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giovedì 21 maggio 2015

Il mistero della scomparsa dei disoccupati americani

New York – I marinai, ci ha insegnato Lucio Dalla, si sa dove vanno, sempre in cerca di una donna o di un bazar. Ma i disoccupati americani? A guardare le statistiche sono una specie in via di estinzione, per la soddisfazione di tutti. Il tasso di senza lavoro è sceso in aprile al 5,4%, cifre da piena occupazione nei manuali della Fed. E adesso le code agli uffici di collocamento e ancor più quelle virtuali per le domande di sussidi, beh, non sono neppure più code a dar credito ai dati del governo: si sono assottigliate ai minimi da addirittura 15 anni nell'ultimo mese, ad una media di 266.250 la settimana.

Eppure qualcosa non torna. L'ottimismo non regna incontrastato nei quartieri delle metropoli, nei garage della Silicon Valley o nelle praterie sconfinate della fly-over country, il cuore del Paese. E a ragione, perchè basta dare un'occhiata ad altre, assai meno edificanti, cifre: almeno 8,5 milioni di americani in età lavorativa sono tuttora costretti a tenere le mani in tasca. Soprattutto il 40% appare ormai così sfiduciato che ha di fatto scelto di non cercare neppure più un impiego, una percentuale che sale al 55% quando il periodo di disoccupazione supera i due anni. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro, peraltro, conferma l'invito a temperare eccessivi entusiasmi: rimane inchiodato, con variazioni minime che sarebbe un insulto celebrare, ai minimi da 37 anni.
La percentuale del 40% di sfiduciati è cortesia di un sondaggio appena condotto dalla società specializzata Harris per conto dell'associazione Express Employment Professionals, presieduta dall'ex governatore della sede della Fed di Kansas City, Bob Funk. Il risultato rappresenta un miglioramento rispetto al 2014, quando lo stesso sondaggio dava il 47% di rinunciatari. Ma anche in questo caso celebrare apparirebbe fuori luogo.
Senza contare che salari e redditi per chi un lavoro ce l'ha rimangono sotto pressione, con aumenti minimi penalizzanti per i ceti medi. E che proliferano gli impieghi marginali e di bassa qualità. Soltanto in questi giorni il Wall Street Journal ha pubblicato un'indagine condotta dalla banca JP Morgan sotto il titolo significativo di “Cash Crunch”. Il senso: un esercito crescente di famiglie americane clienti dell'istituto e di diversa estrazione sociale fatica ad arrivare a fine mese per le crescenti incertezze sui compensi (variazioni suoperiori al 30% di mese in mese). Oggi sempre il Journal ha dato ampio spazio ad una nuova analisi dell'Ocse su come l'aumento della diseguaglianza danneggi la crescita economica, con gli Stati Uniti nettamente in testa a questa classifica negativa tra i grandi paesi sviluppati.
In America il top 10% guadagna quasi 20 volte (18,8 per la precisione) più del 10% più povero, contro le neppure 10 volte della media Ocse e le 5-10 volte nelle quali ricadono Svezia (il paese più equo con un divario di 5,8 volte), Germania, Francia e anche Gran Bretagna (10,5 volte). Washington ha anche visto un incremento molto maggiore della diseguaglianza dal 2007, quando il multiplo era di 15, ad oggi. La conclusione dell'Ocse è una denuncia: “Negli ultimi decenni, fino al 40% della popolazione nelle fasce più deboli si è ben poco avvantaggiata della crescita economica in molti paesi”. Esito: “Il tessuto sociale si sfilaccia e la fiducia nelle istituzioni si indebolisce”. E' questa una delle lezioni nascoste – ma non troppo – della ripresa americana. Che spiega perchè anche la campagna elettorale per le presidenziali oggi agli inizi prometta di rimanere incentrata sulle sfide economiche e perchè la Fed resti cauta, molto cauta nel ritirare politiche di stimolo alla crescita.

rassegna stampa: il Sole 24Ore 
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-05-21/il-mistero-scomparsa-disoccupati-americani-191116.shtml?uuid=ABYUqTkD