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martedì 30 giugno 2015

Grexit "Greci, votate per salvare la democrazia" I grandi economisti sostengono Alexis Tsipras

Piketty, Stiglitz e Krugman concordano sul fatto che dalla crisi greca vi sia solo una via d'uscita: quella di opporsi ai disegni della troika. Che sta portando l'Europa alla fame e lontana dai popoli.

di Luca Steinmann 

Greci, votate per salvare la democrazia 
I grandi economisti sostengono Alexis Tsipras








    L'esito del referendum che si terrà in Grecia è ancora incerto, ma i greci stanno ricevendo pressioni e consigli da tutto il mondo su come decidere. Se naturalmente dall'Europa arrivano inviti a votare a favore del saldo dei debiti, non sono dello stesso parere i maggiori economisti internazionali, che ritengono che con l'austerità sia in pericolo non solo l'economia, ma anche la libertà democratica.

A sostenere Tsipras a spada tratta è l'economista francese Thomas Piketty. Da molti considerato come un'economista di sinistra, Piketty rifiuta questa etichetta, preferendo essere considerato come colui che "tenta di smontare le ipocrisie delle cancellerie europee". Dal suo punto di vista "Syriza è l'ultima spiaggia dell'Europa, dove la tensione è talmente alta che sta per scoppiare". Sostenere il governo greco vuole dire promuovere un'auspicabile "revisione totale dell'attuale politica basata sull'austerity che sta uccidendo il Sud dell'eurozona".

Sul banco degli imputati per questa situazione porta Jean-Claude Juncker - "un ipocrita che per vent'anni ha condotto il Lussemburgo a una sistematica depredazione dei profitti industriali del resto d'Europa" - e soprattutto la Germania. Definendo l'odierna situazione greca come post-bellica, " ricorda ai tedeschi dei maxi-condoni sui propri debiti di cui usufruirono nei due dopoguerra , che permise loro di finanziare la ricostruzione e la prepotente crescita degli anni successivi" alla quale si deve l' odierna forza economica e politica di Berlino . L'unico modo possibile per salvare la Grecia e l'Europa, dunque, è di non costringere la prima a pagare i debiti fino all'ultimo euro. Votando per il no i greci contribuirebbero dunque a fare ripartire non soltanto il proprio paese ma tutto lo sviluppo europeo.

"La Grecia deve votare no e il governo deve essere pronto a uscire dall'euro", Non usa mezzi termini neanche l'economista americano Paul Krugman. Professore di Economia e di Relazioni Internazionali all'Università di Princeton, nel 2008 ha vinto il Premio Nobel per l'economia grazie ai suoi studi riguardanti la teoria del commercio, nelle quali presenta i vantaggi che le economie dei paesi potrebbero derivare dall'imposizione di barriere protezionistiche.

Affidando il suo pensiero al New York Times , Krugman scrive che "la Grecia rende ovvio che la creazione dell'euro è stato un errore terribile che ha portato a un punto di non ritorno". Le responsabilità sarebbero da attribuire alle politiche di austerità e alla moneta unica. "Il collasso dell'economia greca non è imputabile solo agli errori che il suo governo ha fatto fino al 2008, ma soprattutto alle misure di austerità e all'euro". Le prime avrebbero potuto essere di successo se avessero reso competitive le esportazioni. Essendo questo impossibile senza avere una propria moneta, l'uscita dall'euro può essere l'unica soluzione per bilanciare l'altissima disoccupazione e il taglio delle pensioni che sono le conseguenze principali delle imposizioni della troika.



Il premier greco, intervistato in televisione sul referedum del 5 luglio con il quale la Grecia di fatto dovrà decidere se restare o meno dentro l'euro: "La decisione verrà presa dal popolo greco. Se si vuole continuare in perpetuo con piani e misure di austerità che ci renderanno incapaci di alzare la testa, con migliaia di giovani che lasceranno il paese per andare all'estero e tassi di disoccupazione alti noi rispetteremo la scelta, ma non la porteremo avanti"













Krugman non nega che la Grexit possa portare gravi problemi quali il rischio di un caos finanziario, il blocco di alcuni business, la crisi del sistema bancario e incertezze legali sullo stato del debito. Tutti fatti che hanno spinto i governi greci, anche Syriza, ad accettare l'austerity, sperando che la troika un giorno sarebbe venuta loro incontro. Cosa che non si è verificata e che, a quanto pare, continuerà a non avvenire. Ciò che i creditori hanno offerto a Tsipras è stato infatti un "prendere o lasciare" che se accettato avrebbe tolto al premier la legittimità conferitagli dal voto popolare che gli chiedeva di opporsi alle misure dei creditori.

L'obiettivo della troika è dunque quello di destabilizzare Tsipras, cosa che avverrebbe se i greci votassero per il si. Krugman li invita però a non farlo assolutamente: "perché le misure di austerità hanno mostrato di essere fallimentari e continueranno ad esserlo; ma soprattutto perché votando per la troika abbandonerebbero definitivamente ogni pretesa di indipendenza" e darebbero al mondo l'idea di essere dei burattini in mano ai tecnocrati. La scelta è tra la resistenza all'austerità e l'eterna depressione economica.

