglioramento dei conti da parte degli istituti bancari dopo la lunga stagione delle ristrutturazioni, e nel comparto media e intrattenimento (+2,8%), uno dei più penalizzati negli ultimi anni. Il trend si annuncia, invece, meno incisivo nel segmento energy e nel largo consumo (+2,5%), nel settore Retail/Grande Distribuzione (che segna l'incremento inferiore, 1,9%), mentre il settore Chimico dovrebbe segnare un +2,2%.
In Italia, però, resta la grande difficoltà della stagione della gavetta: c'è "un sensibile divario tra le retribuzioni di ingresso previste in Italia rispetto alle politiche praticate agli altri paesi europei: -70% rispetto alla Germania, -44% rispetto all'Austria, -38% rispetto al Belgio, -24% rispetto alla Francia, -55% rispetto all'Inghilterra. Peggiori dell'Italia solo Spagna e Portogallo".
rassegna stampa: la repubblica 17 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/17/news/stipendi_il_2016_sara_un_anno_positivo_previsto_1_5_-129667192/?ref=HRLV-6
Usa: arrestato Shkreli, il finanziere che speculava sui farmaci
Incriminato a New York per frode per aver distratto fondi di una sua
società su due fondi di investimento senza contropartita finanziaria,
facendo perdere 11 milioni di dollari ai suoi azionisti. A settembre era
diventato l'uomo più odiato d'America per aver portato il prezzo di un
medicinale anti-aids da 13,50 a 750 dollari da un giorno all'altro
ROMA - E' stato arrestato e incriminato per frode e distrazione fraudolenta di fondi Martin Shkreli, il finanziere e imprenditore farmaceutico balzato in prima pagina nel settembre scorso per aver alzato il prezzo di un proprio farmaco utilizzato per la cura dell'Aids da 13,50 a 750 dollari. La sua decisione aveva sollevato enormi polemiche negli Usa, provocando persino un'iniziativa legislativa di Hillary Clinton contro gli abusi delle aziende farmaceutiche in danno dei malati. I federali lo hanno arrestato all'alba nel suo appartamento nel centro di Manhattan.
Il vulcanico Shkreli, 32 anni, belloccio dal viso molto cinematografico, una lunga carriera di operazioni 'provocatorie' alle spalle, è stato arrestato oggi a New York e incriminato per aver truffato gli investitori attraverso due fondi di investimento da lui gestiti: MSMB Capital Management et MSMB Healthcare Management. Secondo l'accusa, Shkreli avrebbe trasferito azioni dell'azienda farmaceutica Retrophin ai due fondi senza alcuna contropartita finanziaria. In tutto, Retrophin e is suoi azionisti avrebbero perduto più di 11 milioni di dollari nell'operazione, secondo quanto affermato ai media dal procuratore distrettuale di New York, Robert Calpers che, nei confronti di Shkrlei, ha presentato sette capi d'accusa (i principali sono la frode e la distrazione di fondi) presso un giudice federale di Brooklin. I fatti sarebbero andati avanti per cinque anni, dal 2009 all'anno scorso.
Con Shkreli è finito sotto accusa anche l'avvocato Evan Greebel, sospettato di aver consigliato l'imprenditore-finanziere nelle sue operazione in danno di Retrophin. Personaggio rampante e dalle uscite spettacolari, molto presente per questo sui media americani, Martin Shkreli si era specializzato nell'acquistare brevetti farmaceutici a buon mercato per poi rimetterli in commercio a prezzi rialzatissimi. Il caso più clamoroso, a settembre scorso, aveva scatenato una rivolta nell'opinione pubblica, quando la Turing Pharmaceuticals, un'altra delle sue società, aveva aumentato del 5000% il prezzo del Daraprim, un farmaco utilizzato anche nelle terapie anti-Aids, portandolo da 13,50 dollari a 750 dollari da un giorno all'altro. Shkreli era diventato di colpo l'uomo più odiato d'America. Il giorno dopo aveva annunciato il dietro-front, mentre in realtà la Turing era andata a rinegoziare i prezzi.
Il procuratore per spiegare ai media i meccanismi della frode ha citato lo 'schema Ponzi', citando il sistema di truffa piramidale attuatò negli anni Venti da Carlo Ponzi, un immigrato italiano protagonistra di un raggiro delle dimensioni rimaste storiche. In sostanza, per ripianare gli investimenti sbagliati con i due hedge fund, Shkreli avrebbe truffato gli azionisti delle sue società, innanzitutto mentendo sullo stato di salute dei fondi e presentando bilanci senza alcun legame con la realtà: nel 2010, ha detto il procuratore, per procurarsi nuovi capitali, il faccendiere aveva detto agli investitori che il fondo MSMB Capital Management aveva un attivo di 35 milioni di dollari, mentre in realtà in cassa c'erano appena 700 dollari.
"Non ci fermeremo nel perseguire truffe come queste. Il messaggio è chiaro: porteremo i responsabili davanti alla giustizia" ha detto il procuratore. Il meccanismo delle truffe si perpetua in queste ore anche nei danni agli investitori: dopo la notizia dell'arresto di Shkreli, le azioni della società farmaceutica Kalobios, rilevata dal finanziere solo un mese fa, hanno perso più del 50% del loro valore.
rassegna stampa: la repubblica 17 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/salute/2015/12/17/news/usa_incriminato_per_frode_finanzierie_shkreli_porto_prezzo_farmaco_anti-aids_da_13_a_750_dollari-129701999/?ref=HRER3-1
ROMA - E' stato arrestato e incriminato per frode e distrazione fraudolenta di fondi Martin Shkreli, il finanziere e imprenditore farmaceutico balzato in prima pagina nel settembre scorso per aver alzato il prezzo di un proprio farmaco utilizzato per la cura dell'Aids da 13,50 a 750 dollari. La sua decisione aveva sollevato enormi polemiche negli Usa, provocando persino un'iniziativa legislativa di Hillary Clinton contro gli abusi delle aziende farmaceutiche in danno dei malati. I federali lo hanno arrestato all'alba nel suo appartamento nel centro di Manhattan.
