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UN LABORATORIO DI PENSIERO E RIFLESSIONE FATTO DAI LAVORATORI:
il diario della crisi

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mercoledì 26 novembre 2014

«Basta opulenza e indifferenza verso i più poveri»

Signor Presidente, Signore e Signori Vice Presidenti,

Onorevoli Eurodeputati,

Persone che lavorano a titoli diversi in quest’emiciclo,

Cari amici,

vi ringrazio per l'invito a prendere la parola dinanzi a questa istituzione fondamentale della vita dell'Unione Europea e per l'opportunità che mi offrite di rivolgermi, attraverso di voi, agli oltre cinquecento milioni di cittadini che rappresentate nei 28 Stati membri. Particolare gratitudine, desidero esprimere a Lei, Signor Presidente del Parlamento, per le cordiali parole di benvenuto che mi ha rivolto, a nome di tutti i componenti dell'Assemblea. La mia visita avviene dopo oltre un quarto di secolo da quella compiuta da Papa Giovanni Paolo II. Molto è cambiato da quei giorni in Europa e in tutto il mondo. Non esistono più i blocchi contrapposti che allora dividevano il continente in due e si sta lentamente compiendo il desiderio che «l'Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più ancora dalla storia».

Accanto a un'Unione Europea più ampia, vi è anche un mondo più complesso e fortemente in movimento. Un mondo sempre più interconnesso e globale e perciò sempre meno "eurocentrico". A un'Unione più estesa, più influente, sembra però affiancarsi l'immagine di un'Europa un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto.

Nel rivolgermi a voi quest'oggi, a partire dalla mia vocazione di pastore, desidero indirizzare a tutti i cittadini europei un messaggio di speranza e di incoraggiamento.

Un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le paure che l’Europa - insieme a tutto il mondo - sta attraversando. Speranza nel Signore che trasforma il male in bene e la morte in vita.

Incoraggiamento di tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell'Unione europea, i quali desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell'uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell'uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente. Mi preme anzitutto sottolineare lo stretto legame che esiste fra queste due parole: "dignità" e "trascendente".

La “dignità” è la parola-chiave che ha caratterizzato la ripresa del secondo dopo guerra. La nostra storia recente si contraddistingue per l'indubbia centralità della promozione della dignità umana contro le molteplici violenze e discriminazioni, che neppure in Europa sono mancate nel corso dei secoli. La percezione dell'importanza dei diritti umani nasce proprio come esito di un lungo cammino, fatto anche di molteplici sofferenze e sacrifici, che ha contribuito a formare la coscienza della preziosità, unicità e irripetibilità di ogni singola persona umana. Tale consapevolezza culturale trova fondamento non solo negli avvenimenti della storia, ma soprattutto nel pensiero europeo, contraddistinto da un ricco incontro, le cui numerose fonti lontane provengono «dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati profondamente» , dando luogo proprio al concetto di “persona”.

Oggi, la promozione dei diritti umani occupa un ruolo centrale nell'impegno dell'Unione Europea in ordine a favorire la dignità della persona, sia al suo interno che nei rapporti con gli altri Paesi. Si tratta di un impegno importante e ammirevole, poiché persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi.

Effettivamente quale dignità esiste quando manca la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza costrizione la propria fede religiosa? Quale dignità è possibile senza una cornice giuridica chiara, che limiti il dominio della forza e faccia prevalere la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo o una donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, il lavoro che lo unge di dignità? Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici.

Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (μονάς), sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa.

Ritengo perciò che sia quanto mai vitale approfondire oggi una cultura dei diritti umani che possa sapientemente legare la dimensione individuale, o, meglio, personale, a quella del bene comune, a quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale . Infatti, se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze.

Parlare della dignità trascendente dell'uomo, significa dunque fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella “bussola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato ; soprattutto significa guardare all'uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami. La si vede particolarmente negli anziani, spesso abbandonati al loro destino, come pure nei giovani privi di punti di riferimento e di opportunità per il futuro; la si vede nei numerosi poveri che popolano le nostre città; la si vede negli occhi smarriti dei migranti che sono venuti qui in cerca di un futuro migliore.

Tale solitudine è stata poi acuita dalla crisi economica, i cui effetti perdurano ancora con conseguenze drammatiche dal punto di vista sociale. Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni, accanto al processo di allargamento dell'Unione Europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose. Da più parti si ricava un'impressione generale di stanchezza e d'invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l'Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni.

A ciò si associano alcuni stili di vita un po' egoisti, caratterizzati da un'opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico . L'essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che - lo notiamo purtroppo spesso - quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere.

È il grande equivoco che avviene «quando prevale l'assolutizzazione della tecnica» , che finisce per realizzare «una confusione fra fini e mezzi» . Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”. Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di parlamentari, siete chiamati anche a una missione grande benché possa sembrare inutile: prendervi cura della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. Prendersi cura della fragilità delle persone e dei popoli significa custodire la memoria e la speranza; significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità.

Come dunque ridare speranza al futuro, così che, a partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il grande ideale di un'Europa unita e in pace, creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri?

Per rispondere a questa domanda, permettetemi di ricorrere a un'immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l'alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta. Mi pare un'immagine che ben descrive l'Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l'apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l'uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi.

Il futuro dell'Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un'Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un'Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello "spirito umanistico" che pure ama e difende. Proprio a partire dalla necessità di un'apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l'indipendenza delle istituzioni dell'Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l'hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona.

Desidero, perciò, rinnovare la disponibilità della Santa Sede e della Chiesa cattolica, attraverso la Commissione delle Conferenze Episcopali Europee (COMECE), a intrattenere un dialogo proficuo, aperto e trasparente con le istituzioni dell'Unione Europea. Parimenti sono convinto che un'Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e le potenzialità, possa essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché «è proprio l'oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza».

Non possiamo qui non ricordare le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti.

Il motto dell'Unione Europea è Unità nella diversità, ma l'unità non significa uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo sé stesso senza timore. In tal senso, ritengo che l'Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell'Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l'ideale dell'unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza delle sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo.

D'altra parte le peculiarità di ciascuno costituiscono un'autentica ricchezza nella misura in cui sono messe al servizio di tutti. Occorre ricordare sempre l'architettura propria dell'Unione Europea, basata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, così che prevalgano l'aiuto vicendevole e si possa camminare, animati da reciproca fiducia.

