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UN LABORATORIO DI PENSIERO E RIFLESSIONE FATTO DAI LAVORATORI:
il diario della crisi

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sabato 30 maggio 2015

Il Movimento consumatori a Bankitalia e Antitrust: "Basta con gli interessi illegittimi delle banche"

Dopo le sentenze contro Ing, Bpm e Deutsche Bank a Milano partono gli esposti alle authority del mercato e del credito contro 30 istituti, per contestare il conteggio degli interessi sugli interessi. "E' ora che la vigilanza tuteli i correntisti".

Il Movimento consumatori a Bankitalia e Antitrust: "Basta con gli interessi illegittimi delle banche" MILANO - Sempre più agguerriti i clienti delle banche contro le pratiche commerciali dei loro istituti. La crisi finanziaria ha aumentato la protervia dei prestatori, la frustrazione dei clienti e le sentenze di magistrati e arbitri, che in modo crescente accolgono le ragioni dei debitori in materia di calcolo degli interessi (anatocismo) e tassi applicati (usura). L'altro giorno lo ha sottolineato il governatore Ignazio Visco giorni fa, all'assemblea annuale della Banca d'Italia: "L'anno scorso anno sono state effettuate verifiche ispettive in materia di trasparenza e correttezza nelle relazioni con la clientela presso gli sportelli di 124 intermediari; in 71 casi sono state rilevate mancanze e sono stati adottati interventi per rimuoverle e migliorare la qualità dei servizi offerti". La vigilanza bancaria nel 2014 ha ricevuto quasi 14.000 esposti, 2.200 in più dell'anno prima, e i ricorsi all'arbitro bancario finanziario "sono stati oltre 11.000, il 40% in più rispetto al 2013, con oltre 8.500 pronunce, per due terzi favorevoli ai clienti".

Ora ci sono due esposti in più, e vengono dal Movimento Consumatori, che due mesi dopo la vittoria in tribunale a Milano - che aveva accolto i ricorsi cautelari dell’associazione nei confronti di Ing Bank, Bpm e Deutsche Bank e la successiva richiesta di inibitoria cautelare nei confronti di altre dieci banche - ha inviato le carte all’Antitrust e a Via Nazionale. Al garante del mercato si chiede di avviare nei confronti di 30 banche e dell'Abi "un’istruttoria finalizzata ad accertare se l’applicazione di interessi anatocistici passivi costituisca pratica commerciale scorretta idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori, e se sussista tra le imprese bancarie un’intesa sull’applicazione di interessi anatocistici passivi che abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza".

Alla Banca d’Italia il Movimento Consumatori chiede invece di avviare nei confronti delle 30 banche un’istruttoria per "accertare le violazioni di divieto di anatocismo e adottare i provvedimenti previsti per legge, tra cui l’immediata restituzione di tutti gli interessi anatocistici corrisposti dai clienti dal 1° gennaio 2014". Che secondo un'indagine del Movimento ammontano a oltre due miliardi di euro su base annua.

"I diritti della clientela bancaria – afferma Paolo Fiorio, coordinatore dell’Osservatorio credito e risparmio del Movimento consumatori - devono necessariamente essere tutelati dalla Banca d’Italia quale autorità di vigilanza sull’intero settore creditizio. E' ora che la Banca d’Italia intraprenda su questa materia specifiche iniziative a tutela di tutta la clientela".

Nel 1994, quando nacque il Testo unico bancario, l’anatocismo era contemplato in rari casi. Dopo molti contrasti, la Cassazione (1999) ne stabilì la nullità. Ma l'organismo governativo del Cicr nel 2000 lo reintrodusse, solo per gli interessi a debito e a credito. A fine dicembre 2013, la legge di riforma del Tub chiariva che l’interesse va calcolato sul solo capitale: ma per 17 mesi, silente il Cicr, le banche hanno fatto melina. Da queste premesse era arrivata l'azione inibitoria del Movimento consumatori a Milano, respinta in prima istanza dal giudice monocratico ma accolta dal collegio dopo il ricorso con queste parole: "L’interpretazione s’impone in forza del dato letterale della norma, lapidario dove precisa che gli interessi non possano produrre ulteriori interessi". Nel dispositivo era respinto anche il parere di Bankitalia, per cui il nuovo articolo 120 del Tub «rimarrebbe sospensivamente condizionato
all’intervento del Cicr»: "Nessuna specificazione tecnica di carattere secondario può limitare portata o decorrenza del divieto, pena ammettere che una norma primaria possa essere derogata da una disposizione subordinata". Cosa faranno ora Visco e il suo direttorio?