"Se fossi greco saprei chi votare" . Dalle pagine del Guardian anche Joseph Stiglitz invita a sostenere il fronte del no. L'economista americano e premio Nobel per l'economia aveva già in passato analizzato gli errori delle istituzioni economiche internazionali nelle gestioni delle crisi finanziarie. Particolarmente critico nei confronti del Fondo Monetario internazionale, Stiglitz lo accusa di imporre politiche economiche che rispondono alle esigenze dei paesi più forti – soprattutto gli Stati Uniti – che si rivelavano inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi, a discapito delle nazioni più povere. E' questo il caso della Grecia, dove in gioco c'è soprattutto la democrazia. Contenuti questi che sono stati espressi in una  lettera appello rivolta ai leader europei  da lui firmata insieme a Piketti e altri economisti, pubblicata sul Financial Times.

Per questo i greci devono votare no. Devono pensare a salvare se stessi e la propria capacità di determinare democraticamente il proprio futuro, perché non sono loro i responsabili dei drammi che stanno vivendo. "Quasi nulla dei prestiti concessi dai creditori sono andati al popolo, ma sono serviti per pagare i creditori privati, tra cui molte banche tedesche e francesi". I leader europei fanno credere ai greci di essere direttamente indebitati con loro per poterli ricattare e "fare accettare loro l'inaccettabile", qualora vincesse il sì. Un voto questo, che sarebbe in palese contraddizione con quanto espresso con le elezioni di gennaio, quando a Tsipras veniva chiesto di porre fine alle misure di austerità.

Una vittoria del sì mostrerebbe come l'Europa sia in grado di manipolare il volere dei cittadini, facendo cambiare loro opinione in base ai propri interessi economici. L'invito a votare sì da parte dei creditori mostra come "il concetto di legittimazione popolare sia incompatibile con le politiche dell'eurozona". Quella che la Grecia deve vincere è una battaglia per la democrazia. Gli ellenici hanno la possibilità e il dovere di entrare nella storia mostrando al mondo quanto il progetto europeo sia l'antitesi della democrazia. Per questo Stiglitz saprebbe bene chi votare.
rassegna stampa: L'Espresso 30 giugno 2015

domenica 28 giugno 2015

Banche, la scure di Londra sui bonus dei top manager

           LONDRA - La paga - extra - del banchiere si farà attendere più del previsto e lo Stato avoca a sè il diritto di cancellarla tout court, azzerando, se è il caso, la quota tradizionalmente più rotonda della retribuzione. Dopo sette anni di polemiche accese dal crollo di Lehman, Londra mette un punto fermo alla voce remunerazioni nei servizi finanziari.
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Prudential regulation authority (Pra) e Financial conduct authority (Fca), i regolatori di Sua Maestà, stringono sui bonus, rispondendo alle preoccupazioni dell'opinione pubblica per i rischi eccessivi che i traders tendono ad assumersi nella certezza della sostanziale impunità.
Non siamo nel campo penale – almeno non sempre – ma in quello della gestione dell'azzardo, andato in scena in misura macroscopica nella crisi del 2008 e rivisto nelle operazioni della Balena di Londra, il banker che nel 2012 perse miliardi di dollari nel trading per Jp Morgan. Mentre sullo sfondo occhieggiavano il caso Libor e Forex, scandali con valenza che va molto oltre la semplice malagestione.

Per evitare che l'approccio garibaldino alle negoziazioni di titoli, strumenti derivati, commodities e tutto quanto corre sul terminale divenga il naturale modus operandi di banchieri a caccia di bonus miliardari, la Gran Bretagna ha deciso di estendere fino a sette anni la possibilità di annullare le gratifiche assegnate per i cosiddetti “material risk takers” – i traders - e soprattutto per la prima linea del management, Ceo compreso. Se emergeranno ipotesi di cattiva gestione ( misconduct ) il bonus assegnato ai top executives sarà congelato altri tre anni per consentire gli eventuali accertamenti.

Dieci anni di purgatorio per chi ha maggiori responsabilità, dunque, e non a caso. “Questo è un passo essenziale per ricostruire fiducia della pubblica opinione nell'industria finanziaria. Sono misure che permettono alle imprese e ai regolatori di tracciare processi decisionali di lungo periodo inserendo criteri di gestione del rischio nei pacchetti retributivi”, ha commentato il ceo di Fca Martin Wheatley. Parole “doppiate” dal suo omologo della Pra, Andrew Bailey ancor più netto nel dire che a muoverli è stata “la determinazione di vedere premiate le persone in posizione di responsabilità capaci di sviluppare la cultura di risk management. Capaci, in ultima istanza, di promuovere la solidità delle istituzioni finanziarie”.