In questa dinamica di unità-particolarità, si pone a voi, Signori e Signore Eurodeputati, anche l’esigenza di farvi carico di mantenere viva la democrazia dei popoli dell’Europa. Non ci è nascosto che una concezione omologante della globalità colpisce la vitalità del sistema democratico depotenziando il ricco contrasto, fecondo e costruttivo, delle organizzazioni e dei partiti politici tra di loro. Così si corre il rischio di vivere nel regno dell’idea, della sola parola, dell’immagine, del sofisma… e di finire per confondere la realtà della democrazia con un nuovo nominalismo politico. Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di evitare tante “maniere globalizzanti” di diluire la realtà: i purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza.

Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa è una sfida che oggi la storia vi pone. Dare speranza all'Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello dell'educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali. D'altra parte, sottolineare l'importanza della famiglia non solo aiuta a dare prospettive e speranza alle nuove generazioni, ma anche ai numerosi anziani, spesso costretti a vivere in condizioni di solitudine e di abbandono perché non c'è più il calore di un focolare domestico in grado di accompagnarli e di sostenerli.

Accanto alla famiglia vi sono le istituzioni educative: scuole e università. L'educazione non può limitarsi a fornire un insieme di conoscenze tecniche, bensì deve favorire il più complesso processo di crescita della persona umana nella sua totalità. I giovani di oggi chiedono di poter avere una formazione adeguata e completa per guardare al futuro con speranza, piuttosto che con disillusione. Numerose sono, poi, le potenzialità creative dell'Europa in vari campi della ricerca scientifica, alcuni dei quali non ancora del tutto esplorati. Basti pensare ad esempio alle fonti alternative di energia, il cui sviluppo gioverebbe molto alla difesa dell'ambiente.

L’Europa è sempre stata in prima linea in un lodevole impegno a favore dell’ecologia. Questa nostra terra ha infatti bisogno di continue cure e attenzioni e ciascuno ha una personale responsabilità nel custodire il creato, prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che non ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre «invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura» . Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona, che ho inteso richiamare quest’oggi rivolgendomi a voi.

Il secondo ambito in cui fioriscono i talenti della persona umana è il lavoro. E’ tempo di favorire le politiche di occupazione, ma soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garantendo anche adeguate condizioni per il suo svolgimento. Ciò implica, da un lato, reperire nuovi modi per coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori; d'altra parte, significa favorire un adeguato contesto sociale, che non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire, attraverso il lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli.

Parimenti, è necessario affrontare insieme la questione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto. L'assenza di un sostegno reciproco all'interno dell'Unione Europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali. L'Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all'immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l'accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti.

Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori Deputati, La coscienza della propria identità è necessaria anche per dialogare in modo propositivo con gli Stati che hanno chiesto di entrare a far parte dell'Unione in futuro. Penso soprattutto a quelli dell'area balcanica per i quali l'ingresso nell'Unione Europea potrà rispondere all'ideale della pace in una regione che ha grandemente sofferto per i conflitti del passato. Infine, la coscienza della propria identità è indispensabile nei rapporti con gli altri Paesi vicini, particolarmente con quelli che si affacciano sul Mediterraneo, molti dei quali soffrono a causa di conflitti interni e per la pressione del fondamentalismo religioso e del terrorismo internazionale.

A voi legislatori spetta il compito di custodire e far crescere l'identità europea, affinché i cittadini ritrovino fiducia nelle istituzioni dell'Unione e nel progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento. Sapendo che «quanto più cresce la potenza degli uomini tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità individuale e collettiva» . Vi esorto perciò a lavorare perché l'Europa riscopra la sua anima buona.

Un anonimo autore del II secolo scrisse che «i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l'anima è nel corpo» . Il compito dell'anima è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica. E una storia bimillenaria lega l'Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro. Essa è la nostra identità. E l'Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa stessa non è ancora esente dai conflitti. Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il suo futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda, difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l'umanità!

Grazie. 

Rassegna stampa: Avvenire 25.11.2014
http://www.avvenire.it/Papa_Francesco/Discorsi/Pagine/discorso-europarlamento-strasburgo.aspx?utm_content=bufferce03b&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer

giovedì 20 novembre 2014

Papa Francesco alla Fao: chi ha fame chiede dignità





Il diritto all’alimentazione sarà garantito solo se “ci preoccupiamo” della “persona che patisce gli effetti della fame e della denutrizione”, cioè il “soggetto reale” di tale diritto. Lo ha ricordato Papa Francesco ai partecipanti alla seconda Conferenza internazionale sulla nutrizione: La lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla ‘priorità del mercato’, e dalla ‘preminenza del guadagno’, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanziaria. E mentre si parla di nuovi diritti, l’affamato è lì, all’angolo della strada, e chiede diritto di cittadinanza, di essere considerato nella sua condizione, di ricevere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina”.
Oggi, ha notato il Pontefice, “si parla molto di diritti, dimenticando spesso i doveri”: forse - ha riflettuto - ci siamo preoccupati “troppo poco di quanti soffrono la fame”.

D’altra parte “i destini di ogni nazione sono più che mai collegati tra loro, come i membri di una stessa famiglia, che dipendono gli uni dagli altri”: “Pero vivimos en una época en la que las relaciones entre las naciones...

Ma viviamo in un’epoca in cui i rapporti tra le nazioni sono troppo spesso rovinati dal sospetto reciproco, che a volte si tramuta in forme di aggressione bellica ed economica, mina l’amicizia tra fratelli e rifiuta o scarta chi già è escluso. Lo sa bene chi manca del pane quotidiano e di un lavoro dignitoso. Questo è il quadro del mondo, in cui si devono riconoscere i limiti di impostazioni basate sulla sovranità di ognuno degli Stati, intesa come assoluta, e sugli interessi nazionali, condizionati spesso da ridotti gruppi di potere”.

Eppure le persone e i popoli sono lì ed “esigono che si metta in pratica” la giustizia legale, quella contributiva e quella distributiva. Per questo, ha sottolineato il Santo Padre, i piani di sviluppo e il lavoro delle organizzazioni internazionali dovrebbero tener conto del desiderio, “tanto frequente tra la gente comune”, di vedere in ogni circostanza rispettati i diritti fondamentali della persona umana e, soprattutto, della persona che ha fame. “Quando questo accadrà – ha proseguito il Papa - anche gli interventi umanitari, le operazioni urgenti di aiuto e di sviluppo – quello vero, integrale – avranno maggiore impulso e daranno i frutti desiderati”. Certamente “l’interesse per la produzione, la disponibilità di cibo e l’accesso a esso, il cambiamento climatico, il commercio agricolo” devono ispirare le regole e le misure tecniche di tali azioni, ma non solo: La prima preoccupazione deve essere la persona stessa, quanti mancano del cibo quotidiano e hanno smesso di pensare alla vita, ai rapporti familiari e sociali, e lottano solo per la sopravvivenza”.