rassegna stampa: la Repubblica 28 maggio 2015 

 

giovedì 28 maggio 2015

Wall Street, il ritorno dei lupi

Manipolazioni del mercato, infrazioni e reati pur di incassare maxibonus.  Le multe? 60 miliardi, ma i banchieri le scaricano sulle società. E uno su cinque ammette: "Bisogna violare la legge per avere successo"


Wall Street, il ritorno dei lupi   NEW YORK - Sono tornati i lupi a Wall Street. Impuniti, feroci, avidi come in passato. Non deve ingannare l'apparenza, il ripetersi delle maxisanzioni, multe pesantissime. L'ultima è della scorsa settimana, ben 5,6 miliardi di dollari. È il castigo inflitto dal Dipartimento di Giustizia americano a cinque banche, ree confesse: manipolavano nientemeno che il mercato dei cambi, uno dei più grandi per volumi d'affari, dove ogni giorno avvengono transazioni per oltre 5.000 miliardi. Avevano formato The Cartel, proprio così, si auto-definivano spudoratamente un cartello oligopolistico, nelle chatroom in cui i trader orchestravano movimenti sulle valute. JP Morgan Chase, Citigroup, Barclays, Royal Bank of Scotland, le più grandi d'America e d'Inghilterra, più la svizzera Ubs (che ha avuto uno sconto di pena per aver "spifferato" per prima le dritte giuste agli inquirenti) erano i membri del club banditesco. Ma non c'è da farsi illusioni. Queste multe non cambiano nulla.

Del resto sono solo l'ultima rata di un conto che all'apparenza sembra pesante: 60 miliardi di sanzioni pecuniarie inflitte solo nell'ultimo biennio dal Dipartimento di Giustizia e da altre authority di vigilanza americane. Per reati connessi al mercato dei mutui, ai tassi d'interesse, alle transazioni di Borsa. Sessanta miliardi sembrano un conto da far tremare, di che rieducare un'intera casta di banchieri. Invece no. Il punto debole sta proprio in quella definizione: "sanzioni pecuniarie". Chi le paga? Non i banchieri ma le banche. Che poi spalmano il costo delle multe nei loro bilanci. A pagare sono gli azionisti, e poi in ultima istanza i clienti attraverso rialzi di commissioni, tariffe, balzelli e prelievi vari. È già successo, per esempio dopo il maxi-scandalo della manipolazione del tasso Libor.
Ecco perché i lupi di Wall Street non sono affatto pentiti né redenti dei loro peccati. Lo conferma un'inchiesta molto seria, ripresa nei giorni scorsi da tutti i media americani. È l'indagine periodica della University of Notre Dame, commissionata dallo studio legale Labaton Sucharow. Si tratta di un questionario diffuso tra 1.200 alti dirigenti e operatori della finanza. Ci sono top manager delle banche, capi degli hedge fund, trader che operano sui mercati. Le risposte ai quesiti sono disarmanti o agghiaccianti, nella loro sincerità (l'anonimato è garantito). Tra coloro che guadagnano più di mezzo milione di dollari all'anno, un terzo ammette di "avere un'esperienza diretta di reati e infrazioni commessi sul lavoro". Uno su cinque confessa di averli perpetrati lui, quei comportamenti illeciti, e si giustifica in questi termini: "Condurre attività illegali è talvolta necessario per avere successo nel contesto della finanza attuale". Uno su dieci si dice "costretto" a violare la legge. In quanto agli sceriffi di Wall Street? Vengono giudicati "inefficaci nello scoprire e perseguire le violazioni". Non fanno paura a nessuno, insomma, nonostante quei 60 miliardi di multe.

