Ben Bernanke è un professore che dovrebbe essere ascoltato con più
attenzione della quasi totalità degli altri economisti (e non parliamo
dei politici), per una ragione molto semplice: dal 2006 al 2014 è stato
uno degli uomini più potenti del mondo, essendo stato per due mandati
presidente della Fed, e in quel ruolo è stato determinante per
affrontare la grande crisi che - come si ricorderà - è esplosa proprio
negli Usa. Determinante e molto efficace. Ha cioè dimostrato con i fatti
che non è uno studioso che si trastulla con teorie astratte: le sue
teorie le ha messe in pratica e hanno funzionato, incomparabilmente
meglio di quelle adottate - e pervicacemente tuttora perseguite - dai
politici e tecnocrati europei.
Bernanke ha scritto sul suo blog un articolo su Grecia ed Europa.
Ne consigliamo la lettura non perché contenga novità sconvolgenti, ma
proprio per il contrario: l'economista ripete una serie di ragionamenti
che sono esattamente gli stessi che ormai da qualche anno economisti e
opinionisti critici oppongono alle politiche disastrose imposte
dall'asse Berlino-Bruxelles (con la complicità, sia pure a volte
riluttante, di Francoforte).
Leggete l'articolo perché è molto chiaro e privo di astrusità. I punti essenziali sono comunque questi:
- I risultati economici europei sono "deludenti" (elegante
eufemismo); le cause sono una politica monetaria che ha tardato a
intervenire e politiche di bilancio restrittive;
- Nel 2009 la disoccupazione in Usa ed Europa era al 10%, oggi là è
al 5,3, da noi oltre l'11; ma questa è una media, perché in Germania è
meno del 5, nel resto d'Europa Germania esclusa più del 13;
- La Germania beneficia della moneta unica, che non si apprezza come
avverrebbe se fosse solo nazionale, e grazie (anche) a questo gode di un
boom dell'export. Ma il suo enorme surplus commerciale è "insano",
riduce la domanda e la crescita per i partner e sposta solo su di loro
tutto il peso degli aggiustamenti necessari, rendendo inevitabile una
riduzione dei salari e degli altri costi. La Germania dovrebbe "spendere
a casa sua", il che sarebbe anche nel suo interesse oltre a ridurre i
rischi di rottura dell'euro;
- Questo è ciò che serve,mentre le "riforme strutturali" sono una
boiata pazzesca (mia libera traduzione) perché semmai hanno effetto nel
lungo periodo, mentre intanto c'è la disoccupazione di massa. Per di
più, in passato c'erano anche più rigidità strutturali, ma l'Europa non
aveva una performance pessima come ora.
- Due proposte pratiche: 1) Alla Grecia dovrebbe essere permesso di
alleggerire gli obiettivi di bilancio, altrimenti non tornerà mai a
crescere; 2) L'Europa affronti il problema degli squilibri dei conti
esteri, che in una zona a moneta unica comportano "significativi costi e
rischi", con l'obbligo di aggiustamento sia per i paesi debitori che
per quelli creditori. (A Bernanke è sfuggito che questo obbligo esiste
già, contenuto nel MIP - Macroeconomic imbalance procedure,
in vigore addirittura dal 2011, che imporrebbe di prendere misure
adeguate ai paesi in deficit oltre il 4% del Pil o in surplus oltre il
6; un'asimmetria che si spiega solo con il fatto che già allora il
surplus tedesco era appunto del 6%. Ma la Germania di questa regola se
ne infischia, tanto non sono previste sanzioni, e nessuno si azzarda a
fargliela rispettare).
Bernanke dice anche un'altra cosa, di non secondaria importanza. Dice
che tutto questo mette a rischio il progetto europeo. Noi che non
dobbiamo essere così diplomatici diciamo invece che, con queste
politiche e con il trattamento-Grecia, l'Europa (e non solo l'euro) ha
un solo futuro: la disgregazione.
Le cose che dice Bernanke sono le stesse che ha detto negli ultimi
cinque mesi Yanis Varoufakis, che è un economista di valore, e per le
quali si è guadagnato dai membri dell'Eurogruppo le simpatiche
definizioni di "perditempo" e "dilettante". Le stesse che il ministro
delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble si rifiutato persino di
ascoltare. Non avranno ora più successo perché le ha scritte Bernanke.
Ma deve essere chiaro che le ricette europee non hanno nulla a che fare
con l'economia, sono solo il frutto dei vantaggi che la Germania e
alcuni suoi alleati traggono dall'attuale situazione e di scelte
politiche reazionarie.
rassegna stampa: la repubblica 18 luglio 2015
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il diario della crisi
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