Quindi il ricordo delle parole di San Giovanni Paolo II alla prima Conferenza internazionale sulla nutrizione, il 5 dicembre 1992, con cui Papa Wojtyla “mise in guardia la comunità internazionale contro il rischio del ‘paradosso dell’abbondanza’: C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Purtroppo questo ‘paradosso’ continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica”.

Questa è un sfida da superare, ha aggiunto, assieme a quella della “mancanza di solidarietà”, dovuta al fatto che le nostre società “sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione; ciò finisce col privare i più deboli di una vita degna e con il provocare rivolte contro le istituzioni”: Quando manca la solidarietà in un paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l’atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all’altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differenze e dei limiti, e spinge a cercare insieme il bene comune”.

Gli esseri umani, quando prendono coscienza di “essere parte responsabile del disegno della creazione”, diventano capaci - ha affermato il Papa - di rispettarsi reciprocamente, “invece di combattere tra loro, danneggiando e impoverendo il pianeta”. Così agli Stati, “concepiti come comunità di persone e di popoli”, viene chiesto di “agire di comune accordo”, aiutandosi reciprocamente “mediante i principi e le norme che il diritto internazionale mette a loro disposizione”: Una fonte inesauribile d’ispirazione è la legge naturale, iscritta nel cuore umano, che parla un linguaggio che tutti possono capire: amore, giustizia, pace, elementi inseparabili tra loro. Come le persone, anche gli Stati e le istituzioni internazionali sono chiamati ad accogliere e a coltivare questi valori, in uno spirito di dialogo e di ascolto reciproco. In tal modo, l’obiettivo di nutrire la famiglia umana diventa realizzabile. Ogni donna, uomo, bambino, anziano deve poter contare su queste garanzie dovunque”.

Garanzie che ogni Stato, attento al benessere dei suoi cittadini, ha il “dovere” di sottoscrivere “senza riserve”, preoccupandosi della loro applicazione. Ciò, ha aggiunto, richiede perseveranza e sostegno. La Chiesa cattolica cerca di offrire anche in questo campo il proprio contributo, “mediante un’attenzione costante alla vita dei poveri in ogni parte del pianeta” e su questa stessa linea si muove il coinvolgimento attivo della Santa Sede nelle organizzazioni internazionali.

S’intende in tal modo contribuire a identificare e adottare i criteri che devono realizzare lo sviluppo di un sistema internazionale equo. Sono criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazione tra il diritto all’alimentazione e il diritto alla vita e a un’esistenza degna, il diritto a essere tutelati dalla legge, non sempre vicina alla realtà di chi soffre la fame, e l’obbligo morale di condividere la ricchezza economica del mondo”.

Se si crede al principio dell’unità della famiglia umana, “fondato sulla paternità di Dio Creatore”, e alla fratellanza degli esseri umani, ha sottolineato il Pontefice, “nessuna forma di pressione politica o economica che si serva della disponibilità di cibo può essere accettabile”: Nessun sistema di discriminazione, di fatto o di diritto, vincolato alla capacità di accesso al mercato degli alimenti, deve essere preso come modello delle azioni internazionali che si propongono di eliminare la fame”.

Quindi il Papa ha pregato “affinché la comunità internazionale sappia ascoltare l’appello di questa Conferenza”, considerandolo “un’espressione della comune coscienza dell’umanità”: dare da mangiare agli affamati, ha affermato, per salvare la vita nel pianeta. Il Papa ha infine salutato i dipendenti della Fao ricordando il drammatico problema della carenza di acqua:

" L’acqua non è gratis, come tante volte pensiamo. Sarà il grave problema che può portarci ad una guerra".
rassegna stampa: AVVENIRE 20.11.14
http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/papa-fao-20-novemre-2%2714.aspx


mercoledì 19 novembre 2014

La crisi spinge i pignoramenti: nel 2014 su dell'11,6%


La crisi spinge i pignoramenti: nel 2014 su dell'11,6%MILANO - Quasi 5.500 in un anno, 20 ogni giorno lavorativo: anche nel 2014 sono continuati ad aumentare i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari, che secondo i dati dell'Adusbef arriveranno a dicembre 2014 a 52.606, l'11,6% in più rispetto allo scorso anno. La cifra è ricavata dalle proiezioni sui dati raccolti in 35 tribunali italiani al 30 ottobre scorso. In 5 anni di crisi (2008-2013), dicono Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, presidenti Adusbef e Federconsumatori, pignoramenti ed esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 108,1%.

Nel monitoraggio su 35 principali tribunali solo per tre (Avezzano, Bergamo e Taranto) sono hanno registrato una diminuzione dei provvedimenti. Il maggior aumento si registra a Modena, con un + 1.008 pignoramenti ed una percentuale del +34,9%; seguono Sondrio (+33,3%); Sulmona (+23,9%); Frosinone (+22,1%); Ferrara (+21,3%); Pesaro (+20,4%); Catania (+18,7%); Monza (+15,2%), Cagliari (+14,9%). Vanno meglio le grandi città come Bologna (+13,3%); Torino (+10,8); Milano (+10,6%); Roma e Napoli (+10,4%).

Adusbef e Federconsumatori calcolano che se vengono sommati gli aumenti dei pignoramenti dal 2006 al 2014, l'incremento è pari al 161,7 per cento in nove  anni che in termini assoluti si potrebbe tradurre con la totale scomparsa di una città delle dimensioni di "Ancona, Bolzano o Terni". Adusbef e Federconsumatori rammentano che a partire dal 2014 Equitalia non potrà più procedere a pignoramenti sulle prime casa per immobili di valore inferiore a 120mila euro.

rassegna stampa: Repubblica 19.11.14
http://www.repubblica.it/economia/2014/11/19/news/la_crisi_spinge_i_pignoramenti_nel_2014_su_dell_11_6_-100928007/



martedì 18 novembre 2014

Uni Finanza lancia l'allarme: a rischio una parte del sistema bancario!

Uni Finanza lancia l'allarme: a rischio una parte del sistema bancario!: Le dimensioni raggiunte dal 'sistema bancario ombra' rappresentano il più concreto pericolo di prossima crisi sistemica.

