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venerdì 7 novembre 2014

«Non trascuriamo chi produce il 12% del Pil»


Per risalire dall’abisso bisogna sapere quanto è profondo il baratro. A misurarlo ci ha pensato il Cerved (primo gruppo in Italia nell’analisi del rischio del credito) con un’analisi dettagliata dello stato di salute economico-finanziaria delle aziende che rientrano nella definizione europea di piccole e medie imprese.
«Si tratta di circa 144mila società — commenta Gianandrea De Bernardis amministratore delegato di Cerved — che nel complesso generano un giro di affari di 851 miliardi di euro, un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, e che hanno contratto debiti finanziari per 271 miliardi di euro».
La micidiale azione congiunta della crisi economica e del credit crunch, in poco più di sei anni, ha creato danni devastanti al sistema delle Pmi. Dal 2008 ne sono fallite 13 mila, più di 5 mila hanno avviato una procedura concorsuale non fallimentare e 23 mila sono state liquidate volontariamente: nel complesso, un quinto di quelle attive nel 2007 è stato interessato da almeno una di queste procedure.
«La maggior parte delle imprese fallite — afferma De Bernardis — era già in difficoltà nel periodo antecedente la crisi. Per queste, la recessione ha solo accelerato un processo di selezione già in atto. La nostra analisi mette in luce però anche imprese che, prima della crisi, davano segni di vitalità e che con ogni probabilità sono state espulse dal mercato più per problemi di liquidità che di sostenibilità economica».
Il credito
L’andamento dell’accesso al credito in Italia ha conosciuto traiettorie ondivaghe: il 2009 è ricordato come l’anno orribile della grande gelata, poi ci fu una timida ripresa dei finanziamenti e quindi una nuova frenata: il rapporto evidenzia che i debiti finanziari delle Pmi si sono ridotti tra il 2011 e il 2013 di 4,1 punti percentuali, mentre per le grandi società sono aumentati nel 2012, diminuendo solo marginalmente nel 2013. Questi numeri ci dicono che, da un certo momento in poi, gli istituti di credito hanno ridotto i finanziamenti ai piccoli per sostenere la grande impresa.
La restrizione del credito non ha riguardato in modo omogeneo tutte le Pmi: spinte anche dalle regole di Basilea, tra il 2008 e 2013, le banche hanno selezionato con maggiore attenzione la clientela, riducendo i finanziamenti alle realtà più rischiose e continuando a erogare prestiti a quelle più affidabili.
L’analisi di Cerved evidenzia che questa restrizione, e selezione del credito, non è stata operata solo dalle banche, ma anche dalle stesse imprese nell’erogazione dei fidi commerciali. Secondo i dati di Payline, nel 2013 il credito commerciale si è ridotto di 2,7 punti percentuali, ma non tra le piccole e medie aziende, che hanno invece ottenuto un aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente. Le aziende più rischiose hanno invece registrato una restrizione dei fidi di 16 punti percentuali. In pratica è diventato più facile avere soldi per le aziende già patrimonializzate, quasi impossibile, invece, per chi stava attraversando una fase di sofferenza economica.
Tartarughe e gazzelle
Eppure, malgrado una congiuntura negativa mai conosciuta dal dopoguerra a oggi, non mancano le storie di successo. L’indagine del Cerved ha individuato 3.472 «gazzelle», piccole e medie realtà che sono riuscite almeno a raddoppiare il proprio giro d’affari dal 2007. Una controtendenza solo all’apparenza inspiegabile, In realtà la selezione della specie è determinata, in gran parte, dalla capacità di fare impresa e dalla solidità patrimoniale. Servivano innovazione, ricerca, sviluppo, managerialità e capacità di internazionalizzazione. Tutti strumenti alla portata dei più lungimiranti e di coloro che hanno saputo mantenere solide le basi patrimoniali delle aziende.
Circa il 30% delle pmi non ha contratto prestiti bancari: si tratta prevalentemente di imprese piccole che operano autofinanziandosi. Le aziende che invece hanno bisogno di risorse fresche per operare, dipendono quasi completamente dal sistema creditizio (per le mid cap il 98% dei debiti finanziari ha natura bancaria), con livelli decisamente maggiori rispetto alle pmi tedesche, spagnole e francesi. Malgrado tutto però le pmi fanno fatica a trovare vie alternative di finanziamento. Caso emblematico quello dei mini bond che hanno finora giocato un ruolo marginale: si contano infatti solo 29 pmi che hanno emesso obbligazioni per 226 milioni di euro soprattutto con l’obiettivo di crescere per linee esterne o attraverso investimenti.
Eppure da un’analisi sulle performance dell’universo di società italiane, emerge che esistono almeno 2.500 pmi in possesso di parametri di bilancio paragonabili o migliori delle imprese che hanno già emesso un mini-bond. Manca la vision oppure è lo strumento che non convince? I mini bond ormai sono in pista da un po’, se non decollano a breve rischiano la bocciatura. Un po’ come è già accaduto con la Borsa. Le pmi fanno fatica a cambiare schemi. Ma, visti i risultati, farebbero bene a trovarne di nuovi ed efficaci. In fretta.

rassegna stampa: Corriere della Sera 6.11.2014
http://www.corriere.it/economia/finanza_e_risparmio/notizie/analisi-non-trascuriamo-chi-fa-12percento-pil-5f5e36b2-659a-11e4-b6fa-49c6569d98de.shtml#commentFormAnchor