Porti, energia, tlc, miniere: sono questi gli assets che Atene dovrà mettere sul mercato a breve. Nonostante il ministro dell’Energia greco, Panagiotis Lafazanis, si sia mezzo di mezzo a far da argine, è scattata la corsa alle privatizzazioni in Grecia complice la necessità da far cassa. Dopo lo stop dei primi mesi, ora lo scenario potrebbe rapidamente cambiare. Nell’ultimo piano greco appeno sfornato nella notte tra giovedì e venerdì tornano a comparire con un ruolo centrale le privatizzazioni dei beni pubblici ellenici.
Le azioni ancora in mano al governo della Ote, il colosso della società greca di tlc greca, già in mano in maggioranza ai tedeschi della Deutsche Telekom, dovranno passare all’agenzia delle privatizzazioni. Per ora resta fuori la Dei, il monopolista dell’energia elettrica ma entra in rampa di lancio la società di trasmissione dell’energia elettrica Admie, su cui in passato c’erano state delle manifestazioni di interesse da parte della società italiana Terna e della società di trasmissione cinese. Anche la Eldorado Gold Corp of Canada è interessata ad alcune miniere nel nord della Grecia.
A mancare all’appello delle privatizzazioni c’è la Dei, la maggiore società energetica del paese. Nel primo consiglio dei ministri dopo le elezioni, a gennaio 2015, il ministro dell’Energia Lafazanis nonché capo dell’ala di sinisitra di Syriza, aveva dichiarato che avrebbe bloccato immediatamente il piano di privatizzazione del 30% della compagnia elettrica Public Power Company, Dei in greco, la più grande public utility del Paese, di cui lo Stato ellenico controlla una quota di maggioranza, e della compagnia di distribuzione dell’energia elettrica (Admie). Alla fine è rimasto il veto solo su Dei.
Nella lista delle società da mettere sul mercato manca anche il 35,5% della Hellenic Petroleum, la maggiore raffineria del paese. Anche qui a mettere il veto era stato il ministro dell’Energia che aveva stoppato la prevista cessione ai privati della società. «La quota di Hellenic Petroleum che era stata trasferita all’agenzia per le privatizzazioni tornerà allo Stato», aveva spiegato il ministro alla cerimonia di passaggio di consegne con il suo predecessore.
Il piano di privatizzazioni non era decollato nemmeno con il precedente esecutivo di centro destra di Antonis Samaras. Anche sul Pireo c’erano stati dei cambiamenti di fronte che avevano fatto innervosire Cosco. Appena insediato il governo Syriza aveva congelato la vendita del 67% del Porto di Pireo, un’operazione già avviata dal precedente governo per la quale erano rimaste in corsa 4 società, tra cui proprio il big cinese. «L’accordo per Cosco sarà rivisto per il beneficio del popolo greco» aveva detto il vice ministro Thodoris Dritsas. Il colosso cinese, che ha già in concessione per 35 anni due terminal del porto del Pireo, non aveva gradito. La Cina in questi anni è stato un investitore di primo piano in Grecia, che vede come una porta d’accesso privilegiata al mercato europeo. E alla fine Tsipras ha fatto marcia indietro anche sul fronte del porto del Pireo. Ora si aggiungono i danesi della Maersk.
rassegna stampa: il sole 24 Ore 13 luglio 2015