La risposta alla crisi del 2008 e agli scandali che hanno scosso la City più di qualsiasi altra piazza finanziaria si è fatta attendere oltre il previsto, ma è giunta con un decalogo di misure che non hanno uguali al mondo. “Come promesso dal governo – ha commentato un portavoce del Tesoro – il Regno Unito ha ora adottato un complesso di norme sulle retribuzioni che non si trova in nessun altra capitale finanziaria” E questo crea qualche preoccupazione. “Quella maggiore – ha commentato John Terry di PriceWaterhouse - è che si vadano creando aree diversificate fra Regno Unito, Unione europea, resto del mondo”. Se viene meno il “level playing field” delle regole sarà fuga dalla City ? Il problema i regolatori se lo sono posto visto che non è stata adottata ancora la decisione finale sulla possibiltà o meno - e a quali condizioni - di annullare il bonus d'ingresso. E' quel premio pagato ai top manager neo-assunti con l'obbiettivo di garantire loro la gratifica assegnata, ma non ancora incassata, dalla banca che lasciano.
Londra inasprisce le misure rispetto a Bruxelles anche sui tempi per incassare il bonus. I regolatori, ieri, hanno deliberato che l'assegno promesso potrà farsi denaro contante dopo sette anni per i manager più senior, cinque anni per i risk managers, da tre a cinque anni per il resto dello staff impegnato nella gestione del rischio, sostanzialmente i traders. Nel resto dell'Unione le gratifiche distribuite possono essere incassate dopo tre anni. Una mossa quella dei regolatori britannici che marca la posizione critica del Regno verso Bruxelles. Londra ha adottato, recalcitrando, il tetto al bonus (fino al 200% del salario) voluto dall'Ue, ritenendolo una misura capace di far lievitare la parte fissa della retribuzione. E con le norme varate ieri pare riaffermare che la gratifica “regolata” sia preferibile a un “limite” alla gratifica stessa, perchè consente di gestire il rischio, responsabilizzando l'azione della banca.
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Ancora più soffocante la stretta sugli istituti salvati dai finanziamenti statali: i manager non potranno ricevere bonus, ma solo lo stipendio fisso. Lo stesso per le figure non executive, presidente incluso, di qualsiasi istituzione finanziaria sia essa pubblica o privata. Le decisioni annunciate ieri diverranno operative nel gennaio 2016, ma per le banche nazionalizzate fin dal prossimo luglio. Nonostante la privatizzazione di Lloyds sia in pieno svolgimento (lo Stato ha ormai meno del 16%) e quella di Rbs sia ormai prossima, il Tesoro di Sua Maestà ha ancora 100 miliardi di sterline nel capitale delle banche recuperate da sicuro fallimento.

La via battuta da Londra basterà davvero per mettere fine al ripetersi di tanti scandali ? “Troppa gente responsabile della crisi – ha commentato Andrew Tyrie presidente della Commissione Tesoro dei Comuni - è uscita dal caos del 2008 con enormi quantità di denaro. Fu evidente troppo tardi che erano stati corsi rischi enormi e il premio per nulla meritato”. I regolatori vogliono correggere le aberrazioni del sistema, ma l'applicazione pratica non si presenta affatto semplice e la conseguenza più immediata è che la banche con sede in Inghilterra per far fronte alla concorrenza delle altre piazze finanziarie dovranno alzare il salario base ben oltre i limiti di oggi.

rassegna stampa: Il Sole24 ore 24 giugno 2015
 http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2015-06-24/banche-scure-londra-bonus-top-manager-131853.shtml?uuid=AC7ny3F&p=2

martedì 23 giugno 2015

BCE: alle banche italiane 108 mld da aste TLTRO, ma i prestiti ai privati restano al palo. Cosa non funziona nella strategia di Draghi?