Si è appena insediato il nuovo commissario europeo per la stabilità finanziaria, i servizi finanziari e
il mercato dei capitali, l’inglese Jonathan Mill, e già si rincorrono polemiche e preoccupazioni.
La scelta di Mill è stata subito criticata per il suo passato, tutt'altro che remoto, di esponente della lobby finanziaria della city di Londra, mentre il suo diretto superiore, il vice presidente della Commissione Europea Jyrki Katainen, responsabile per gli affari economici e monetari, è stato descritto come un alleato settentrionale della Germania e partigiano dell’austerità.
Lo stesso Junker, nella lettera di mandato al nuovo commissario, evidenzia obiettivi contraddittori.
Se, da un lato, la richiesta è per una particolare attenzione all’’equità sociale della regolamentazione’ e alla ‘qualità dei servizi finanziari ai cittadini’, dall’altro lato, i dipendenti del settore finanziario non sono mai menzionati e lo stesso trattamento è riservato al cosiddetto level playing field, parola d’ordine degli anni passati, a significare un mercato unico europeo caratterizzato da pari condizioni di regole e, quindi, di concorrenza.
Quest’aspetto è senz’altro il più inquietante del mandato a Mill, cui viene richiesto ‘un chiaro sostegno al finanziamento dell’economia reale’, ma a scapito del settore bancario regolamentato.
Junker chiede, infatti,  esplicitamente di ‘sviluppare alternative alla dipendenza delle nostre
imprese dai finanziamenti bancari’(!!!),
con il rischio più che concreto che una parte delle attività vengano trasferite fuori dal settore bancario regolamentato, verso quello che non a caso viene
chiamato shadow banking, il sistema bancario parallelo, con intermediari che svolgono attività finanziarie analoghe, ma senza regole né tutele per le imprese, i consumatori e i dipendenti!

Negli stessi giorni in cui il commissario europeo illustrava la sua idea di sistema finanziario, Uni Finanza a Ginevra rilanciava le sue richieste in tema di regolazione finanziaria e riforma del settore bancario.
Nella seconda consultazione ufficiale con il Financial Stability Forum, rappresentato da Rupert Thorne, segretario generale aggiunto, il tema centrale è stato quello delle cosiddette 'Too big to fail', le megabanche di importanza sistemica, troppo grandi, complesse e interconnesse per fallire.
Philip Jennings, segretario mondiale di UNI Global Union, ha aperto la riunione chiedendo al Financial Stability Board di procedere più velocemente con le riforme per la stabilità finanziaria e
alle grandi banche un’assunzione di responsabilità nei confronti delle comunità di appartenenza, delle società in cui operano e dei lavoratori.

 rassegna stampa: http://www.fiba.it/

domenica 16 novembre 2014

Credito - La Banca d’Italia: anche a settembre continua la stretta. I prestiti alle imprese calano del 3,3%

Banca-d-ItaliaNon c’è accenno di ripresa nei prestiti concessi dalle banche italiane. Lo segnala Bankitalia. A settembre, il credito è diminuito mediamente del 2,3% sullo stesso mese del 2013. Sulle famiglie il credit crunch è “pesato” dello 0,6%, sulle imprese del 3,3%.

 
Credito - Bce: i prestiti ai privati nell’Eurozona calano per il 28esimo mese consecutivo 
 
104701277-67fc2a9c-1c10-4a16-8e5a-05c551b3a73aIl credit crunch non è un problema esclusivamente italiano. Lo dimostra il Bollettino mensile della Banca centrale europea. Ad agosto i prestiti ai privati sono diminuiti dell’1,5%. E’ il 28esimo mese consecutivo di contrazione del credito. 
 

giovedì 13 novembre 2014

«Difendere i cittadini dagli abusi della finanza»

Sua Eccellenza Tony Abbott
Primo Ministro dell’Australia


Il 15 e 16 novembre prossimo a Brisbane, Ella presiederà il Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei 20 Paesi con le maggiori economie, portando in tal maniera a termine la Presidenza australiana del Gruppo dei 20 nell’anno trascorso. La Presidenza ha dato prova di rappresentare una eccellente opportunità per tutti di apprezzare il significativo contributo dato dall’Oceania nella gestione delle problematiche mondiali e dei suoi sforzi per promuovere una costruttiva integrazione di tutti i Paesi.
L’agenda del G20 a Brisbane è particolarmente concentrata sugli sforzi per rilanciare un progetto di crescita sostenibile dell’economia mondiale, allontanando in tal modo lo spettro della recessione globale. Dal lavoro preparatorio è emerso un punto cruciale, vale a dire, l’imperativo di creare opportunità d’impiego dignitose, stabili e a favore di tutti. Questo presuppone e richiede un miglioramento nella qualità della spesa pubblica e degli investimenti, la promozione di investimenti privati, un equo e adeguato sistema di tassazione, uno sforzo concertato per combattere l’evasione fiscale e una regolamentazione del settore finanziario, che garantisca onestà, sicurezza e trasparenza.
Vorrei chiedere ai Capi di Stato e di Governo del G20 di non dimenticare che dietro queste discussioni politiche e tecniche sono in gioco molte vite e che sarebbe davvero increscioso se tali discussioni dovessero rimanere puramente al livello di dichiarazioni di principio.

Nel mondo, incluso all’interno degli stessi Paesi appartenenti al G20, ci sono troppe donne e uomini che soffrono a causa di grave malnutrizione, per la crescita del numero dei disoccupati, per la percentuale estremamente alta di giovani senza lavoro e per l’aumento dell’esclusione sociale che può portare a favorire l’attività criminale e perfino il reclutamento di terroristi. Oltre a ciò, si riscontra una costante aggressione all’ambiente naturale, risultato di uno sfrenato consumismo e tutto questo produrrà serie conseguenze per l’economia mondiale.

È mia speranza che possa essere raggiunto un sostanziale ed effettivo consenso circa i temi posti in agenda. Allo stesso modo, spero che le valutazioni dei risultati di questo consenso non si restringeranno agli indici globali, ma prenderanno parimenti in considerazione il reale miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie più povere e la riduzione di tutte le forme di inaccettabile disuguaglianza. Formulo queste speranze in vista dell’Agenda post-2015, che sarà approvata dalla corrente sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che dovrebbe includere gli argomenti vitali del lavoro dignitoso per tutti e del cambiamento climatico.