Il vulcanico Shkreli, 32 anni, belloccio dal viso molto cinematografico, una lunga carriera di operazioni 'provocatorie' alle spalle, è stato arrestato oggi a New York e incriminato per aver truffato gli investitori attraverso due fondi di investimento da lui gestiti: MSMB Capital Management et MSMB Healthcare Management. Secondo l'accusa, Shkreli avrebbe trasferito azioni dell'azienda farmaceutica Retrophin ai due fondi senza alcuna contropartita finanziaria. In tutto, Retrophin e is suoi azionisti avrebbero perduto più di 11 milioni di dollari nell'operazione, secondo quanto affermato ai media dal procuratore distrettuale di New York, Robert Calpers che, nei confronti di Shkrlei, ha presentato sette capi d'accusa (i principali sono la frode e la distrazione di fondi) presso un giudice federale di Brooklin. I fatti sarebbero andati avanti per cinque anni, dal 2009 all'anno scorso.
Con Shkreli è finito sotto accusa anche l'avvocato Evan Greebel, sospettato di aver consigliato l'imprenditore-finanziere nelle sue operazione in danno di Retrophin. Personaggio rampante e dalle uscite spettacolari, molto presente per questo sui media americani, Martin Shkreli si era specializzato nell'acquistare brevetti farmaceutici a buon mercato per poi rimetterli in commercio a prezzi rialzatissimi. Il caso più clamoroso, a settembre scorso, aveva scatenato una rivolta nell'opinione pubblica, quando la Turing Pharmaceuticals, un'altra delle sue società, aveva aumentato del 5000% il prezzo del Daraprim, un farmaco utilizzato anche nelle terapie anti-Aids, portandolo da 13,50 dollari a 750 dollari da un giorno all'altro. Shkreli era diventato di colpo l'uomo più odiato d'America. Il giorno dopo aveva annunciato il dietro-front, mentre in realtà la Turing era andata a rinegoziare i prezzi.
Il procuratore per spiegare ai media i meccanismi della frode ha citato lo 'schema Ponzi', citando il sistema di truffa piramidale attuatò negli anni Venti da Carlo Ponzi, un immigrato italiano protagonistra di un raggiro delle dimensioni rimaste storiche. In sostanza, per ripianare gli investimenti sbagliati con i due hedge fund, Shkreli avrebbe truffato gli azionisti delle sue società, innanzitutto mentendo sullo stato di salute dei fondi e presentando bilanci senza alcun legame con la realtà: nel 2010, ha detto il procuratore, per procurarsi nuovi capitali, il faccendiere aveva detto agli investitori che il fondo MSMB Capital Management aveva un attivo di 35 milioni di dollari, mentre in realtà in cassa c'erano appena 700 dollari.
"Non ci fermeremo nel perseguire truffe come queste. Il messaggio è chiaro: porteremo i responsabili davanti alla giustizia" ha detto il procuratore. Il meccanismo delle truffe si perpetua in queste ore anche nei danni agli investitori: dopo la notizia dell'arresto di Shkreli, le azioni della società farmaceutica Kalobios, rilevata dal finanziere solo un mese fa, hanno perso più del 50% del loro valore.
rassegna stampa: la repubblica 17 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/salute/2015/12/17/news/usa_incriminato_per_frode_finanzierie_shkreli_porto_prezzo_farmaco_anti-aids_da_13_a_750_dollari-129701999/?ref=HRER3-1
mercoledì 16 dicembre 2015
Caso Ciappazzi, condannati Geronzi e Arpe in Appello
Per la compravendita delle acque del gruppo alla Parmalat di Tanzi, i
due ex vertici di Banca di Roma sono stati condannati in secondo grado
dal Tribunale di Bologna
MILANO - Quattro anni e sei mesi all'ex presidente di Banca di Roma-Capitalia Cesare Geronzi, tre anni e sei mesi all'ex dg Capitalia Matteo Arpe. Sono le pene rideterminate dalla seconda sezione penale della Corte di Appello di Bologna nel nuovo giudizio di secondo grado per la vicenda della vendita delle acque Ciappazzi, filone nato dall'inchiesta sul crac Parmalat del 2003. La Cassazione aveva disposto di rivedere al ribasso le pene per la prescrizione e la riqualificazione di alcuni reati.
Il primo appello aveva confermato le decisioni del tribunale di Parma: il 29 novembre 2011 Geronzi era stato condannato in primo grado a cinque anni per bancarotta e usura; per Arpe c'era stata una condanna per bancarotta a tre anni e sette mesi. La Cassazione per Geronzi aveva annullato, senza rinvio, la sentenza per la parte relativa all'usura. Entrambi nell'appello bis hanno avuto assoluzioni per parti di imputazioni. Sono state inoltre rideterminate le pene anche per altri quattro manager bancari imputati con Arpe e Geronzi: tre anni e tre mesi per Riccardo Tristano, tre anni e due mesi per Roberto Monza e per Antonio Muto, due anni e due mesi per Eugenio Favale. In teoria anche queste nuove determinazioni della corte potrebbero essere oggetto di impugnazione, solo però per quanto riguarda l'entità della pena.