Grazie alle aste del TLTRO le banche italiane si sono intascate 108,3 miliardi di euro, ma poco o niente è arrivato nelle tasche di privati, famiglie e imprese italiane. Lo scorso settembre la BCE di Mario Draghi ha lanciato le aste Targeted Long Term Refinancing Operation con l’obiettivo di contrastare il crescente credit cruch in Europa spingendo così le banche a riaprire i rubinetti del credito ai privati. Ma qualcosa nei progetti della BCE, non sta andando nel verso sperato, perchè nelle tasche di famiglie e imprese sono arrivate soltanto le briciole dei 108,3 miliardi intascati dalle banche italiane.
Le aste del Targeted Long Term Refinancing Operation sono iniziate lo scorso settembre. Si tratta di operazioni di finanziamento a lungo termine, aste in cui la BCE mette a disposizione delle banche europee liquidità a basso costo in cambio di collaterale come garanzia.
Ma questo strumento di politica espansiva era già stato messo in campo dalla BCE prima del settembre 2014, ma con risultati più che modesti. Tra il dicembre 2011 e il febbraio 2012 la BCE ha offerto due tranche da 1000 miliardi di euro alle banche europee, ma la maggior parte della liquidità incassata dalle banche è stata utilizzata per rifinanziare obbligazioni in scadenza o acquistare titoli di stato. Così facendo le banche italiane hanno ottenuto discreti guadagni, ma poco o niente è arrivato nelle tasche dei privati.
Per questo motivo lo scorso anno, Draghi ha inserito nell’operazione di rifinanziamento a lungo termine la dicitura “Targeted”, ovvero “mirato”. Le nuove operazioni di rifinanziamento sono quindi vincolate ai loro destinatari, imprese e famiglie a cui devono arrivare i soldi intascati dalle banche, altrimenti le banche saranno costrette nel 2016 a restituire alle BCE la liquidità erogata.
In questi giorni si è conclusa la quarta asta del TLTRO dopo quelle tenute a settembre, dicembre e marzo. Alla quarta asta del TLTRO 128 banche europee hanno ottenuto dalla BCE liquidità per 73,8 miliard di euro, di questi circa 14,3 miliardi sono andati nelle tasche delle banche italiane. Con l’asta di giugno il totale della liquidità ottenuta dagli istituti italiani sale così a 108,3 miliardi di euro.
E i prestiti ai privati italiani? Restano al palo. Nonostante la forte iniezione di liquidità da parte della BCE il sistema bancario italiano non trasmette ai privati il credito ottenuto. A confermarlo sono i dati di Bankitalia secondo cui i prestiti a famiglie e imprese del Belpaese continuano a calare. Ad aprile, secondo quanto riporta la Banca d'Italia nell'analisi delle principali voci dei bilanci bancari, “hanno registrato una contrazione su base annua dell’1,4 per cento, stesso valore di marzo. In dettaglio i prestiti alle famiglie sono calati dello 0,2 per cento sui dodici mesi (-0,3 nel mese precedente); quelli alle società non finanziarie sono diminuiti, sempre su base annua, del 2,2 per cento, come a marzo”.
Il trend negativo è confermato anche a maggio da un rapporto di Unimpresa: "Negli ultimi cinque anni i finanziamenti alle imprese sono diminuiti di 36,2 miliardi (-4,28%): da marzo 2010 a marzo 2015 gli impieghi destinati alle aziende sono passati da 845,9 miliardi a 809,7 miliardi. Sono diminuiti i finanziamenti di tutti i tipi di durata: quelli a breve termine sono scesi di 16,7 miliardi da 316,7 miliardi a 300 miliardi (-5,28%); quelli a media scadenza sono calati di 10,7 miliardi da 143,9 miliardi a 133,1 miliardi (-7,49%); quelli di lungo periodo sono diminuiti di 8,7 miliardi da 385,3 miliardi a 376,6 miliardi (-2,26%)".
Insomma i rubinetti del credito, ormai chiusi da anni, non sembrano essere riaperti se non col contagocce. Ma allora che fine hanno fatto i 108,3 miliardi di liquidità incassata dagli istituti italiani da settembre 2014 a giugno 2015? Qualcosa nel piano di Mario Draghi per ammormidire il credit crunch è andato storto.
All’indomani dell’annuncio della prima asta del TLTRO, si erano subito alzate le voci degli scettici. Tra queste anche l’agenzia di rating internazionale Fitch che in una nota scriveva: “Le banche in Spagna, Italia, Portogallo e Grecia sfrutteranno la possibilità di accedere ai prestiti a basso costo con scadenza settembre 2018. Tuttavia i fondi Tltro potrebbero essere utilizzati principalmente per sostituire gli esistenti prestiti Ltro con scadenza a gennaio e febbraio 2015, e per rifinanziare altro funding all’ingrosso. Alcune banche potrebbero essere costrette a restituire i fondi a settembre del 2016, con due anni di anticipo rispetto alla scadenza naturale, ma avranno comunque beneficiato di due anni di finanziamenti a condizioni favorevoli”.
Come previsto, molte banche hanno utilizzato la liquidità per rimborsare alla BCE i precedenti finanziamenti triennali TLTRO in scadenza tra il 2014 e il 2015. In pratica le banche hanno sostituito i finanziamenti triennali con la nuova liquidità fornita dalle ultime quattro aste del TLTRO, ma sono anche aumentati gli investimenti delle banche italiane in Titoli di Stato del nostro Paese: questo ha favorito il trend negativo del credito a famiglie e imprese.
Lo stesso Draghi, conscio del modesto risultato delle prime aste del TLTRO, ha spinto per mettere in campo il Quantitative easing, lo strumento di politica monetaria ultraespansiva che si spera abbia risultati migliori delle precedenti iniziative.

rassegna stampa: da International Business Times 22.06.2015

Bce, alle banche italiane 14,3 miliardi nella quarta asta Tltro

Le banche europee continunano ad attingere al rubinetto di liquidità a basso costo della Bce: alla quarta asta del Tltro (targeted longer-term refinancing), 128 istituti del Vecchio Continente hanno ottenuto 73,8 miliardi di euro. Una cifra tendenzialmente in linea con le stime degli analisti, che si attendevano una domanda di circa 75 miliardi, considerato valore mediano secondo i dati Bloomberg. Di questi, circa 14,3 miliardi sono andati alle banche italiane, poco meno di un quinto del totale. 

 Con i 14,3 miliardi di giugno diventano 108,3 i miliardi ottenuti dalle banche italiane nelle aste Tltro da settembre 2014. La banca italiana più attiva nelle aste è Intesa San Paolo (27,6 miliardi da settembre) seguita da UniCredit (16,95 miliardi)


http://www.infodata.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/82/2015/06/20151906-Aste-Tltro.png


Tratto da Il Sole 24 ORE del 19/06/2015, pagina 33

domenica 21 giugno 2015

Cgia: da Bce 94 miliardi alle banche, calano i prestiti alle imprese



Cgia da Bce 94 miliardi alle banche  calano i prestiti alle imprese            (AGI) - Roma, 20 giu. -