I Vertici del G20, che iniziarono con la crisi finanziaria del 2008, si sono svolti sul drammatico sfondo di conflitti militari, e questo ha prodotto disaccordi tra i membri del Gruppo. È motivo di gratitudine che tali disaccordi non abbiano impedito un dialogo genuino all’interno del G20, con riferimento sia ai temi specificamente in agenda che a quelli della sicurezza globale e della pace. Ma questo non basta. Il mondo intero si attende dal G20 un accordo sempre più ampio che possa portare, nel quadro dell’ordinamento delle Nazioni Unite, a un definitivo arresto nel Medio Oriente dell’ingiusta aggressione rivolta contro differenti gruppi, religiosi ed etnici, incluse le minoranze. Dovrebbe inoltre condurre ad eliminare le cause profonde del terrorismo, che ha raggiunto proporzioni finora inimmaginabili; tali cause includono la povertà, il sottosviluppo e l’esclusione. È diventato sempre più evidente che la soluzione a questo grave problema non può essere esclusivamente di natura militare, ma che si deve anche concentrare su coloro che in un modo o nell’altro incoraggiano gruppi terroristici con l’appoggio politico, il commercio illegale di petrolio o la fornitura di armi e tecnologia. Vi è inoltre la necessità di uno sforzo educativo e di una consapevolezza più chiara che la religione non può essere sfruttata come via per giustificare la violenza.
Questi conflitti lasciano profonde cicatrici e producono in varie parti del mondo situazioni umanitarie insopportabili. Colgo questa opportunità per chiedere agli Stati Membri del G20 di essere esempi di generosità e di solidarietà nel venire incontro alle tante necessità delle vittime di questi conflitti, e specialmente nei confronti dei rifugiati.
La situazione nel Medio Oriente ha riproposto il dibattito sulla responsabilità della comunità internazionale di proteggere gli individui  e i popoli da attacchi estremi ai diritti umani e contro il totale disprezzo del diritto umanitario. La comunità internazionale, e in particolare gli Stati Membri del G20 dovrebbero anche preoccuparsi della necessità di proteggere i cittadini di ogni Paese da forme di aggressione, che sono meno evidenti, ma ugualmente reali e gravi. Mi riferisco specificamente agli abusi nel sistema finanziario, come quelle transazioni che hanno portato alla crisi del 2008 e più in generale alla speculazione sciolta da vincoli politici o giuridici e alla mentalità che vede nella massimizzazione dei profitti il criterio finale di ogni attività economica. Una mentalità nella quale le persone sono in ultima analisi scartate non raggiungerà mai la pace e la giustizia. Tanto a livello nazionale come a livello internazionale, la responsabilità per i poveri e gli emarginati deve perciò essere elemento essenziale di ogni decisione politica.
Con la presente lettera, desidero esprimere il mio apprezzamento per il vostro lavoro, Signor Primo Ministro, ed offrire il mio incoraggiamento e la mia preghiera per le deliberazioni che dovranno essere adottate e per la riuscita del Vertice. Invoco la benedizione divina su tutti coloro che prendono parte a questo incontro e su tutti i cittadini dei Paesi del G20. In modo particolare, esprimo i miei più sentiti auguri, insieme alla mia preghiera, per la felice conclusione della presidenza dell’Australia e volentieri Le assicuro la mia più alta considerazione.
Dal Vaticano, 6 novembre 2014
Francesco
 
rassegna stampa: Avvenire 11.11.2014 
https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=353240452088341648#editor/target=post;postID=6824679649546842102

mercoledì 12 novembre 2014

Nuovo record per i fondi speculativi: gestiscono 2.800 miliardi


Nuovo record per i fondi speculativi: gestiscono 2.800 miliardiMILANO - Altro che crisi economica, finanza imbrigliata da regole troppo stringenti dopo il tracollo di Lehman Brothers, ripensamenti etici. L'industria degli hedge fund, i fondi speculativi che a differenza dei gestori tradizionali usano molti strumenti sofisticati, non è mai stata così in forma. Secondo i dati dell'istituto di ricerca Hfr, citati dal Wall Street Journal, alla fine del terzo trimestre le masse in gestione degli hedge fund hanno raggiunto la cifra record di 2.820 miliardi di dollari. E' come se nelle loro mani ci fosse l'intero debito pubblico tricolore, oppure il Prodotto interno lordo di Italia e Svizzera messe insieme.

Nell'ultimo trimestre registrato, la crescita rispetto al periodo precedente è stata di 18 miliardi di dollari: è il nono trimestre consecutivo che si aggiorna il record di "asset under management" per l'industria dei fondi speculativi. Il nuovo picco, spiega il Wsj, è stato guidato più dall'afflusso di nuovi capitali che dalle performance registrate. Gli investitori hanno puntato altri 15,9 miliardi di dollari nel periodo tra luglio e settembre, per un totale di quasi 73 miliardi dall'inizio dell'anno. Si tratta del maggior afflusso dal 2007 a questa parte.

Povera invece la performance: il Hfri Fund Weighted Composite Index, un paniere che traccia l'andamento degli hedge fund, ha fatto segnare un andamento leggermente negativo nel terzo periodo dell'anno e un guadagno del 3% nei primi tre trimestri del 2014. Si tratta di un andamento peggiore del +6,7% nell'analogo periodo dello S&P500, ma è in linea con il Dow Jones.

A dispetto della crescita delle masse, ma forse in accordo con le performance sotto tono, un altro studio dice che non tutti festeggeranno la stagione dei bonus di Wall Street; anzi, proprio coloro che lavorano ai trading desk e in hedge fund gli assegni aggiuntivi potrebbero essere il 10% più bassi rispetto all'anno scorso. Per i banchieri di investimento e i dipendenti di società di private equity che si occupano di fusioni e acquisizioni i bonus potrebbero invece salire del 10-15%. A dirlo è la società di consulenza Johnson Associates. "Per la prima volta in 30 anni, la percezione è che le grandi banche non sono il posto dove andare per stipendi alti - afferma Alan Johnson, il direttore generale di Johnson Associates -. Ci sono altre aree  nell'industria finanziaria dove andare per guadagnare di più. Questo è un cambio fondamentale".

rassegna stampa: Repubblica 10.11.2014 
http://www.repubblica.it/economia/finanza/2014/11/10/news/hedge_fund_record_asset-100209215/