Al centro del processo c'era l'affare Ciappazzi, combinato, secondo l'accusa, tra il gruppo Ciarrapico e la Parmalat di Calisto Tanzi su pressione illecita di Cesare Geronzi che, all'epoca dei fatti, nel 2002, era il numero uno del gruppo bancario romano. Tanzi avrebbe acquistato la società di acque minerali (in uno stato di completo sfacelo), ad un prezzo gonfiato per ottenere poi dal gruppo Capitalia un finanziamento da 50 milioni, che sarebbe servito a tenere a galla il settore turismo della Parmalat. La banca, dal canto suo, avrebbe consentito al gruppo Ciarrapico di incamerare i soldi della vendita e di conseguenza far rientrare in Banca di Roma (poi Capitalia) i fondi di un finanziamento concesso anni prima.
Le difese hanno già avviato la controffensiva. "Nel corso dell’udienza dell’appello Bis del Processo Ciappazzi/Parmatour in corso di svolgimento presso la Corte di Appello di Bologna al fine di rideterminare le pene, il prof. Domenico Pulitanò e il prof. Valerio Onida hanno reso noto che in data 23 novembre è stata depositata presso la Corte di Appello di Ancona una richiesta di revisione a loro firma dell’intero processo in relazione alla posizione del dott. Matteo Arpe".
rassegna stampa: la repubblica 16 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/12/14/news/caso_ciappazzi_condannati_geronzi_e_arpe_in_appello-129468969/
MILANO - Quattro anni e sei mesi all'ex presidente di Banca di Roma-Capitalia Cesare Geronzi, tre anni e sei mesi all'ex dg Capitalia Matteo Arpe. Sono le pene rideterminate dalla seconda sezione penale della Corte di Appello di Bologna nel nuovo giudizio di secondo grado per la vicenda della vendita delle acque Ciappazzi, filone nato dall'inchiesta sul crac Parmalat del 2003. La Cassazione aveva disposto di rivedere al ribasso le pene per la prescrizione e la riqualificazione di alcuni reati.
Il primo appello aveva confermato le decisioni del tribunale di Parma: il 29 novembre 2011 Geronzi era stato condannato in primo grado a cinque anni per bancarotta e usura; per Arpe c'era stata una condanna per bancarotta a tre anni e sette mesi. La Cassazione per Geronzi aveva annullato, senza rinvio, la sentenza per la parte relativa all'usura. Entrambi nell'appello bis hanno avuto assoluzioni per parti di imputazioni. Sono state inoltre rideterminate le pene anche per altri quattro manager bancari imputati con Arpe e Geronzi: tre anni e tre mesi per Riccardo Tristano, tre anni e due mesi per Roberto Monza e per Antonio Muto, due anni e due mesi per Eugenio Favale. In teoria anche queste nuove determinazioni della corte potrebbero essere oggetto di impugnazione, solo però per quanto riguarda l'entità della pena.
Al centro del processo c'era l'affare Ciappazzi, combinato, secondo l'accusa, tra il gruppo Ciarrapico e la Parmalat di Calisto Tanzi su pressione illecita di Cesare Geronzi che, all'epoca dei fatti, nel 2002, era il numero uno del gruppo bancario romano. Tanzi avrebbe acquistato la società di acque minerali (in uno stato di completo sfacelo), ad un prezzo gonfiato per ottenere poi dal gruppo Capitalia un finanziamento da 50 milioni, che sarebbe servito a tenere a galla il settore turismo della Parmalat. La banca, dal canto suo, avrebbe consentito al gruppo Ciarrapico di incamerare i soldi della vendita e di conseguenza far rientrare in Banca di Roma (poi Capitalia) i fondi di un finanziamento concesso anni prima.
Le difese hanno già avviato la controffensiva. "Nel corso dell’udienza dell’appello Bis del Processo Ciappazzi/Parmatour in corso di svolgimento presso la Corte di Appello di Bologna al fine di rideterminare le pene, il prof. Domenico Pulitanò e il prof. Valerio Onida hanno reso noto che in data 23 novembre è stata depositata presso la Corte di Appello di Ancona una richiesta di revisione a loro firma dell’intero processo in relazione alla posizione del dott. Matteo Arpe".
rassegna stampa: la repubblica 16 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/12/14/news/caso_ciappazzi_condannati_geronzi_e_arpe_in_appello-129468969/
Mps, Consob: "Contabilizzare Alexandria come derivato"
L'intervento dopo accertamenti della procura di Milano. L'istituto Banca
prende atto e stima impatto negativo su 2015 per 130 milioni
MILANO - L'operazione Alexandria, messa in piedi dalla gestione Mussari e Vigni con l'aiuto di Nomura per finanziare l'acquisto di Antonveneta e all'origine dello scandalo che ha travolto la banca senese dal 2013 a oggi, va contabilizzata nei bilanci del Monte dei Paschi di Siena come un derivato. E' questa la conclusione a cui è arrivata la Consob, su assist della Procura di Milano, e a cui la banca adesso dovrà rispondere modificando gli ultimi bilanci.
Un vero e proprio 'boomerang', quindi, visto che la nuova gestione della banca rappresentata da Fabrizio Viola aveva disinnescato questa 'mina' soltanto pochi mesi fa (lo scorso 23 settembre), tirando fuori dalle tasche altri 359 milioni di euro. Adesso per il Monte, che esclude impatti patrimoniali, si prospetta un effetto fiscale negativo sul bilancio del 2015 per altri 130 milioni, dopo un impatto differenziale positivo per 714 milioni.