Grazie all'operazione Tltro, dal settembre dell'anno scorso al marzo di quest'anno la Bce ha erogato ben 94 miliardi di euro agli istituti di credito italiani, a loro volta obbligati a "riversare" questi soldi all'economia reale entro la fine del 2016. Ad oggi, purtroppo, gli effetti sono stati molto modesti. Lo sostiene la Cgia di Mestre. Se le famiglie hanno visto aumentare gli impieghi di 3,4 miliardi, le imprese, invece, hanno registrato una contrazione degli impieghi di 13,2 miliardi di euro: in termini complessivi gli italiani hanno visto ulteriormente scendere l'ammontare dei prestiti erogati dalle banche di ben 9,8 miliardi. "In buona sostanza - afferma il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - nonostante le iniezioni di liquidita' messe sul mercato dalla Bce i soldi arrivano alle famiglie con il contagocce, mentre il rubinetto del credito alle imprese continua a rimanere chiuso". Le Tltro, segnala l'Ufficio studi della Cgia, sono delle operazioni di rifinanziamento a piu' lungo termine che la Bce ha deciso di avviare per porre rimedio al credit crunch. Attraverso queste operazioni le banche europee possono chiedere finanziamenti alla Bce: tali finanziamenti dovranno, in seguito, venire orientati all'economia reale (imprese e famiglie). Nelle prime tre aste Tltro (settembre 2014, dicembre 2014 e marzo 2015) le principali banche italiane hanno ottenuto circa 94 miliardi di euro.
Se l'operazione Tltro sembra non sortire gli effetti sperati, le imprese sperano che con il Quantitative easing (Qe) la situazione si sblocchi. "Con il Qe - prosegue Bortolussi - dal marzo di quest'anno la Bce si e' impegnata ad acquistare titoli pubblici e privati per un ammontare di 60 miliardi di euro al mese. Complessivamente, la Banca centrale dovrebbe erogare fino al settembre del 2016 piu' di 1.000 miliardi di euro. Di questi 1.000 miliardi, sostengono alcune importanti societa' finanziare europee, 150 miliardi di euro circa dovrebbero interessare l'Italia. L'obiettivo e' ridare liquidita' al nostro sistema economico che negli ultimi tre anni ha subito una contrazione nell'erogazione del credito del 9,2 per cento che, in valore assoluto, corrisponde a una riduzione dei prestiti pari a quasi 91 miliardi di euro. Si pensi che nell'ultimo anno lo stock degli impieghi e' diminuito di ben 24 miliardi di euro". Perche' mai prosegue questa scarsa attenzione del nostro sistema creditizio nei confronti delle imprese? Con la crescita dei rischi legati all'aumento delle sofferenze bancarie, gli istituti di credito italiani hanno deciso di ridurre gli impieghi alle attivita' economiche, privilegiando gli investimenti in Bot, Btp, Cct e Ctz.
Tra l'ottobre del 2011 e l'aprile di quest'anno, infatti, la quantita' di titoli di stato italiani detenuti dalle banche residenti nel nostro Paese e' pressoche' raddoppiata. Se tre anni e mezzo fa nelle cassette di sicurezza dei nostri istituti di credito gli asset governativi ammontavano a 208,6 miliardi di euro, nell'ultima rilevazione hanno toccato i 415,5 miliardi di euro. : "Tuttavia, tale operazione non va demonizzata - spiega Bortolussi - A seguito di questi copiosi investimenti nei titoli di Stato ci siamo riappropriati del nostro debito pubblico, che nel 2011 era per il 44 per cento nelle mani degli investitori stranieri. Oggi, invece, tale quota e' scesa al 34 per cento. Certo, con piu' investimenti in titoli di Stato e meno impieghi all'economia reale, non sono state poche le imprese che hanno chiuso i battenti. Pertanto, e' necessario cambiare rotta. Tuttavia, se da un lato siamo diventati un Paese meno a rischio, non va nemmeno dimenticato che l'acquisto di Bot, Cct e Btp ha consentito alle nostre banche di aumentare il proprio livello di patrimonializzazione, cosi' come richiesto dagli accordi di Basilea".

 rassegna stampa: Agi 20 giugno 2015

venerdì 19 giugno 2015

Il Papa: "La gente paga per le banche salvate"


Un duro attacco alle banche che si sono salvate sulla pelle della popolazione mondiale, e una sferzata a credenti e non credenti affinché si cambino stili di vita e modelli di sviluppo. Analizza, Papa Francesco, i temi più scottanti che minacciano il Pianeta e li snocciola uno a uno per denunciare che è il popolo ad aver pagato il salvataggio delle banche.