Si toccano i limiti di un sistema dei castighi e delle pene, che in passato abbiamo un po' tutti ammirato per il suo pragmatismo. La giustizia americana, si è detto spesso, bada al sodo. Anziché inseguire punizioni esemplari, vuole chiudere le indagini in fretta, massimizzando il risultato. Così la maggior parte delle inchieste sui lupi di Wall Street si chiudono in sede civile, col patteggiamento. L'incasso è notevole, il gettito per il Tesoro è sostanziale, i risultati arrivano a una velocità lampo. Ma ben altro è il bilancio sull'efficacia di lungo periodo. Non si taglia il pelo ai lupi, finché questi pagano le multe coi soldi degli altri. Non un solo banchiere finito dietro le sbarre: è la constatazione oggettiva di un fallimento, dalla crisi del 2008 a oggi. Lo ammette perfino uno dei massimi poliziotti della Borsa, il presidente della Federal Reserve Bank di New York, William Dudley. In un citatissimo discorso pubblico, il banchiere centrale più direttamente coinvolto nella vigilanza ha ammesso che "i comportamenti illeciti non sono affatto finiti con la grande crisi". Anche lui ha puntato l'indice sulle sanzioni che non hanno un effetto deterrente perché non colpiscono personalmente e penalmente i grandi capi. "I comportamenti  -  ha detto Dudley  -  dipendono dagli incentivi. Chi prende certi rischi, calcola quali sono i costi e i benefici ". Questo rinvia al problema delle compensazioni. Un altro fronte dove la crisi non ha insegnato proprio nulla.

Prendiamo il caso del banchiere più potente d'America e del mondo. Per capitalizzazione di Borsa, non c'è dubbio che sia lui: Jamie Dimon, il chief executive di JP Morgan Chase. Il suo ultimo pacchetto di compensazioni, annunciato il 19 maggio, eccolo qua: uno stipendio di 1,5 milioni di dollari, più azioni-premio per un valore di 11,1 milioni, più un bonus o gratifica per 7,4 milioni. Totale 20 milioni. Per premiarlo di che cosa, esattamente? Va notato che questo generoso emolumento coincide con lo stesso esercizio di bilancio nel quale JP Morgan Chase è stata condannata per la grave evidenza della "balena di Londra", un episodio di speculazione illecita sui derivati, in totale spregio della nuova normativa americana. Qui il nesso tra incentivi e comportamenti di cui parlava Dudley è evidente. Il massimo responsabile di una banca colpita da pesanti sanzioni per i suoi comportamenti illeciti, viene coperto di denaro dal suo consiglio di amministrazione. Perché mai questo re di tutti i lupi dovrebbe perdere il vizio?

I lupi non sono solo banchieri. La paga di tutti i chief executive americani è cresciuta mediamente del 12% all'anno dalla fine della crisi, mentre quella dei loro dipendenti ristagna. Una delle grandi delusioni viene dall'apparente passività degli azionisti. La grande riforma della finanza voluta da Barack Obama e votata dal Congresso nel 2010, la legge Dodd-Frank, richiede che le assemblee degli azionisti vengano consultate sulle paghe dei top manager. A parte il fatto che il loro parere è consultivo, non vincolante, comunque sono rari i casi in cui un'assemblea ha bocciato i super-bonus ai top manager. Nel caso di Dimon, il suo generoso emolumento ha ricevuto il 61% di voti favorevoli. Perché gli azionisti avallano l'avidità e i comportamenti rapaci dei lupi di Wall Street? Una delle risposte è che la Borsa sale da 6 anni, gli indici azionari hanno battuto tutti i record storici. Sia il Dow Jones, sia lo Standard&Poor's500, sia il Nasdaq, veleggiano ai massimi storici. Gli azionisti dunque ci vedono un tornaconto. Guai a disturbare il manovratore, finché garantisce che la ricchezza degli investitori continui a rivalutarsi.

In questo clima, altre cattive sorprese sono in serbo. Al Congresso, da quando i repubblicani hanno la maggioranza in tutt'e due le Camere, stanno montando un'offensiva per depotenziare ulteriormente la legge Dodd-Frank. I lupi sono tranquilli, hanno dalla loro un ceto politico acquiescente, e un mondo del risparmio anestetizzato dai rialzi delle Borse. Fino al prossimo... incidente di percorso.


rassegna stampa: La Repubblica
http://www.repubblica.it/economia/2015/05/26/news/wall_street_il_ritorno_dei_lupi-115273268/ 
 

Stipendi: un terzo degli italiani sotto 10mila euro

Nella Pa in media gli assegni sono da 22.400 euro, nelle società si sale a 23.580. Studi di settore: i professinoisti al top (42.100 euro, -2,9% rispetto al 2012), poi attività manifatturiere (29.000 euro, +6,8%) e servizi (23.500 euro, -2,7%). Il reddito dichiarato più basso è dei commercianti (17.500 euro, +2%)