La Consob ha contestato il bilancio 2014 e la prima semestrale 2015 di Mps, definendoli "non conformi" alle regole per quanto riguarda la contabilizzazione dell'operazione legata al derivato Alexandria, chiusa a settembre con un accordo siglato con Nomura. La procura avrebbe accertato, (grazie a "persone che possono riferire circostanze utili alle indagini" e a "ulteriori elementi documentali acquisiti"), che "i titoli BTP 2034 non sono stati mai acquistati da Nomura", che li aveva sostituiti acquistando altri BTP (2033, 2039 e 2040). Una "circostanza che era nota", si legge ancora, ai manager della banca senese che effettuarono l'operazione (Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri). Anzi, loro avevano "condiviso preordinatamente" le modalità di esecuzione dell'operazione.
L'istituto, in una nota diffusa su richiesta della commissione, fa sapere che "procederà a modificare nel bilancio 2015 e nelle successive rendicontazioni la rappresentazione contabile dell'operazione" dal momento che "non reputa né coerente né utile per il perseguimento degli interessi propri e degli stakeholder in genere impugnare il provvedimento emesso dalla Consob in quanto, tra l'altro, riguardante un'operazione ormai chiusa". Secondo l'istituto, l'impatto fiscale su Mps potrebbe ammontare a 130 milioni di euro. Lo si legge nella nota con cui l'istituto ha dato notizia delle contestazioni della commissione, nate da quanto emerso dalle indagini della Procura di Milano. "Facendo riferimento ai soli impatti economici differenziali stimati sugli esercizi interessati (2009-2015), va tenuto presente - informa Mps - il rischio che, in aggiunta alle imposte relative ai maggiori proventi dell'esercizio 2015, vi sia un effetto fiscale negativo che potrà essere compiutamente determinato solo a seguito di approfondite analisi e che, allo stato, è possibile stimare in un importo pari a circa 130 milioni di euro".
rassegna stampa: la Repubblica 16 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/16/news
/mps_consob_contabilizzare_alexandia_come_derivato_-129638843/?ref=HRER1-1
MILANO - L'operazione Alexandria, messa in piedi dalla gestione Mussari e Vigni con l'aiuto di Nomura per finanziare l'acquisto di Antonveneta e all'origine dello scandalo che ha travolto la banca senese dal 2013 a oggi, va contabilizzata nei bilanci del Monte dei Paschi di Siena come un derivato. E' questa la conclusione a cui è arrivata la Consob, su assist della Procura di Milano, e a cui la banca adesso dovrà rispondere modificando gli ultimi bilanci.
Un vero e proprio 'boomerang', quindi, visto che la nuova gestione della banca rappresentata da Fabrizio Viola aveva disinnescato questa 'mina' soltanto pochi mesi fa (lo scorso 23 settembre), tirando fuori dalle tasche altri 359 milioni di euro. Adesso per il Monte, che esclude impatti patrimoniali, si prospetta un effetto fiscale negativo sul bilancio del 2015 per altri 130 milioni, dopo un impatto differenziale positivo per 714 milioni.
La Consob ha contestato il bilancio 2014 e la prima semestrale 2015 di Mps, definendoli "non conformi" alle regole per quanto riguarda la contabilizzazione dell'operazione legata al derivato Alexandria, chiusa a settembre con un accordo siglato con Nomura. La procura avrebbe accertato, (grazie a "persone che possono riferire circostanze utili alle indagini" e a "ulteriori elementi documentali acquisiti"), che "i titoli BTP 2034 non sono stati mai acquistati da Nomura", che li aveva sostituiti acquistando altri BTP (2033, 2039 e 2040). Una "circostanza che era nota", si legge ancora, ai manager della banca senese che effettuarono l'operazione (Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri). Anzi, loro avevano "condiviso preordinatamente" le modalità di esecuzione dell'operazione.
L'istituto, in una nota diffusa su richiesta della commissione, fa sapere che "procederà a modificare nel bilancio 2015 e nelle successive rendicontazioni la rappresentazione contabile dell'operazione" dal momento che "non reputa né coerente né utile per il perseguimento degli interessi propri e degli stakeholder in genere impugnare il provvedimento emesso dalla Consob in quanto, tra l'altro, riguardante un'operazione ormai chiusa". Secondo l'istituto, l'impatto fiscale su Mps potrebbe ammontare a 130 milioni di euro. Lo si legge nella nota con cui l'istituto ha dato notizia delle contestazioni della commissione, nate da quanto emerso dalle indagini della Procura di Milano. "Facendo riferimento ai soli impatti economici differenziali stimati sugli esercizi interessati (2009-2015), va tenuto presente - informa Mps - il rischio che, in aggiunta alle imposte relative ai maggiori proventi dell'esercizio 2015, vi sia un effetto fiscale negativo che potrà essere compiutamente determinato solo a seguito di approfondite analisi e che, allo stato, è possibile stimare in un importo pari a circa 130 milioni di euro".
rassegna stampa: la Repubblica 16 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/16/news
/mps_consob_contabilizzare_alexandia_come_derivato_-129638843/?ref=HRER1-1
martedì 15 dicembre 2015
Paperoni: 1.347 persone con 11 miliardi di media. Le donne corrono più degli uomini
Nell'ultimo ventennio la schiera dei miliardari si è infoltita di 5,2
volte, mentre quella delle colleghe è cresciuta di 6,6 volte. Boom per
le asiatiche. Dal 1995 al 2014 il patrimonio medio di questi
super-ricchi è cresciuto da 2,9 a 11 miliardi battendo il Pil mondiale
MILANO - Zio Paperone dovrebbe prepararsi a diventare Zia, per tenere il passo con i tempi: il ritmo di crescita delle miliardarie donne è ben maggiore di quello degli uomini, seconco quanto riferisce uno studio di Ubs e PwC. La popolazione miliardaria femminile è cresciuta più rapidamente rispetto ai coetanei maschi: sempre nell'ultimo ventennio, infatti, il loro numero si è moltiplicato di 6,6 volte rispetto a 5,2 volte per gli uomini. Nel 1995 questa indagine catalogava 289 miliardari, dei quali soltanto 126 sono sopravvissuti nella schiera dei più ricchi. Ma nel frattempo ne sono arrivati 1.221 nuovi, portando il totale del 2014 a 1.347 miliardari.