E soprattutto per affermare che i poveri sono le principali vittime di aggressioni all'ambiente. È stata pubblicata ieri l'attesa Enciclica ecologica di Papa Francesco «Laudato sì». La prima scritta di suo pugno, dopo la «Lumen Fidei» composta a quattro mani con Benedetto XVI.
Un testo che ha già sollevato critiche da parte dei conservatori americani, ideologicamente ostili alle politiche verdi. Un'Enciclica, spiega il pontefice, rivolta a credenti e non credenti e che vuole porsi in «dialogo con tutti».
Centonovantadue pagine, sei capitoli, due preghiere finali: la Lettera esce in otto lingue; per la prima volta non c'è il latino, mentre compare l'arabo nella prima diffusione e si attende anche in cinese.
Il passaggio più forte è l'attacco alle banche. «Il salvataggio ad ogni costo delle banche facendo pagare il prezzo alla popolazione senza la ferma decisione di rivedere e riformare l'intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro», scrive Bergoglio. C'è spazio anche per una denuncia delle armi nucleari. «La guerra causa sempre gravi danni all'ambiente e i rischi diventano enormi quando si pensa alle armi nucleari e a quelle biologiche». E ancora: l'acqua diritto fondamentale, il diritto alla proprietà privata che «non è intoccabile», e la necessità di una «conversione ecologica». E tante citazioni, tra le quali inevitabilmente San Francesco, i due predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e ancora Bartolomeo I e Dante Alighieri.
ECONOMIA / "Il dominio totale della finanza non potrà che generare altre crisi"
Il Papa «scomunica» le banche. «Il salvataggio a ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l'intero sistema - scrive Bergoglio - riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura». La politica e l'economia devono essere «al servizio della vita umana». E ricordando la crisi, Bergoglio osserva: «Non si è imparata la lezione» e «con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale». E pensare che la crisi «era l'occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici».
STILI DI VITA / "Cucinate solo ciò che mangiate e condividete i mezzi di trasporto"
Il Papa invita a cambiare gli stili di vita, di produzione e di consumo. Sono le cause umane, denuncia, a provocare il riscaldamento globale. Da qui un decalogo verde: «Evitare l'uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone». E ancora: piantare alberi e spegnere le luci inutili. Infine l'invito: «Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità».
L'ACQUA / "L'esaurimento di certe risorse crea lo scenario per nuove guerre"
Il controllo dell'acqua da parte di «grandi imprese mondiali» rischia di trasformarsi in una delle «principali fonti di conflitto di questo secolo»: il Papa mette in guardia dalla privatizzazione dell'acqua che è da considerarsi un «diritto umano essenziale, fondamentale e universale». «È prevedibile - afferma - che di fronte all'esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni». Il Pontefice evidenzia uno squilibrio tra Nord e Sud: «La povertà di acqua pubblica si ha specialmente in Africa, dove grandi settori della popolazione non accedono all'acqua potabile sicura».
POVERI / "L'impatto dei cambiamenti climatici ricade sui Paesi in via di sviluppo"
I poveri sono le principali vittime delle aggressioni all'ambiente. La denuncia è contenuta in un passaggio dell'Enciclica di Papa Francesco, secondo cui «i cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche» ma «gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo». Per Bergoglio è forte il legame tra tutela del Creato e difesa dei più poveri. «Ci si prende cura del mondo e della qualità della vita dei più poveri, con un senso di solidarietà che è allo stesso tempo consapevolezza di abitare una casa comune che Dio ci ha affidato».
DECRESCITA / "Importante rallentare la marcia con condotte ispirate alla sobrietà"
Nessuno vuole tornare all'epoca delle caverne però «è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo». Insomma, «occorre rallentare il passo e ritornare indietro prima che sia tardi». È l'esortazione del Papa secondo cui «è arrivata l'ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti». «Diceva Benedetto XVI - scrive il Pontefice - che è necessario che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo di energia e migliorando le condizioni del suo uso».
NATALITA' / "Sbagliato incolpare l'incremento demografico e non il consumismo"
Il Papa condanna «le pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a (...) politiche di “salute riproduttiva”». «Invece di risolvere i problemi dei poveri (...) - ammonisce - alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità». Ma «incolpare l'incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l'attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo».

rassegna stampa: Il Giornale 18 giugno 2015
http://www.ilgiornale.it/news/politica/gente-paga-banche-salvate-1142420.html

per scaricare il testo integrale dell'enciclica



mercoledì 17 giugno 2015

Abi, nuovo record per le sofferenze. E' ancora stretta al credito

Il rapporto mensile dell'Associazione delle banche: rallenta il calo dei prestiti, ma segna -0,6% annuo. Sofferenze: record a 191,6 miliardi di euro. Aumentano i tassi dei mutui per l'acquisto delle case, con le preferenze che vanno ora verso il tasso fisso

Abi, nuovo record per le sofferenze. E' ancora stretta al credito        MILANO - Crescono le sofferenze, calano i prestiti. Ancora non cambia il ritornello che emerge dal rapporto mensile dell'Abi.

Le sofferenze lorde del sistema bancario italiano (dati di aprile, per questa voce) sono salite ancora di 2,1 miliardi rispetto a marzo toccando i 191,6 miliardi di euro. L'incremento rispetto all'aprile 2014 è stato di 25,1 miliardi. In crescita anche il rapporto fra sofferenze e impieghi che evidenzia come i prestiti in difficoltà siano ormai il 10% del totale, il valore più elevato dell'ultimo ventennio. Le sofferenze hanno raggiunto il 16,8% per i piccoli operatori economici (14,9% ad aprile 2014), il 16,9% per le imprese (14,2% un anno prima) ed il 7,2% per le famiglie consumatrici (6,5% ad aprile 2014). Guardando alle sofferenze al netto delle svalutazioni, l'abi osserva che ad aprile sono risultate pari a circa 82,3 miliardi di euro, in aumento rispetto a 80,9 miliardi del mese precedente. L'incremento rispetto ad aprile 2014 è di circa 5,5 miliardi (+7,2% l'incremento annuo, in decelerazione rispetto al +15,5% di un anno prima). Il rapporto fra sofferenze nette e impieghi totali si è collocato al 4,56% (4,42% a marzo 2015 e 4,23% ad aprile 2014).

