New York – I marinai, ci ha insegnato Lucio Dalla, si sa
dove vanno, sempre in cerca di una donna o di un bazar. Ma i disoccupati
americani? A guardare le statistiche sono una specie in via di
estinzione, per la soddisfazione di tutti. Il tasso di senza lavoro è
sceso in aprile al 5,4%, cifre da piena occupazione nei manuali della
Fed. E adesso le code agli uffici di collocamento e ancor più quelle
virtuali per le domande di sussidi, beh, non sono neppure più code a dar
credito ai dati del governo: si sono assottigliate ai minimi da
addirittura 15 anni nell'ultimo mese, ad una media di 266.250 la
settimana.

Eppure qualcosa non torna. L'ottimismo non regna
incontrastato nei quartieri delle metropoli, nei garage della Silicon
Valley o nelle praterie sconfinate della fly-over country, il cuore del
Paese. E a ragione, perchè basta dare un'occhiata ad altre, assai meno
edificanti, cifre: almeno 8,5 milioni di americani in età lavorativa
sono tuttora costretti a tenere le mani in tasca. Soprattutto il 40%
appare ormai così sfiduciato che ha di fatto scelto di non cercare
neppure più un impiego, una percentuale che sale al 55% quando il
periodo di disoccupazione supera i due anni. Il tasso di partecipazione
alla forza lavoro, peraltro, conferma l'invito a temperare eccessivi
entusiasmi: rimane inchiodato, con variazioni minime che sarebbe un
insulto celebrare, ai minimi da 37 anni.
La percentuale del 40% di
sfiduciati è cortesia di un sondaggio appena condotto dalla società
specializzata Harris per conto dell'associazione Express Employment
Professionals, presieduta dall'ex governatore della sede della Fed di
Kansas City, Bob Funk. Il risultato rappresenta un miglioramento
rispetto al 2014, quando lo stesso sondaggio dava il 47% di
rinunciatari. Ma anche in questo caso celebrare apparirebbe fuori luogo.
Senza contare che salari e redditi per chi un lavoro ce l'ha
rimangono sotto pressione, con aumenti minimi penalizzanti per i ceti
medi. E che proliferano gli impieghi marginali e di bassa qualità.
Soltanto in questi giorni il Wall Street Journal ha pubblicato
un'indagine condotta dalla banca JP Morgan sotto il titolo significativo
di “Cash Crunch”. Il senso: un esercito crescente di famiglie americane
clienti dell'istituto e di diversa estrazione sociale fatica ad
arrivare a fine mese per le crescenti incertezze sui compensi
(variazioni suoperiori al 30% di mese in mese). Oggi sempre il Journal
ha dato ampio spazio ad una nuova analisi dell'Ocse su come l'aumento
della diseguaglianza danneggi la crescita economica, con gli Stati Uniti
nettamente in testa a questa classifica negativa tra i grandi paesi
sviluppati.
In America il top 10% guadagna quasi 20 volte (18,8 per la
precisione) più del 10% più povero, contro le neppure 10 volte della
media Ocse e le 5-10 volte nelle quali ricadono Svezia (il paese più
equo con un divario di 5,8 volte), Germania, Francia e anche Gran
Bretagna (10,5 volte). Washington ha anche visto un incremento molto
maggiore della diseguaglianza dal 2007, quando il multiplo era di 15, ad
oggi. La conclusione dell'Ocse è una denuncia: “Negli ultimi decenni,
fino al 40% della popolazione nelle fasce più deboli si è ben poco
avvantaggiata della crescita economica in molti paesi”. Esito: “Il
tessuto sociale si sfilaccia e la fiducia nelle istituzioni si
indebolisce”. E' questa una delle lezioni nascoste – ma non troppo –
della ripresa americana. Che spiega perchè anche la campagna elettorale
per le presidenziali oggi agli inizi prometta di rimanere incentrata
sulle sfide economiche e perchè la Fed resti cauta, molto cauta nel
ritirare politiche di stimolo alla crescita.
rassegna stampa: il Sole 24Ore
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-05-21/il-mistero-scomparsa-disoccupati-americani-191116.shtml?uuid=ABYUqTkD