A livello geografico, più recentemente sono le donne asiatiche ad avere il ritmo di crescita della schiera delle ricch: si è espansa di 8,3 volte, nell'ultimo decennio, contro il 2,7 dell'Europa e l'1,7 degli Stati Uniti. Per di più, nell'Est del mondo ci sono le miliardarie che davverno possono dire di essersi fatte da sole: più della metà delle ricche asiatiche sono 'self made', mentre in Occidente prevalgono le ereditiere. Soltanto il 7% delle ricchissime europee deve a se stesso la sua fortuna.
I miliardari donne hanno altre virtù. Fanno crescere più velocemente le proprie aziende familiari: nel 57% dei casi negli Stati Uniti, il 63% in Europa e il 96% in Asia, sono creatori di ricchezza "attivi". I miliardari nel complesso sono stati in grado di accrescere le loro proprietà, sempre nell'ultimo ventennio, a un ritmo che nessun indice azionario o il Pil globale nel suo complesso sono riusciti a mantenere: da una media di 2,9 miliardi di dollari nel 1995 a 11 miliardi di dollari.
La ricerca dice anche come mantenere la fortuna non sia compito facile: soltanto il 44% dei miliardari del 1995, 126 Paperoni, lo è ancora oggi. Anche i ricchissimi hanno infatti le loro paure, che il report identifica principalmente con il quadro normativo e fiscale: sono queste le sfide principali per mantenere il proprio patrimonio. Se invece sono richiesti di spiegare quale sia il segreto della loro ricchezza, a vincere sono l'aderenza al business iniziale di famiglia, una forte governance e una chiara identità familiare e culturale: sono fondamentali per la costruzione di eredità durature.
rassegna stampa: la repubblica 15 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/15/news/ricchi_miliardari-129522244/?ref=HRLV-5
MILANO - Zio Paperone dovrebbe prepararsi a diventare Zia, per tenere il passo con i tempi: il ritmo di crescita delle miliardarie donne è ben maggiore di quello degli uomini, seconco quanto riferisce uno studio di Ubs e PwC. La popolazione miliardaria femminile è cresciuta più rapidamente rispetto ai coetanei maschi: sempre nell'ultimo ventennio, infatti, il loro numero si è moltiplicato di 6,6 volte rispetto a 5,2 volte per gli uomini. Nel 1995 questa indagine catalogava 289 miliardari, dei quali soltanto 126 sono sopravvissuti nella schiera dei più ricchi. Ma nel frattempo ne sono arrivati 1.221 nuovi, portando il totale del 2014 a 1.347 miliardari.
A livello geografico, più recentemente sono le donne asiatiche ad avere il ritmo di crescita della schiera delle ricch: si è espansa di 8,3 volte, nell'ultimo decennio, contro il 2,7 dell'Europa e l'1,7 degli Stati Uniti. Per di più, nell'Est del mondo ci sono le miliardarie che davverno possono dire di essersi fatte da sole: più della metà delle ricche asiatiche sono 'self made', mentre in Occidente prevalgono le ereditiere. Soltanto il 7% delle ricchissime europee deve a se stesso la sua fortuna.
I miliardari donne hanno altre virtù. Fanno crescere più velocemente le proprie aziende familiari: nel 57% dei casi negli Stati Uniti, il 63% in Europa e il 96% in Asia, sono creatori di ricchezza "attivi". I miliardari nel complesso sono stati in grado di accrescere le loro proprietà, sempre nell'ultimo ventennio, a un ritmo che nessun indice azionario o il Pil globale nel suo complesso sono riusciti a mantenere: da una media di 2,9 miliardi di dollari nel 1995 a 11 miliardi di dollari.
La ricerca dice anche come mantenere la fortuna non sia compito facile: soltanto il 44% dei miliardari del 1995, 126 Paperoni, lo è ancora oggi. Anche i ricchissimi hanno infatti le loro paure, che il report identifica principalmente con il quadro normativo e fiscale: sono queste le sfide principali per mantenere il proprio patrimonio. Se invece sono richiesti di spiegare quale sia il segreto della loro ricchezza, a vincere sono l'aderenza al business iniziale di famiglia, una forte governance e una chiara identità familiare e culturale: sono fondamentali per la costruzione di eredità durature.
rassegna stampa: la repubblica 15 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/15/news/ricchi_miliardari-129522244/?ref=HRLV-5
Adepp: "Professionisti più poveri, redditi scesi del 18% con la crisi"
Il rapporto delle casse di previdenza private traccia l'erosione di
reddito reale tra il 2007 e il 2014: lo stipendio si ferma a 28mila
euro. Intanto aumentano gli iscritti, che nell'ultimo anno sfiorano 1,5
milioni
MILANO - Professionisti sempre più poveri. A certificarlo è l'Adepp, l'associazione delle casse di previdenza private, che nel suo ultimo rapporto spiega come il reddito medio degli iscritti sia "crollato", con una perdita in termini reali del 18,35% tra 2007, prima del deflagrare della crisi, e il 2014, anno per cui è disponibile l'ultimo aggiornamento.
