Una sorta di piano salva-banche che vede coinvolti su piani diversi
Banca d’Italia, Governo, l’Abi e il consorzio del Fondo interbancario di
tutela dei depositi, e che oggi vivrà una tappa importante: alle 10,30,
infatti, alla Fiera di Ferrara l’assemblea straordinaria di Carife
mette ai voti l’aumento di capitale da 300 milioni, necessario per
superare il semi azzeramento del capitale (da 217 a 11 milioni) resosi
necessario dopo le pulizie di bilancio effettuate durante il lungo
commissariamento. L’aumento è riservato al Fondo interbancario di tutela
dei depositi, che nel pomeriggio a Milano ha convocato il suo comitato
di gestione per istruire la prossima pratica che attende il Fondo, cioè
Banca Marche: in questo caso, si apprende, l’organo guidato dal
presidente Salvatore Maccarone dovrà prima appurare lo stato di salute
(e quindi il fabbisogno di capitale) della banca con sede a Jesi, e poi
verificare quanto e come possa essere utile il precedente Carife.
Per la Cassa l’architettura dell’intervento è rimasta sostanzialmente quella che aveva anticipato Il Sole 24 Ore il 25 aprile scorso: dopo due anni di commissariamento è stato alzato il velo sui conti, che vede 376 milioni di perdite accumulate tra il primo gennaio 2013 e il 31 marzo scorso; l’aumento da 300 milioni servirà a rimettere benzina nel motore dell’istituto e i soci attuali riceveranno warrant convertibili in azioni a partire dal 2018. Entro quella data, si spera, il Fondo interbancario avrà ceduto la banca a un nuovo proprietario: trovarlo sarà il compito del cda che sarà eletto ad aumento avvenuto, nell’autunno prossimo.
Il Fondo ha un ruolo chiave in questa operazione e, analogamente, potrebbe averlo nelle prossime: lo schema prevede l’utilizzo delle risorse che le banche hanno iniziato a versare nell’ambito delle nuove norme europee che hanno stabilito l’istituzione di un fondo nazionale e un altro europeo, e – qualora non sufficienti – il ricorso a prestiti ponte, sempre con le consorziate. Oggi pomeriggio invece si farà il punto su Banca Marche, dove l’ammontare dell’aumento dovrebbe essere compreso tra 800 milioni e un miliardo: a fine 2014 il Fondo aveva deliberato un intervento da 800 milioni di garanzie e 100 di equity, ma all’epoca si pensava che il resto del capitale arrivasse dalle cordata di privati guidata da Fonspa. Se non sfumata, l’ipotesi pare in stand by, così ci sarà da trovare una nuova quadra, che comunque – si apprende – non potrà prevedere un aumento interamente a carico del Fondo: la delibera non sarà adottata oggi, ma nella prossima riunione di settembre. Perché a Jesi i due anni di amministrazione straordinaria scadono a fine ottobre, e senza un piano ben definito Bankitalia non potrà concedere la proroga; nelle prossime settimane, intanto, dovrebbe essere definito il quadro normativo: la legge di delegazione europea contenente le direttive di settore (la Brrd-Bank recovery and resolution directive e la Dgsd-Deposit guarantee scheme directive), approvata a inizio luglio, è ancora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ma i decreti delegati risulterebbero pressoché pronti (non a caso proprio ieri è partita la consultazione). Aggiornate le norme, saranno anche più chiari gli eventuali impatti a livello di aiuti di stato (costati una procedura d’infrazione dalla Commissione europea sul salvataggio Tercas, tuttora sub iudice) e l’ulteriore replicabilità per altre crisi bancarie: anche se commissariata da soli sei mesi, la prossima a finire sul tavolo del Fondo potrebbe essere quella della Popolare dell’Etruria.
Autore news:
Marco Ferrando
Fonte:
Il Sole 24 Ore
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