lunedì 10 novembre 2014

L'eurofinanza ombra vale 19mila miliardi

Il sistema bancario ombra, lo shadow banking, non smette di crescere senza sosta. A confermarlo è stata ieri Daniele Nouy, presidente del Consiglio di supervisione bancaria della Bce, che ha dichiarato come le attività finanziarie non regolamentate nell'eurozona siano raddoppiate dall'inizio della crisi, passando da 9mila miliardi di euro del 2006 a 19mila miliardi a fine del 2013.
Le cifre sono imponenti se si pensa che le 130 banche dell'eurozona sottoposte ai recenti stress test presentavano a fine 2013 attivi di bilancio per 23mila miliardi e che le attività giudicate a rischio (Rwa) e su cui si calcolano i fabbisogni di capitale per garantirne la solidità sono poco più di 11mila miliardi. Un confronto impietoso: le attività di centinaia di hedge funds; fondi monetari; dealers, veicoli speciali e cartolarizzatori, non sottoposti a regolamentazione esterna, valgono quasi quanto le attività di tutte le banche europee vigilate e quasi il doppio delle attività giudicate a rischio. Un paradosso. Mentre si chiede alle banche regolate un controllo rigoroso della loro solidità patrimoniale, c'è un mondo immenso della finanza che cresce a ritmi esponenziali. Una sorta di legge del contrappasso che getta più di un'ombra sull'apparente stabilità del sistema europeo. Basti pensare che, come riporta il Financial Stability report della Bce, le banche dell'eurozona hanno tagliato dal 2012 le loro dimensioni per la bellezza di 4.300 miliardi. Per ottemperare alle richieste di solidità patrimoniale le banche vigilate avevano due strade: aumentare il capitale o diminuire i prestiti. Il capitale è stato sì elevato (solo nell'ultimo anno sono stati fatti aumenti di capitale per quasi 100 miliardi) ma sono stati soprattutto tagliati i crediti e i titoli per un volume pari a 4.300 miliardi. Mentre il sistema bancario ombra aumentava la sua dimensione di 10mila miliardi negli ultimi anni. Nouy ha spiegato che buona parte di questo fenomeno è da ascrivere al massiccio credit crunch innescato dalle banche vigilate cui è subentrato lo shadow banking che «ha aumentato il suo ruolo nel finanziamento dell'economia reale e ha finito anche per contribuire al finanziamento delle banche regolamentate con volumi che si aggirano intorno agli 88 miliardi di linee di credito attive».
Il fenomeno non è solo europeo. Il Fondo monetario internazionale ha documentato come lo shadow banking valga oltre 60mila miliardi di dollari a livello mondiale, più del Pil di Stati Uniti, Ue e Cina messi insieme. Di questi 60mila miliardi di dollari tra i 15mila e i 25mila miliardi di dollari sono appannaggio degli Stati Uniti, tra i 2,6 e i 6 trilioni di dollari in Giappone e intorno ai 7 trilioni nei Paesi emergenti.
Secondo l'Fmi «gli stessi fattori guidano la crescita dello shadow banking nei diversi Paesi». Il fenomeno «tende a decollare quando si mettono in campo regolamentazioni bancarie stringenti, che spingono all'aggiramento delle regole. Inoltre, cresce quando i tassi di interesse e gli spread sui rendimenti sono bassi e gli investitori cercano ritorni più alti». In totale, calcolano i tecnici dell'istituto di Washington, lo shadow banking conta per circa un terzo del rischio sistemico complessivo negli Stati Uniti, più o meno come il sistema bancario tradizionale. Il peso è più basso in Gran Bretagna e nella zona dell'euro che «hanno ancora sistemi finanziari più bancocentrici». Tra i paesi emergenti, avverte il Fondo, «uno stretto monitoraggio» merita la Cina dove lo shadow banking arriva a una quota compresa tra il 35 e il 50% del Pil e cresce a un ritmo del 20% annuo».

rassegna stampa: Il sole 24 ore - 9.11.14
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2014-11-09/l-eurofinanza-ombra-vale-19mila-miliardi--145237.shtml


venerdì 7 novembre 2014

«Non trascuriamo chi produce il 12% del Pil»


Per risalire dall’abisso bisogna sapere quanto è profondo il baratro. A misurarlo ci ha pensato il Cerved (primo gruppo in Italia nell’analisi del rischio del credito) con un’analisi dettagliata dello stato di salute economico-finanziaria delle aziende che rientrano nella definizione europea di piccole e medie imprese.
«Si tratta di circa 144mila società — commenta Gianandrea De Bernardis amministratore delegato di Cerved — che nel complesso generano un giro di affari di 851 miliardi di euro, un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, e che hanno contratto debiti finanziari per 271 miliardi di euro».
La micidiale azione congiunta della crisi economica e del credit crunch, in poco più di sei anni, ha creato danni devastanti al sistema delle Pmi. Dal 2008 ne sono fallite 13 mila, più di 5 mila hanno avviato una procedura concorsuale non fallimentare e 23 mila sono state liquidate volontariamente: nel complesso, un quinto di quelle attive nel 2007 è stato interessato da almeno una di queste procedure.
«La maggior parte delle imprese fallite — afferma De Bernardis — era già in difficoltà nel periodo antecedente la crisi. Per queste, la recessione ha solo accelerato un processo di selezione già in atto. La nostra analisi mette in luce però anche imprese che, prima della crisi, davano segni di vitalità e che con ogni probabilità sono state espulse dal mercato più per problemi di liquidità che di sostenibilità economica».
Il credito
L’andamento dell’accesso al credito in Italia ha conosciuto traiettorie ondivaghe: il 2009 è ricordato come l’anno orribile della grande gelata, poi ci fu una timida ripresa dei finanziamenti e quindi una nuova frenata: il rapporto evidenzia che i debiti finanziari delle Pmi si sono ridotti tra il 2011 e il 2013 di 4,1 punti percentuali, mentre per le grandi società sono aumentati nel 2012, diminuendo solo marginalmente nel 2013. Questi numeri ci dicono che, da un certo momento in poi, gli istituti di credito hanno ridotto i finanziamenti ai piccoli per sostenere la grande impresa.
La restrizione del credito non ha riguardato in modo omogeneo tutte le Pmi: spinte anche dalle regole di Basilea, tra il 2008 e 2013, le banche hanno selezionato con maggiore attenzione la clientela, riducendo i finanziamenti alle realtà più rischiose e continuando a erogare prestiti a quelle più affidabili.
L’analisi di Cerved evidenzia che questa restrizione, e selezione del credito, non è stata operata solo dalle banche, ma anche dalle stesse imprese nell’erogazione dei fidi commerciali. Secondo i dati di Payline, nel 2013 il credito commerciale si è ridotto di 2,7 punti percentuali, ma non tra le piccole e medie aziende, che hanno invece ottenuto un aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente. Le aziende più rischiose hanno invece registrato una restrizione dei fidi di 16 punti percentuali. In pratica è diventato più facile avere soldi per le aziende già patrimonializzate, quasi impossibile, invece, per chi stava attraversando una fase di sofferenza economica.
Tartarughe e gazzelle
Eppure, malgrado una congiuntura negativa mai conosciuta dal dopoguerra a oggi, non mancano le storie di successo. L’indagine del Cerved ha individuato 3.472 «gazzelle», piccole e medie realtà che sono riuscite almeno a raddoppiare il proprio giro d’affari dal 2007. Una controtendenza solo all’apparenza inspiegabile, In realtà la selezione della specie è determinata, in gran parte, dalla capacità di fare impresa e dalla solidità patrimoniale. Servivano innovazione, ricerca, sviluppo, managerialità e capacità di internazionalizzazione. Tutti strumenti alla portata dei più lungimiranti e di coloro che hanno saputo mantenere solide le basi patrimoniali delle aziende.
Circa il 30% delle pmi non ha contratto prestiti bancari: si tratta prevalentemente di imprese piccole che operano autofinanziandosi. Le aziende che invece hanno bisogno di risorse fresche per operare, dipendono quasi completamente dal sistema creditizio (per le mid cap il 98% dei debiti finanziari ha natura bancaria), con livelli decisamente maggiori rispetto alle pmi tedesche, spagnole e francesi. Malgrado tutto però le pmi fanno fatica a trovare vie alternative di finanziamento. Caso emblematico quello dei mini bond che hanno finora giocato un ruolo marginale: si contano infatti solo 29 pmi che hanno emesso obbligazioni per 226 milioni di euro soprattutto con l’obiettivo di crescere per linee esterne o attraverso investimenti.
Eppure da un’analisi sulle performance dell’universo di società italiane, emerge che esistono almeno 2.500 pmi in possesso di parametri di bilancio paragonabili o migliori delle imprese che hanno già emesso un mini-bond. Manca la vision oppure è lo strumento che non convince? I mini bond ormai sono in pista da un po’, se non decollano a breve rischiano la bocciatura. Un po’ come è già accaduto con la Borsa. Le pmi fanno fatica a cambiare schemi. Ma, visti i risultati, farebbero bene a trovarne di nuovi ed efficaci. In fretta.