In euro, sempre in termini reali, ossia considerando il valore al netto dell'inflazione, il reddito dei liberi professionisti iscritti all'Adepp è sotto quota 30 mila, fermandosi a 28.960,02 euro annui. La flessione, si spiega nel rapporto, è dovuta principalmente agli effetti erosivi della crescita dei prezzi, che negli anni passati, a differenza di adesso, si è fata sentire. Infatti, fa notare l'Adepp, "il valore nominale dei redditi tra il 2005 e il 2014 non è cresciuto, pertanto - chiarisce - l'inflazione cumulata nel periodo di analisi ha provocato un decremento considerevole del reddito reale", cioè del potere d'acquisto. Riepilogando, i guadagni (nel 2014 il reddito nominale si si ferma 34.549,30 euro annui) non hanno fatto fronte all'avanzata dei prezzi, minando la capacità di spesa della categoria.
JobPricing. Calcola il tuo stipendio
Il numero degli iscritti all'Adepp è salito anche nell'ultimo anno e ormai sfiorano quota 1,5 milioni. Il nuovo rapporto dell'Associazione della casse di previdenza private, parla di 1.469.637 professionisti, dati aggiornati al 2014. Rispetto all'anno prima l'aumento è stato pari al 3,52%, che diventa il 20% se si guarda all'ultimo decennio (2005-2014). Fuori dalle percentuali si tratta di oltre 50 mila iscritti in più nel giro di un anno.
rassegna stampa. la repubblica 15 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/15/news
/professionisti_stipendi_redditi_crisi_economica-129509040/?ref=HRLV-4
MILANO - Professionisti sempre più poveri. A certificarlo è l'Adepp, l'associazione delle casse di previdenza private, che nel suo ultimo rapporto spiega come il reddito medio degli iscritti sia "crollato", con una perdita in termini reali del 18,35% tra 2007, prima del deflagrare della crisi, e il 2014, anno per cui è disponibile l'ultimo aggiornamento.
In euro, sempre in termini reali, ossia considerando il valore al netto dell'inflazione, il reddito dei liberi professionisti iscritti all'Adepp è sotto quota 30 mila, fermandosi a 28.960,02 euro annui. La flessione, si spiega nel rapporto, è dovuta principalmente agli effetti erosivi della crescita dei prezzi, che negli anni passati, a differenza di adesso, si è fata sentire. Infatti, fa notare l'Adepp, "il valore nominale dei redditi tra il 2005 e il 2014 non è cresciuto, pertanto - chiarisce - l'inflazione cumulata nel periodo di analisi ha provocato un decremento considerevole del reddito reale", cioè del potere d'acquisto. Riepilogando, i guadagni (nel 2014 il reddito nominale si si ferma 34.549,30 euro annui) non hanno fatto fronte all'avanzata dei prezzi, minando la capacità di spesa della categoria.
JobPricing. Calcola il tuo stipendio
Il numero degli iscritti all'Adepp è salito anche nell'ultimo anno e ormai sfiorano quota 1,5 milioni. Il nuovo rapporto dell'Associazione della casse di previdenza private, parla di 1.469.637 professionisti, dati aggiornati al 2014. Rispetto all'anno prima l'aumento è stato pari al 3,52%, che diventa il 20% se si guarda all'ultimo decennio (2005-2014). Fuori dalle percentuali si tratta di oltre 50 mila iscritti in più nel giro di un anno.
rassegna stampa. la repubblica 15 dicembre 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/15/news
/professionisti_stipendi_redditi_crisi_economica-129509040/?ref=HRLV-4
lunedì 14 dicembre 2015
Volkswagen, la caduta dell’ex ad Winterkorn. Da manager più pagato di Germania al rischio bancarotta
Secondo la Frankfurter Allgemeine Zeitung, l'ex numero uni del gruppo
tedesco potrebbe pagare carissimo lo scandalo dei diesel truccati anche
nel caso non ne risultasse direttamente responsabile
Dalle stelle alla stalle. Da manager più pagato di Germania a pensionato in bancarotta. Secondo l’edizione domenicale della Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAS) è un’ipotesi più che plausibile. L’autorevole quotidiano ha interpellato un esperto, Gregor Bachmann, docente di diritto alla libera Università di Berlino (FU Berlin), a giudizio del quale Martin Wintekorn, ex numero uno di Volkswagen Group, potrebbe perdere tutti i suoi averi. Si tratterebbe di un “caso estremo”, ma non può essere escluso perché in campo azionario i manager possono venire chiamati in causa anche nel caso non abbiano organizzato adeguatamente l’impresa che avevano la responsabilità di guidare.
In sintesi, anche se a Winterkorn non fossero imputabili relazioni dirette con il “dieselgate” – cioè anche solo di essere stato a conoscenza della manipolazione o aver di aver addirittura avallato l’adozione del software incriminato – potrebbe rischiare di dover contribuire “in solido” con il suo patrimonio personale al risarcimento del danno. Il mancato controllo sulle attività del gruppo è una ragione sufficiente, spiega il docente.
Fin dall’inizio, i vertici di Volkswagen – sollecitati anche dai rappresentanti dei lavoratori, dagli investitori e dall’opinione pubblica – hanno minacciato conseguenze dure per i responsabili della frode sulle emissioni di NOx. Alcuni responsabili sarebbero già stati individuati, anche se né il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Poetsch, né il CEO, Mueller, hanno voluto fare nomi nel corso della conferenza stampa “chiarificatrice” dell’altro giorno. Di sicuro, oltre ai manager messi a riposo forzato, c’è stato il licenziamento di Ulrich Hackenberg.