Stipendi: un terzo degli italiani sotto 10mila euro MILANO - Più di otto contribuenti su dieci percepiscono un reddito prevalente dipendente, che varia parecchio a seconda del datore di lavoro: il reddito medio più basso, 10.680 euro, tocca ai lavoratori dipendenti il cui datore è una persona fisica (1,5 milioni di dipendenti); il valore sale a 13.960 euro per i dipendenti di società di persone (1,4 milioni), a 22.400 euro per i dipendenti della Pubblica Amministrazione (3,5 milioni), mentre il reddito medio più elevato, pari a 23.580 euro, si registra per i dipendenti delle società di capitali (10,3 milioni). Guardando agli studi di settore, i professionisti sono al top per assegni (42.100 euro, -2,9% rispetto al 2012), seguiti dalle attività manifatturiere (29.000 euro, +6,8%) e dai servizi (23.500 euro, -2,7%). Il reddito dichiarato più basso è nel commercio (17.500 euro, +2%).

Nel complesso, un terzo degli italiani dichiara al Fisco di avere un reddito sotto i 10mila euro: secondo il dipartimento delle finanze, il 32,19% dei contribuenti (in totale sono 40,989 milioni) ha dichiarato un reddito che non supera i 10mila euro. Corniciai, titolari di mercerie, rivenditori di auto e negozi di abbigliamento rientrano tutti tra gli incapienti. Secondo i dati Mef sugli studi di settore, il loro reddito di impresa è infatti rimasto nel 2013 sotto la soglia degli 8.000 euro. Non bene se la passano, secondo le dichiarazioni, anche tintorie (8.100 euro), giocattolai (8.200) e librai (9.600).

Sono i dati sulle dichiarazioni Irpef ampliati e pubblicati da parte del Mef rispetto alle comunicazioni di inizio aprile. Il Tesoro dice che l’82,6% dei circa 41 milioni di contribuenti Irpef detiene prevalentemente reddito da lavoro dipendente o pensione e solo il 5,9% del totale ha un reddito prevalente derivante dall’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo, in linea con l’anno precedente. La percentuale di coloro che detengono in prevalenza reddito da fabbricati è pari al 3,8% (in aumento rispetto al 2,5% del 2012, per effetto delle novità Irpef sui redditi immobiliari). Dall’analisi integrata delle dichiarazioni dei dipendenti con quelle dei propri datori di lavoro si osserva che circa il 78% dei dipendenti ha prestato servizio presso lo stesso datore di lavoro nell’arco dell’anno, mentre il restante 22% ne ha avuti due o più. Rispetto alla natura giuridica del datore di lavoro, si rileva che il 54% dei lavoratori dipendenti presta servizio presso società per azioni, società a responsabilità limitata e società cooperative, seguiti da coloro che sono occupati presso enti pubblici (14%), ditte individuali (9%),  società di persone (8%)  ed enti e istituti di previdenza e assistenza sociale (6%).

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Gli Studi di Settore nel 2013 sono stati applicati a circa 3,6 milioni di soggetti (di cui il 65% persone fisiche), con una lieve diminuzione (-0,8%) rispetto all’anno precedente. Il reddito totale dichiarato, pari a 98 miliardi di euro, mostra una variazione negativa (-1,8% rispetto al 2012) che riflette principalmente gli andamenti ciclici registrati nel 2013, anno in cui il Pil è calato dell’1,7% in termini reali rispetto all’anno precedente (-0,4% in termini nominali). Il reddito medio dichiarato è risultato pari a 25.400 euro per le persone fisiche (-1,2% rispetto all’anno precedente), a 35.500 euro per le società di persone (-1,0%) e a 23.800 euro per le società di capitali ed enti (+0,8%). Rispetto all’attività esercitata (considerando tutti i soggetti che applicano gli Studi di Settore), il reddito medio più elevato, analogamente al 2012, si è registrato nel settore delle attività professionali (42.100 euro, -2,9% rispetto all’anno precedente), seguito dal settore delle attività manifatturiere (29.000 euro, +6,8%) e dal settore dei servizi (23.500 euro, -2,7%), mentre il reddito medio dichiarato più basso si è registrato nel commercio (17.500 euro, +2,0%). Significativa è la differenza tra il reddito medio dei soggetti “congrui” rispetto a quello dei soggetti non “congrui": escludendo i soggetti di minori dimensioni, si passa complessivamente da un reddito medio di 41.300 euro per i soggetti congrui ad una perdita media di 8.600 euro per quelli non congrui.