A maggio migliora la dinamica dei finanziamenti bancari a famiglie e imprese, ma resta il segno negativo. Nel complesso sono stati prestati 1.403 miliardi di euro, in flessione dello 0,6% sullo stesso mese dello scorso anno, facendo segnare il miglior risultato da maggio 2012 (-0,9%). Il totale dei prestiti a residenti in Italia (settore privato più amministrazioni pubbliche) si colloca a 1.815 miliardi di euro, segnando una variazione annua di -1,1% (-1,1% anche il mese precedente). In lieve miglioramento è risultata la variazione annua dei prestiti a residenti in Italia al settore privato (-1,4% a maggio 2015, -1,6% il mese precedente). "Sulla dinamica più recente del credito - segnala l'Abi - ha gravato soprattutto la debolezza della domanda, legata alla modesta dinamica degli investimenti: nel primo trimestre del 2015 gli investimenti fissi lordi hanno registrato una variazione congiunturale annualizzata pari al +6% (+0,8% nel quarto trimestre)".

Il tasso sui mutui alle famiglie per l'acquisto di abitazioni è risultato pari al 2,68% nel mese di maggio, con un lieve incremento rispetto al 2,63% del mese precedente. Il dato è influenzato dalla diversa dinamica fra tasso variabile e tasso fisso, con quest'ultimo che è stato scelto dal 61,2% dei clienti rispetto al 46,2% del mese precedente e al

38,1% di marzo. Nei primi 4 mesi dell'anno, le erogazioni di mutui per l'acquisto di immobili ha registrato un incremento annuo del +55,2% rispetto al medesimo quadrimestre del 2014. Nell'analogo periodo, le nuove operazioni di credito al consumo hanno segnato un incremento del +11,6%.


rassegna stampa: la repubblica 16 giugno 2015

http://www.repubblica.it/economia/2015/06/16/news/abi_nuovo_record_per_le_sofferenze_e_ancora_stretta_al_credito-116981834/

martedì 16 giugno 2015

Il Canton Ticino vota il salario minimo: 3.000 euro netti al mese

Passa al referendum: gli assegni dei lavoratori non potranno andare sotto quella cifra. Una mossa per combattere la guerra al ribasso sugli stipendi innescata dalla presenza di aziende e frontalieri italiani. "Rischiamo di diventare la Cina della Svizzera", spiega il promotore dell'iniziativa e coordinatore dei Verdi

Il Canton Ticino vota il salario minimo: 3.000 euro netti al mese         LUGANO - "Salviamo il lavoro in Ticino". Adottando questo slogan, i Verdi del Cantone italofono svizzero hanno fatto passare in referendum, ieri, il principio di un salario minimo di poco più di tre mila euro netti mensili, da inserire nella Costituzione. Non si tratta, beninteso, del reddito di cittadinanza bensì della soglia salariale al di sotto della quale un lavoratore non può andare.

A favore ha votato il 54,7 per cento degli elettori che si sono recati alle urne. Il risultato è il segnale di una chiara rivolta di molti ticinesi contro il dumping salariale, praticato dalle aziende estere, in prevalenza italiane, che si insediano nel loro Cantone, assumendo lavoratori frontalieri. Il cui numero, ormai, ha sperato le 61 mila unita'. "Rischiamo di diventare la Cina della Svizzera", spiega sconsolato il deputato Sergio Savoia, coordinatore dei Verdi e promotore dell'iniziativa a favore del salario minimo.

Lei dice la Cina della Svizzera. Ci faccia un esempio. "Guardi, le cito il settore farmaceutico. A Zurigo e Basilea lo stipendio medio e' di 10 mila franchi al mese, in Ticino siamo sui cinque mila". È questo come lo spiega? "Con il fatto che, grazie all'assunzione di frontalieri, le retribuzioni, nel mio Cantone, si stanno sempre più allineando alla media lombarda". Con la vostra iniziativa per un salario minimo così elevato, almeno se visto con occhi italiani, non temete che molti imprenditori, insediatisi in Svizzera dalla penisola, finiscano per tornare da dove sono venuti? "Può darsi che qualcuno se ne vada ma, se dovesse farlo per questo motivo, non sarebbe una gran perdita". "A mio avviso - aggiunge Savoia - la maggior parte rimarrà perché abbiamo altri atout, quali la pressione fiscale sulle aziende bassa, la burocrazia svelta ed efficiente ed il costo dei lavoratori, per le imprese, decisamente inferiore, rispetto all'Italia".

Va detto che, in Svizzera, lo scorso anno la sinistra e i sindacati avevano tentato di far passare, a livello nazionale, una proposta analoga, che però era stata bocciata dagli elettori. Ora, il fatto che riemerga in Ticino, pone un problema di compatibilità tra la costituzione cantonale è quella federale. "Non sarà facile da applicare ma troveremo una soluzione, in quanto i cittadini hanno manifestato un disagio e dobbiamo tenerne conto", ha rassicurato il Ministro ticinese delle Finanze, Christian Vitta. D'altronde altri due Cantoni, Neuchatel e Giura, entrambi confrontati con il problema del dumping salariale, hanno già introdotto un salario minimo.