Secondo Bachmann nel caso peggiore “Winterkorn rischia di perdere tutti i suoi risparmi”. Che non dovrebbero essere pochi. Il 68enne ingegnere era a capo del gruppo dal novembre del 2009 con uno stipendio tra i 12 ed i 17 milioni (nel 2011) euro l’anno: nel 2016 il totale era di 16 milioni e tre anni avrebbe sfiorato i 20 se egli stesso non ne avesse chiesto una riduzione (che gli venne immediatamente accordata). Non solo: per la sua pensione il gruppo ha accantonato una cifra vicina ai 29 milioni di euro. L’assegno mensile supera i 110.000 euro.
Winterkorn faceva anche qualche “lavoretto” extra, ad esempio come amministratore delegato di Porsche SE, la “cassaforte” attraverso la quale le famiglie Piech e Porsche controllano il 52% dei diritti di voto di Volkswagen Group. Questo incarico gli fruttava altri 832.000 euro, ma si è dimesso a metà ottobre. Cifre stratosferiche, che impallidiscono di fronte a quella incassata da Wendelin Wiedeking, ex numero uno di Porsche, che secondo i calcoli di Der Spiegel, in un solo anno, tra il 2007 ed il 2008, aveva percepito 100,6 milioni di euro (2 milioni di stipendio, una una tantum di mezzo milione ed il resto di compartecipazione agli utili). Adesso è sotto processo con l’accusa di aver manipolato il mercato attraverso informazioni improprie in occasione della tentata scalata di Porsche a Volskwagen.
rassegna stampa: il fatto quotidiano - di Mattia Eccheli - 14 dicembre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/14/volkswagen-la-caduta-dellex-ad-winterkorn-da-manager-piu-pagato-di-germania-al-rischio-bancarotta/2302009/
Dalle stelle alla stalle. Da manager più pagato di Germania a pensionato in bancarotta. Secondo l’edizione domenicale della Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAS) è un’ipotesi più che plausibile. L’autorevole quotidiano ha interpellato un esperto, Gregor Bachmann, docente di diritto alla libera Università di Berlino (FU Berlin), a giudizio del quale Martin Wintekorn, ex numero uno di Volkswagen Group, potrebbe perdere tutti i suoi averi. Si tratterebbe di un “caso estremo”, ma non può essere escluso perché in campo azionario i manager possono venire chiamati in causa anche nel caso non abbiano organizzato adeguatamente l’impresa che avevano la responsabilità di guidare.
In sintesi, anche se a Winterkorn non fossero imputabili relazioni dirette con il “dieselgate” – cioè anche solo di essere stato a conoscenza della manipolazione o aver di aver addirittura avallato l’adozione del software incriminato – potrebbe rischiare di dover contribuire “in solido” con il suo patrimonio personale al risarcimento del danno. Il mancato controllo sulle attività del gruppo è una ragione sufficiente, spiega il docente.
Fin dall’inizio, i vertici di Volkswagen – sollecitati anche dai rappresentanti dei lavoratori, dagli investitori e dall’opinione pubblica – hanno minacciato conseguenze dure per i responsabili della frode sulle emissioni di NOx. Alcuni responsabili sarebbero già stati individuati, anche se né il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Poetsch, né il CEO, Mueller, hanno voluto fare nomi nel corso della conferenza stampa “chiarificatrice” dell’altro giorno. Di sicuro, oltre ai manager messi a riposo forzato, c’è stato il licenziamento di Ulrich Hackenberg.
Secondo Bachmann nel caso peggiore “Winterkorn rischia di perdere tutti i suoi risparmi”. Che non dovrebbero essere pochi. Il 68enne ingegnere era a capo del gruppo dal novembre del 2009 con uno stipendio tra i 12 ed i 17 milioni (nel 2011) euro l’anno: nel 2016 il totale era di 16 milioni e tre anni avrebbe sfiorato i 20 se egli stesso non ne avesse chiesto una riduzione (che gli venne immediatamente accordata). Non solo: per la sua pensione il gruppo ha accantonato una cifra vicina ai 29 milioni di euro. L’assegno mensile supera i 110.000 euro.
Winterkorn faceva anche qualche “lavoretto” extra, ad esempio come amministratore delegato di Porsche SE, la “cassaforte” attraverso la quale le famiglie Piech e Porsche controllano il 52% dei diritti di voto di Volkswagen Group. Questo incarico gli fruttava altri 832.000 euro, ma si è dimesso a metà ottobre. Cifre stratosferiche, che impallidiscono di fronte a quella incassata da Wendelin Wiedeking, ex numero uno di Porsche, che secondo i calcoli di Der Spiegel, in un solo anno, tra il 2007 ed il 2008, aveva percepito 100,6 milioni di euro (2 milioni di stipendio, una una tantum di mezzo milione ed il resto di compartecipazione agli utili). Adesso è sotto processo con l’accusa di aver manipolato il mercato attraverso informazioni improprie in occasione della tentata scalata di Porsche a Volskwagen.