La dichiarazione Iva riguarda circa 5,3 milioni i contribuenti, per l’anno d’imposta 2013, con un lieve calo rispetto all’anno precedente (-1,4%), che riflette principalmente la mancata presentazione della dichiarazione da parte dei soggetti in “regime fiscale di vantaggio”. L’Iva di competenza dell’anno d’imposta, definita come saldo tra Iva a debito e Iva detraibile, mostra un incremento dell’1,7%. Tale andamento è influenzato dall’aumento dell’aliquota ordinaria al 22% a partire dal 1° ottobre 2013. L’incremento è imputabile alle sole società di capitali (+3,3%), mentre si registra un calo per le ditte individuali (-3,7%) e per le società di persone (-1,9%). Il regime Iva per cassa consente all’imprenditore o al lavoratore autonomo di posticipare il versamento dell’imposta sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi dal momento di effettuazione dell’operazione a quello dell’incasso. Limitatamente alle operazioni le cui fatture non sono state pagate nell’anno, le uniche desumibili dalle dichiarazioni, sono circa 35.000 i

soggetti (0,7% del totale) che si sono avvalsi di tale facoltà, per un ammontare di cessioni di circa 2,9 miliardi di euro, mentre il campo della dichiarazione relativo agli acquisti non detraibili è stato compilato da circa 26.000 contribuenti per un ammontate di 856 milioni di euro.

rassegna stampa: La Repubblica, 28.05.2015
 http://www.repubblica.it/economia/2015/05/28/news/irpef_mef-115490487/

l'Ocse: in Italia il 20% degli italiani possiede il 61% della ricchezza

l'Ocse ci dice che in Italia il 20% degli italiani possiede il 61% della ricchezza

Mentre secondo i dati del rapporto Ocse sulle diseguaglianze, l'1% più ricco della popolazione italiana detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta (definita come la somma degli asset finanziari e non finanziari, meno le passività), praticamente il triplo rispetto al 40% più povero, che detiene solo il 4,9%.

 