rassegna stampa: la Repubblica 15 giugno 2015

domenica 14 giugno 2015

Gli impieghi delle banche scendono del 4%

Chiude in “rosso” il bilancio dell’agregato bancario al 31 dicembre 2014. I primi nove gruppi del credito, compresi nel Top Banche, registrano in totale una perdita netta di 4 miliardi: una cifra in forte recupero rispetto ai -20 miliardi dell’anno precedente, anche se di segno ancora negativo.
Il miglioramento deriva da una catena di eventi favorevoli. Anzitutto dall’aumento dei ricavi: +1,4 per cento. In secondo luogo dalla diminuzione dei costi (-1,3%) ed in modo particolare delle perdite su crediti (-17%), che rappresentano la voce più critica dei bilanci bancari. In terzo luogo dalle operazioni straordinarie, che hanno avuto un saldo positivo di circa 800 milioni contro i -12,5 miliardi del 2013: un progresso di oltre 13 miliardi per il venir meno delle svalutazioni degli avviamenti e degli altri attivi immateriali. Ciononostante, il Roe (la redditività del patrimonio netto) è negativo. Segno che la strada per il ritorno al profitto è tuttora in salita.
La raccolta, quella indiretta, derivante dalla sottoscrizione di fondi, sale del 15%, e sale del 3% anche il patrimonio netto complessivo. Nello stesso tempo non smettono di crescere i crediti deteriorati, che aumentano del 5,5% ripetto al 2013. La somma degli incagli, delle sofferenze, dei crediti ristrutturati e dei crediti scaduti supera in totale i 133 miliardi, 30 dei quali non coperti da alcuna garanzia. Le sole sofferenze, ovvero i crediti inesigibili, che dovranno essere molto probabilmente svalutati nei bilanci futuri, ammontano a 57 miliardi. L’incognita maggiore è però costituita dagli incagli, cioè i 58 miliardi di crediti congelati per temporanee difficoltà finanziarie dei creditori. Il problema sarà il modo in cui questi creditori usciranno dalla crisi: in che misura gli incagli si trasformeranno in sofferenze. Non è questione di poco conto, perché un aumento dei crediti inesigibili avreb- be inevitabili ripercussioni sulle perdite su crediti; di conseguenza, sul risultato d’esercizio dell’aggregato.
L’analisi dei singoli casi evidenzia situazioni molto differenziate. Dei nove gruppi del Top Banche, solo tre registrano un incremento delle perdite su crediti: Monte dei Paschi (Mps), Banco Popolare e Mediobanca. Con una differenza: per Mediobanca l’incremento è del 17,5% (pari a 100 milioni) ed è dovuto alle sole attività di credito al consumo; per le altre due l’incremento supera il 100 per cento. In particolare, le perdite su crediti di Mps sono quasi il triplo di quelle del 2013 (+188%, pari a quasi 8 miliardi), quelle di Banco Popolare poco più del doppio (+108%, pari a 3,6 miliardi), e in entrambi i casi del costo del rischio aumenta di molto. Più di due terzi delle rettifiche di Mps e circa il 40% di quelle di Banco Popolare sono peraltro il risultato di una diversa metodologia di classificazione e valutazione del portafoglio crediti, conseguente agli stess test della Bce.
Riducono sensibilmente le perdite su crediti UniCredit (-68% pari a 4,3 miliardi), In- tesa Sanpaolo (-38,5% pari a 4,1 miliardi) e Banca Popolare di Milano (-27% pari a 423 milioni.
La situazione complessiva del Top Banche appare in risalita, ma il bilancio di questi sei anni è impressionante. L’eredità della grande crisi economica e finanziaria pesa ancora oggi come un macigno. Dal 2008 al 2014 Unicredit ha accumulato quasi 52 miliardi di euro di perdite su crediti e altri 17 miliardi di oneri straordinari, per un totale di 69 miliardi. Le perdite su crediti di Intesa Sanpaolo, nello stesso periodo, hanno sfiorato i 28 miliardi, ai quali bisogna aggiungerne altri 12 miliardi di oneri non ricorrenti, per un totale di 40 miliardi. Aggiungiamo a questi numeri i 18 miliardi di perdite su crediti e i 6 miliardi di oneri straordinari, per un totale di 24 miliardi, accumulati, sempre nello stesso arco di tempo, dal Monte dei Paschi.
Sono cifre imponenti che hanno richiesto colossali aumenti di capitale e che danno la misura dei problemi che il sistema bancario deve ancora risolvere.
C’è poi la questione degli impieghi alla clientela che continuano a scendere. Nel 2014 sono diminuiti di un altro 4%, passando da 1.277 a 1.231 miliardi nonostante i prestiti della Bce profusi a piene mani alle banche italiane a tassi vicini allo zero. A pagarne lo scotto è il sistema della piccola e media impresa. Soltanto nel 2014 la Banca centrale europea ha avviato nuovi finanziamenti a lungo termine (scadenza 2018) per le famiglie e le società non finanziarie.
La verità è che i principii definiti e adottati dal Comitato di Basilea per rendere più solido il sistema bancario europeo penalizzano il sistema-Italia, perché attribuiscono ai finanziamenti alle piccole e medie imprese un livello di rischio superiore a quello dei prestiti interbancari.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le piccole aziende, che sono la spina dorsale del nostro sistema produttivo, continuano a stringere la cinghia e a boccheggiare; i finanziamenti banca-a-banca, pur accrescendo il rischio sistemico, continuano a prosperare.
Perdite sui crediti e oneri o proventi straordinari netti per singolo gruppo creditizio, periodo 2008-14 .
PERDITE SU CREDITI Le rettifiche del Monte dei Paschi di Siena sono triplicate rispetto al 2013 e quelle del Banco Popolare sono più che raddoppiate.

 Crediti deteriorati - Miliardi di € al 31 dicembre 2014