rassegna stampa: Corriere della Sera 6.11.2014
http://www.corriere.it/economia/finanza_e_risparmio/notizie/analisi-non-trascuriamo-chi-fa-12percento-pil-5f5e36b2-659a-11e4-b6fa-49c6569d98de.shtml#commentFormAnchor


giovedì 6 novembre 2014

Divari: la rendita di 85 miliardari nel mondo equivale al reddito del 50% della popolazione del Pianeta



Divari: la rendita di 85 miliardari nel mondo equivale al reddito del 50% della popolazione del PianetaROMA - Dall'inizio della crisi finanziaria, il mondo si trova a fare i conti con super-ricchi più che raddoppiati e 805 milioni che ancora soffrono la fame; con la prosperità non più appannaggio delle persone normali, ma solo di una ristretta cerchia di eletti, che invece vede crescere sempre più rapidamente il proprio patrimonio, per cui oggi la rendita di 85 miliardari sparsi nel mondo equivale a quello della metà della popolazione del Pianeta. Non solo: il fenomeno è talmente esteso che si può riscontrare perfino in Africa, dove nella regione sub-sahariana al fianco di 358 milioni di persone in povertà estrema, prosperano ben 16 miliardari.

Sessant'anni per portare la povertà sotto il 3%. Se il continente continuerà a crescere agli attuali ritmi, senza ridurre il livello di disuguaglianza estrema di reddito, ci vorranno più di 60 anni per portare la povertà al di sotto del 3%, nonostante sia la Banca Mondiale che il Fondo Monetario Internazionale si propongano di raggiungere questo obiettivo tra 15 anni. Questo è solo un esempio di come l'estrema disuguaglianza di reddito rappresenti sempre più un ostacolo alla lotta alla povertà e un freno a una crescita economica inclusiva e capace di raggiungere la gente comune.

Una crescita mal distribuita.
Il rapporto di Oxfam Partire a pari merito: eliminare la disuguaglianza estrema per eliminare la povertà estrema evidenzia come, a causa della crescita della disparità di reddito in molti paesi del mondo, i benefici della crescita economica non raggiungano grandi fasce di popolazione, ma si fermino a una elite che dispone di più ricchezza di quanta possa materialmente consumarne nell'arco di generazioni.

I miliardari nel mondo sono raddoppiati. Dal 2009, anno di "esplosione" della crisi economica globale, il numero di miliardari nel mondo è più che raddoppiato. Un trend in costante incremento: tra il 2013 e il 2014, le 85 persone più ricche al mondo - che, secondo un dato già diffuso da Oxfam lo scorso gennaio, hanno la stessa ricchezza della metà della popolazione più povera al mondo - hanno collettivamente aumentato la loro ricchezza di 668 milioni di dollari al giorno. Ovvero, quasi mezzo milione di dollari ogni minuto.

La disuguaglianza paralizza la crescita. Winnie Byanyima, Direttore esecutivo di Oxfam International, ha così sintetizzato il significato del rapporto: "Questi dati ci mostrano una realtà che non possiamo evitare di vedere: l'estrema disuguaglianza economica oggi non è uno stimolo alla crescita, ma un ostacolo al benessere dei più. Finché i Governi del mondo non agiranno per contrastarla, la spirale della disuguaglianza continuerà a crescere, con effetti corrosivi sulle istituzioni democratiche, sulle pari opportunità e sulla stabilità globale". Sette persone su 10 vivono in paesi in cui il divario tra ricchi e poveri è maggiore di quanto non fosse 30 anni fa.

I casi del Kenia e dell'India.
In Kenya, nei prossimi cinque anni altri 3 milioni di persone potrebbero essere spinti al di sotto della soglia di povertà se il governo non prenderà misure volte a diminuire, anche leggermente, la disuguaglianza di reddito. In India, paese che ha ridotto i propri livelli di povertà assoluti negli ultimi vent'anni, l'analisi di Oxfam evidenzia che se il governo indiano riuscisse ad arrestare il recente aumento della disuguaglianza nei prossimi cinque anni, salverebbe dalla povertà altri 90 milioni di persone.
 
In Italia la disparità di reddito aumentata del 33%.
Anche in Italia, secondo l'OCSE, da metà degli anni '80 fino al 2008, la disuguaglianza economica è cresciuta del 33% (dato più alto fra i paesi OCSE, la cui media è del 12%). Al punto che oggi l'1% delle persone più ricche detiene più di quanto posseduto dal 60% della popolazione (36,6 milioni di persone)[9]; mentre dal 2008 a oggi, gli italiani che versano in povertà assoluta sono quasi raddoppiati fino ad arrivare a oltre 6 milioni, rappresentando quasi il 10% dell'intera popolazione[10].
 
Giocare ad armi pari.
Winnie Byanyima ha poi aggiunto: "In un mondo nel quale le persone più ricche del mondo hanno più soldi di quanti potrebbero riuscire a spendere nell'arco della propria vita, ogni anno ci sono 100 milioni di persone che cadono in povertà perché costrette a pagare per l'assistenza sanitaria e milioni di bambini che non hanno la possibilità di andare a scuola. Per Oxfam porre l'attenzione sulla crescita incontrollata della disuguaglianza economica estrema non significa voler puntare il dito contro i più ricchi, ma stimolare i leader globali a mettere in atto politiche efficaci ad assicurare alle persone più povere la possibilità di giocare a pari merito la partita per migliorare la propria esistenza.

