In questo luglio 2015 si è
concluso l’ennesimo capitolo del “caso Grecia”, che, è importante non
dimenticare, scoppiò nel maggio 2010, all’indomani della Grande
Recessione mondiale 2008/2009.
Si tratta chiaramente di un capitolo di un libro ancora lontano dall’essere giunto alla conclusione. Se da un lato è stato infatti scongiurato il default dello Stato ellenico con un nuovo salvataggio, dall’altro è evidente che siamo molto distanti dall’aver individuato un percorso economico che porti la Grecia fuori dall’emergenza.
L’accordo Grecia-Troika (UE, FMI, BCE) si è alla fine trovato, ma, come avrebbe detto Keynes, si tratta di una “pace cartaginese”.
Nel 1919 Keynes, delegato del Ministero del Tesoro britannico, abbandonò polemicamente la Conferenza di pace di Versailles, sostenendo che le eccessive riparazioni di guerra imposte alla Germania avrebbero condotto questo Paese ad una gravissima crisi economica senza per altro produrre alcun sostegno alla depressione post-bellica dei Paesi vincitori.
Keynes sosteneva che in quella conferenza nessuno aveva posto attenzione al “fondamentale problema economico di un’Europa che languiva di fame e si sgretolava davanti ai loro occhi”. (…) “chiedendo l’impossibile hanno sacrificato la sostanza all’apparenza, e alla fine perderanno tutto”.
A questo punto è sicuramente difficile fare previsioni sugli sviluppi del “caso Grecia”. L’esito dipenderà sia dalle successive scelte di politica economica dell’Europa ma anche dall’evoluzione dell’economia mondiale attualmente “alle prese” con ben più gravi, almeno per le dimensioni in gioco, pericoli (in particolare il rallentamento della Cina e il possibile scoppio della bolla finanziaria presente in questo stesso Paese).
Ma, fin da ora, possiamo trarre almeno due significative riflessioni.
Si tratta chiaramente di un capitolo di un libro ancora lontano dall’essere giunto alla conclusione. Se da un lato è stato infatti scongiurato il default dello Stato ellenico con un nuovo salvataggio, dall’altro è evidente che siamo molto distanti dall’aver individuato un percorso economico che porti la Grecia fuori dall’emergenza.
L’accordo Grecia-Troika (UE, FMI, BCE) si è alla fine trovato, ma, come avrebbe detto Keynes, si tratta di una “pace cartaginese”.
Nel 1919 Keynes, delegato del Ministero del Tesoro britannico, abbandonò polemicamente la Conferenza di pace di Versailles, sostenendo che le eccessive riparazioni di guerra imposte alla Germania avrebbero condotto questo Paese ad una gravissima crisi economica senza per altro produrre alcun sostegno alla depressione post-bellica dei Paesi vincitori.
Keynes sosteneva che in quella conferenza nessuno aveva posto attenzione al “fondamentale problema economico di un’Europa che languiva di fame e si sgretolava davanti ai loro occhi”. (…) “chiedendo l’impossibile hanno sacrificato la sostanza all’apparenza, e alla fine perderanno tutto”.
A questo punto è sicuramente difficile fare previsioni sugli sviluppi del “caso Grecia”. L’esito dipenderà sia dalle successive scelte di politica economica dell’Europa ma anche dall’evoluzione dell’economia mondiale attualmente “alle prese” con ben più gravi, almeno per le dimensioni in gioco, pericoli (in particolare il rallentamento della Cina e il possibile scoppio della bolla finanziaria presente in questo stesso Paese).
Ma, fin da ora, possiamo trarre almeno due significative riflessioni.
- La politica economica europea tende a confondere “riforme strutturali” e “tagli di spesa pubblica”. Le prime, sicuramente in alcuni casi necessarie soprattutto in alcuni Paesi (è difficile negare che le legislazioni relative al mercato del lavoro e welfare richiedano profonde revisioni alla luce dell’evoluzione del sistema economico mondiale) non coincidono con i secondi. I tagli di spesa devono tenere in grande considerazione anche il momento congiunturale in cui dovrebbero essere attuati. È infatti proprio la contrazione dell’economia ad essere il principale ostacolo all’attuazione di un piano di riforme.
- Il più grande fallimento dell’economia di mercato del II Dogoguerra (“crisi subprime”) in particolare nel suo ambito finanziario, è stato trasformato dalla narrativa neoliberista in un problema di eccesso di spesa pubblica. La grande crisi provocò un tentativo di governance mondiale dell’economia sugellato dal neo-nato G20 (Londra aprile 2009), che diede fondamento politico alle politiche antirecessive già attuate e da attuare per evitare il crollo dell’economia mondiale.
Di quel tentativo non rimane nulla
se non nelle specifiche politiche economiche realizzate nelle diverse
aree economiche del pianeta.
Sappiamo che soprattutto Europa e Stati Uniti hanno preso strade assai differenti. Ma al di là dei risultati, il “deficit democratico” segnalato dall’incapacità della politica di governare l’economia, oggi più di allora, rimane una ferita aperta sul futuro dell’economia mondiale.
E “la piccola Grecia” è lì a dimostrarlo.
Sappiamo che soprattutto Europa e Stati Uniti hanno preso strade assai differenti. Ma al di là dei risultati, il “deficit democratico” segnalato dall’incapacità della politica di governare l’economia, oggi più di allora, rimane una ferita aperta sul futuro dell’economia mondiale.
E “la piccola Grecia” è lì a dimostrarlo.
di Alberto Berrini
rassegna stampa: http://www.fiba.it/nazionale/news/insegnamenti-per-l2019economia-mondiale-dalla-201cpiccola-grecia201d