rassegna stampa: il fatto quotidiano - di Mattia Eccheli - 14 dicembre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/14/volkswagen-la-caduta-dellex-ad-winterkorn-da-manager-piu-pagato-di-germania-al-rischio-bancarotta/2302009/
sabato 12 dicembre 2015
"Ho Luigi sulla coscienza, ma l'ordine di mentire ci arrivava dalla banca"
L'ex funzionario che vendette i bond al pensionato suicida di Civitavecchia: "Dicevano che se non li avessimo piazzati saremmo stati licenziati"
TARQUINIA - "Io Luigino me
lo sento sulla coscienza perché mi sono comportato da impiegato di
banca e se fossi stato una persona che rispettava le regole non gli
avrei fatto fare quel tipo di investimento". Marcello Benedetti è un ex
impiegato della banca Etruria di Civitavecchia. Licenziato un anno fa da
quella filiale per un procedimento penale che ha in corso, Marcello ora
monta caldaie in giro per la sua città. Il contratto delle obbligazioni
acquistate da Luigino D'Angelo, il pensionato che si è tolto la vita
per aver perso 110mila euro, porta la sua firma. Benedetti accetta di
rilasciare l'intervista a patto che non si sfiori l'inchiesta che lo ha
travolto, e che non riguarda i bond subordinati: su questo non può
rilasciare dichiarazioni.
Fu lei a "convincere" Luigino ad investire i suoi risparmi in obbligazioni subordinate?
"Sì, Luigino fu uno dei primi clienti della banca a cui proposi questo investimento".
Lo mise al corrente dei reali rischi che correva in questo tipo di operazione?
Gli occhi si inumidiscono. "Firmò il questionario che sottoponevamo a
tutti, nel quale c'era scritto che il rischio era minimo per questo tipo
di operazione".
Una bugia scritta in un contratto?
"In realtà nelle successive carte che il cliente firmava, era presente
la dicitura "alto rischio", ma quasi nessuno ci faceva caso. Era scritto
in un carteggio di 60 fogli".
E voi impiegati non mettevate al corrente i clienti?
"Avevamo l'ordine di convincere più clienti possibili ad acquistare i prodotti della banca, settimanalmente eravamo obbligati a
presentare dei report con dei budget che ogni filiale doveva
raggiungere. L'ultimo della lista veniva richiamato pesantemente dal
direttore ".
Eravate però perfettamente al corrente di cosa significasse vendere ai vostri clienti delle obbligazioni subordinate, giusto?
"Sì. Ogni anno c'era un aumento del capitale e per farlo dovevamo
chiamare tutti i clienti e fargli rivedere azioni, obbligazioni, etc".
Che rapporto aveva lei con Luigino?
"Lo conoscevo benissimo, sia lui che la moglie Lidia. Era uno dei
clienti più diffidenti e convincerlo a fare proprio quel tipo di
investimento non fu facile".
Ma lei nella sua filiale è ricordato per essere quello sempre in cima alla classifica dei report settimanali.
"Sapevo fare bene il mio lavoro. E quando mi resi conto che l'emissione
delle obbligazioni subordinate era troppo frequente da parte della banca
Etruria capii che era possibile un imminente fallimento. Mi venne in
mente dunque di mettere al riparo alcuni clienti, tra cui appunto
Luigino. Per cercare di far avere loro la liquidazione sia delle
subordinate che delle ordinarie, proposi di fare una gestione di fondo.
Ricordo che dissi a Luigino: "Non succederà mai niente alla banca, ma se
dovesse in questo modo salvi i tuoi risparmi". Ma lui non volle farlo:
il suo problema era che voleva un rendimento semestrale cosa che la
gestione del fondo non gli garantiva. Accettarono solo una quarantina di
clienti, svuotai il comparto delle obbligazioni. Gli altri sono andati a
finire come lui: hanno perso tutto".
Pare di capire che la linea fosse quella di mentire al cliente, o meglio, di omettere verità. È così?
"È così. Quando i clienti venivano a chiederci la liquidità la banca ci
diceva di rispondere che non ne aveva e che non sapevamo quando sarebbe
stata disponibile. Quando si facevano insistenti, dovevamo dirgli che
quelle obbligazioni erano finite nel mercato secondario e che non si
vendevano".
Un castello di menzogne senza che la coscienza di nessuno di voi, lei compreso, avesse un sussulto?
"Eravamo tutti in una sorta di sudditanza psicologica. Dal 2007 al 2014
le azioni sono crollate da 17 euro e rotti a 1 euro e 50 e questo era
indicativo del fatto che dovevamo dirottare le entrate su altri prodotti
e che dovevamo fargli acquistare la qualunque, anche le subordinate.
Avendo ingolfato i creditori medio-piccoli tutti noi convincevamo i più
danarosi assicurandogli che sarebbe stato un bene per loro, un affare
seguendo i nostri consigli. E poi via con lo slalom di bugie,
rassicurazioni e risposte evasive".
Ha parlato di pressioni psicologiche.
"All'interno della banca ci dicevano che la banca era sull'orlo del
fallimento, e che l'aumento di capitale serviva a salvarci e che se non
ci fossimo dati da fare la banca avrebbe chiuso e noi saremmo stati
licenziati. Ecco perché ognuno di noi convinceva più clienti possibili".
La logica del mors tua vita mea l'ha spinta a tradire la fiducia dei suoi clienti?
Scoppia a piangere Marcello Benedetti. "Questa è la cosa che non mi
perdonerò mai. Aver tradito chi credeva in me. E alla luce della
tragedia accaduta al signor Luigino, so che non potrò mai trovare pace
né perdonarmi".
rassegna stampa: la repubblica - 12 dicembre 2015 -di Federica Angeli
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/12/news/_ho_luigi_sulla_coscienza_ma_l_ordine_di_mentire_ci_arrivava_dalla_banca_-129285719/?ref=HREC1-4
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