Una sfida cruciale.
Dal FMI a Papa Francesco, dal Presidente Obama al World Economic Forum, emerge un sempre maggior consenso al fatto che la disuguaglianza è una sfida cruciale dei nostri tempi e che la mancanza di azione è economicamente e socialmente dannosa. Solo l'1,5% delle super-ricchezze basterebbe per garantire istruzione e sanità a tutti i cittadini dei paesi più poveri. Ma nonostante le parole incoraggianti, ancora troppo poco è stato fatto"
 
Rompere il ciclo della povertà tra le generazioni.
Fra le raccomandazioni delineate da Oxfam nel rapporto di ricerca, che ha ricevuto, tra gli altri, gli apprezzamenti di Kofi Annan, Jeffrey Sachs e Joseph Stiglitz: la necessità che gli Stati del Mondo promuovano politiche tese a garantire un salario minimo dignitoso, a ridurre il divario tra le retribuzioni di uomini e donne, ad assicurare reti di protezione sociale e accesso a salute e istruzione gratuite per i loro cittadini. L'accesso a servizi essenziali gratuiti è ritenuto fondamentale per rompere il ciclo della povertà tra le generazioni.
 
Lotta all'evasione e all'elusione fiscale.
Particolarmente rilevante nell'analisi di Oxfam appare l'adozione di politiche e norme nazionali e globali di lotta all'evasione e all'elusione fiscale. Sono infatti tali fenomeni a generare oggi quelle carenze di risorse che invece potrebbero essere investite in politiche contro la povertà estrema e a favore di salute e istruzione.

rassegna stampa: Repubblica 29.10.2014 
http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2014/10/29/news/oxfam-99295993/

 

mercoledì 5 novembre 2014

Istat: oltre 1 italiano su 4 a rischio povertà. Il 50% delle famiglie ha meno di 2mila euro al mese

L'indicatore diminuisce di 1,5 punti percentuali rispetto al 2012, nel Mezzogiorno è doppio che nel resto del Paese. Si tratta delle persone che non riescono a far fronte a spese improvvise o a garantirsi standard di vita decorosi (ad esempio un pasto sufficientemente proteico), o che hanno difficoltà al lavoro

Istat: oltre 1 italiano su 4 a rischio povertà. Il 50% delle famiglie ha meno di 2mila euro al meseMILANO - L'onda lunga della recessione economica, con la disoccupazione che non si schioda dai massimi storici oltre il 12% e le innumerevoli crisi aziendali che portano esasperazione, genera condizioni di vita difficili per gli italiani, anche se in miglioramento rispetto al 2012. L'anno scorso, infatti, il 28,4% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia Europa 2020. L'indicatore deriva dalla combinazione del rischio di povertà (calcolato sui redditi 2012), della "grave deprivazione materiale" e della "bassa intensità di lavoro" e corrisponde alla quota di popolazione che sperimenta almeno una di quelle condizioni.

Lo rende noto l'Istat, che calcola anche che le famiglie italiane hanno percepito un reddito disponibile netto pari in media a 29.426 euro, circa 2.452 euro al mese. Tuttavia, poiché la distribuzione dei redditi è asimmetrica, la maggioranza delle famiglie ha conseguito un reddito inferiore all'importo medio. Se si calcola il valore mediano, ovvero il livello di reddito che separa le famiglie in due metà uguali, è possibile affermare che il 50% delle famiglie residenti in Italia ha percepito un reddito non superiore a 24.215 euro (2.017 euro al mese). Nel 2012, il reddito netto familiare è rimasto stabile rispetto all'anno precedente (sia in media, sia in mediana).

Rispetto al 2012, l'indicatore sulla povertà diminuisce di 1,5 punti percentuali, a seguito della diminuzione della quota di persone in famiglie gravemente deprivate (dal 14,5% al 12,4%); stabile la quota di persone in famiglie a rischio di povertà (19,1%) e in leggero aumento quella di chi vive in famiglie a bassa intensità lavorativa (dal 10,3% all'11%). La diminuzione della grave deprivazione, rispetto al 2012, è determinata dalla riduzione della quota di individui in famiglie che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 16,8% al 14,2%), di coloro che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 42,5% al 40,3%) o non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 21,2% al 19,1%).

Il rischio di povertà o esclusione sociale mostra la diminuzione più accentuata al Centro e al Nord (-7,7% e -5,9% rispettivamente), mentre nel Mezzogiorno, dove si registra una diminuzione del 3,7%, il valore si attesta al 46,2% (più che doppio rispetto al resto del Paese).

rassegna stampa: Repubblica 30.10.2014

lunedì 3 novembre 2014

Credito difficile se sei precario: negati prestiti a sette giovani su dieci

Dalla rata per la macchina al prestito per aprire un'attività. Fino al mutuo per la casa. Accedere al credito resta difficile per chi non ha un lavoro stabile. E, muovendosi tra banche e finanziarie, un giovane precario continua a incassare una lunga serie di “no”. E' quanto emerge da un'indagine dell'Adnkronos, che rielabora dati raccolti su tutto il territorio nazionale.
In media, a sette giovani con contratti a termine su dieci viene negato un prestito. Almeno restando nei canali principali e “sicuri”, rivolgendosi agli istituti di credito e alle principali finanziarie. Spesso è solo il soccorso di un “garante”, un genitore o un parente con una situazione stabile, a sbloccare istruttorie altrimenti destinate a essere cestinate. Ma in questi casi sono le condizioni del prestito a cambiare, con una serie di clausole incrociate che vanno a gravare interamente sulla copertura offerta dal garante.
Solo il 30% delle richieste va a buon fine senza un soccorso esterno. Si tratta dei casi in cui le banche e le finanziarie offrono prodotti ad hoc che presentano condizioni molto più sfavorevoli, guardano al tetto del finanziamento, al tasso di interesse, e alla durata della rate, rispetto al prodotto equivalente destinato al lavoratore a tempo indeterminato. In sostanza, se il mercato del lavoro ha virato ormai verso la flessibilità (in cinque anni, tra il 2008 e il 2013, sono crollati del 46,4% i contratti a tempo indeterminato e aumentati del 19,7% quelli a termine), il mercato del credito resta sostanzialmente rigido, escludendo di fatto chi non può contare su un contratto stabile o su un garante fidato.
In questo contesto, per molti l'alternativa è quella di ripiegare sui prestiti facili, spesso a rischio truffa. Veloci, facili, senza garanzie. Online, si moltiplicano le offerte, condite da slogan “accattivanti”. E, di conseguenza, cresce anche il rischio truffe: su dieci siti internet, sei chiedono un anticipo per le spese di istruttoria, a fronte di un documento inviato via mail, senza alcuna verifica preventiva. 

rassegna stampa: Sole 24 Ore 1 novembre 2014