Per risalire dall’abisso bisogna sapere quanto è profondo il baratro. A misurarlo ci
ha pensato il Cerved (primo gruppo in Italia nell’analisi del rischio
del credito) con un’analisi dettagliata dello stato di salute
economico-finanziaria delle aziende che rientrano nella definizione
europea di piccole e medie imprese.
«Si tratta di circa 144mila società — commenta Gianandrea De Bernardis amministratore delegato di Cerved
— che nel complesso generano un giro di affari di 851 miliardi di euro,
un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, e che hanno
contratto debiti finanziari per 271 miliardi di euro».
La micidiale azione congiunta della crisi
economica e del credit crunch, in poco più di sei anni, ha creato danni
devastanti al sistema delle Pmi. Dal 2008 ne sono fallite 13 mila, più
di 5 mila hanno avviato una procedura concorsuale non fallimentare e 23
mila sono state liquidate volontariamente: nel complesso, un quinto di
quelle attive nel 2007 è stato interessato da almeno una di queste
procedure.
«La
maggior parte delle imprese fallite — afferma De Bernardis — era già in
difficoltà nel periodo antecedente la crisi. Per queste, la recessione
ha solo accelerato un processo di selezione già in atto. La nostra
analisi mette in luce però anche imprese che, prima della crisi, davano
segni di vitalità e che con ogni probabilità sono state espulse dal
mercato più per problemi di liquidità che di sostenibilità economica».
Il credito
L’andamento dell’accesso al credito in Italia ha conosciuto traiettorie
ondivaghe: il 2009 è ricordato come l’anno orribile della grande
gelata, poi ci fu una timida ripresa dei finanziamenti e quindi una
nuova frenata: il rapporto evidenzia che i debiti finanziari delle Pmi
si sono ridotti tra il 2011 e il 2013 di 4,1 punti percentuali, mentre
per le grandi società sono aumentati nel 2012, diminuendo solo
marginalmente nel 2013. Questi numeri ci dicono che, da un certo momento
in poi, gli istituti di credito hanno ridotto i finanziamenti ai
piccoli per sostenere la grande impresa.
La restrizione del credito non ha
riguardato in modo omogeneo tutte le Pmi: spinte anche dalle regole di
Basilea, tra il 2008 e 2013, le banche hanno selezionato con maggiore
attenzione la clientela, riducendo i finanziamenti alle realtà più
rischiose e continuando a erogare prestiti a quelle più affidabili.
L’analisi di Cerved evidenzia che questa
restrizione, e selezione del credito, non è stata operata solo dalle
banche, ma anche dalle stesse imprese nell’erogazione dei fidi
commerciali. Secondo i dati di Payline, nel 2013 il credito commerciale
si è ridotto di 2,7 punti percentuali, ma non tra le piccole e medie
aziende, che hanno invece ottenuto un aumento del 4,5% rispetto all’anno
precedente. Le aziende più rischiose hanno invece registrato una
restrizione dei fidi di 16 punti percentuali. In pratica è diventato più
facile avere soldi per le aziende già patrimonializzate, quasi
impossibile, invece, per chi stava attraversando una fase di sofferenza
economica.
Tartarughe e gazzelle
Eppure,
malgrado una congiuntura negativa mai conosciuta dal dopoguerra a oggi,
non mancano le storie di successo. L’indagine del Cerved ha individuato
3.472 «gazzelle», piccole e medie realtà che sono riuscite almeno a
raddoppiare il proprio giro d’affari dal 2007. Una controtendenza solo
all’apparenza inspiegabile, In realtà la selezione della specie è
determinata, in gran parte, dalla capacità di fare impresa e dalla
solidità patrimoniale. Servivano innovazione, ricerca, sviluppo,
managerialità e capacità di internazionalizzazione. Tutti strumenti alla
portata dei più lungimiranti e di coloro che hanno saputo mantenere
solide le basi patrimoniali delle aziende.
Circa il 30% delle pmi non ha contratto
prestiti bancari: si tratta prevalentemente di imprese piccole che
operano autofinanziandosi. Le aziende che invece hanno bisogno di
risorse fresche per operare, dipendono quasi completamente dal sistema
creditizio (per le mid cap il 98% dei debiti finanziari ha natura
bancaria), con livelli decisamente maggiori rispetto alle pmi tedesche,
spagnole e francesi. Malgrado tutto però le pmi fanno fatica a trovare
vie alternative di finanziamento. Caso emblematico quello dei mini bond
che hanno finora giocato un ruolo marginale: si contano infatti solo 29
pmi che hanno emesso obbligazioni per 226 milioni di euro soprattutto
con l’obiettivo di crescere per linee esterne o attraverso investimenti.
Eppure da un’analisi sulle performance
dell’universo di società italiane, emerge che esistono almeno 2.500 pmi
in possesso di parametri di bilancio paragonabili o migliori delle
imprese che hanno già emesso un mini-bond. Manca la vision oppure è lo
strumento che non convince? I mini bond ormai sono in pista da un po’,
se non decollano a breve rischiano la bocciatura. Un po’ come è già
accaduto con la Borsa. Le pmi fanno fatica a cambiare schemi. Ma, visti i
risultati, farebbero bene a trovarne di nuovi ed efficaci. In fretta.
rassegna stampa: Corriere della Sera 6.11.2014
http://www.corriere.it/economia/finanza_e_risparmio/notizie/analisi-non-trascuriamo-chi-fa-12percento-pil-5f5e36b2-659a-11e4-b6fa-49c6569d98de.shtml#commentFormAnchor