(Regioni.it 2728 - 21/05/2015) Dati Eurostat e Ocse sulla ricchezza e la sua distribuzione in Italia. Nel primo rapporto di Eurostat sul prodotto interno lordo procapite delle regioni europee un cittadino Ue può contare su un reddito di 26.600 euro all'anno (dati 2013). Non ci sono regioni italiane tra le prime 20 d'Europa, ma anche nelle ultime 20.
Mentre l'Ocse indica che l'1% più ricco della popolazione italiana detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta, praticamente il triplo rispetto al 40% più povero, che detiene solo il 4,9%. Nel corso della crisi economica la crescita della povertà è stata fra le più elevate. I più colpiti sono stati giovani e giovanissimi. Sono in povertà il 26,6% delle famiglie di lavoratori atipici (autonomi, precari, part time) contro il 5,4% per quelle di lavoratori stabili, e il 38,6% per quelle di disoccupati.
I dati Eurostat confermano inoltre l'allargamento del divario tra il Nord e il Sud dell'Italia. Tra il 2012 e il 2013, il Pil pro-capite delle regioni del Nord Italia e' rimasto sostanzialmente stabile (restando di circa un quarto superiore alla media Ue), mentre è calato significativamente nel Sud e nelle isole (dove si attesta intorno al 63-64% della media Ue).
La Calabria è la regione più povera d'Italia con un reddito medio pro-capite di 15,100 euro a fronte di una media del Nord Ovest d'Italia di 33,000 euro, e di 31,000 nel Nord Est.
Mentre secondo i dati del rapporto Ocse sulle diseguaglianze, l'1% più ricco della popolazione italiana detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta (definita come la somma degli asset finanziari e non finanziari, meno le passività), praticamente il triplo rispetto al 40% più povero, che detiene solo il 4,9%.
Sempre secondo l’Ocse l'incremento del 26,4% del tasso di occupazione tra il 1995 e il 2007 è costituito per la maggior parte, 23,8, da posti "non standard" (lavoro autonomo, contratti a termine, part time) e solo in minima parte, il restante 2,6 da posti fissi full time.
Il calo dell'occupazione è stato concentrato in gran parte sui posti fissi, mentre il lavoro atipico è stato stabile o in lieve aumento. Tra il 2007 e il 2013, il calo del 2,7% del tasso di occupazione è generato da un calo dei posti full time, sia a tempo indeterminato (-4,3) che determinato (-0,8), e del lavoro autonomo (-1,5), controbilanciato da un aumento del part time (+4).
Per effetto di questa dinamica, la percentuale di posti di lavoro atipici sul totale è passata dal 23,6% del 1995 al 40,2% del 2013. L'incidenza del lavoro atipico è particolarmente alta per gli under 30, al 56,9% dell'occupazione totale, e scende progressivamente con l'età, al 39,7% nella fascia 30-49 anni e al 33,7% per la fascia 50-64.
La crisi ha accentuato le differenze, dato che la perdita di reddito disponibile tra il 2007 e il 2011 è stata ben più elevata (-4%) per il 10% più povero della popolazione rispetto al 10% più ricco (-1%).
La ricchezza in Italia è distribuita in modo molto disomogeneo, con una concentrazione particolarmente marcata verso l'alto. Il 20% più ricco (primo quintile) detiene infatti il 61,6% della ricchezza, e il 20% appena al di sotto (secondo quintile) il 20,9%. Il restante 60% si deve accontentare del 17,4% della ricchezza nazionale, con appena lo 0,4% per il 20% più povero.
Il 5% più ricco della popolazione detiene infatti il 32,1% della ricchezza nazionale netta, ovvero oltre la metà di quanto detenuto del primo quintile, e di questa quasi la metà è in mano all'1% più ricco.
"L'Ocse – commenta Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio - ci dice che in Italia il 20% degli italiani possiede il 61% della ricchezza e che il 60% degli italiani possiede solo il 17% della ricchezza e l'1% degli italiani possiede il 15% della ricchezza. Sono dati incredibili, che peggiorano, e ci dicono che l'Italia è un Paese che purtroppo ha un elemento di ingiustizia sociale molto forte, che si è aggravato con la crisi: chi era in difficoltà lo è di più e chi era più ricco ora lo è di più”.Comunque l'Italia è il Paese Ocse con la minor percentuale di famiglie indebitate, il 25,2%.
Infine, secondo i dati Eurostat, la Regione italiana più ricca è la provincia autonoma di Bolzano, e nella classifica delle Regioni europee più ricche si trova tra le prime trenta. Sempre in Italia la più povera e invece la Calabria, con un pil pro capite di 57%. L’area più ricca è quella del Nord Ovest, seguito da Nord Est, Centro, Sud e Isole.
Dopo Bolzano la più ricca è la Lombardia (134%), seguita da Valle d'Aosta (132%), provincia autonoma di Trento (127%), Emilia Romagna (120%), Lazio (118%), Liguria (112%), Veneto 111%), Friuli Venezia Giulia e Toscana (107%), Piemonte (106%), Marche (93%) e Umbria (90%).
Tra le più povere, dopo la Calabria, ci sono Sicilia e Puglia (61%), Campania (63%), Basilicata e Sardegna (69%), Molise (70%) e Abruzzo (85%).




giovedì 21 maggio 2015

Il mistero della scomparsa dei disoccupati americani

New York – I marinai, ci ha insegnato Lucio Dalla, si sa dove vanno, sempre in cerca di una donna o di un bazar. Ma i disoccupati americani? A guardare le statistiche sono una specie in via di estinzione, per la soddisfazione di tutti. Il tasso di senza lavoro è sceso in aprile al 5,4%, cifre da piena occupazione nei manuali della Fed. E adesso le code agli uffici di collocamento e ancor più quelle virtuali per le domande di sussidi, beh, non sono neppure più code a dar credito ai dati del governo: si sono assottigliate ai minimi da addirittura 15 anni nell'ultimo mese, ad una media di 266.250 la settimana.

Eppure qualcosa non torna. L'ottimismo non regna incontrastato nei quartieri delle metropoli, nei garage della Silicon Valley o nelle praterie sconfinate della fly-over country, il cuore del Paese. E a ragione, perchè basta dare un'occhiata ad altre, assai meno edificanti, cifre: almeno 8,5 milioni di americani in età lavorativa sono tuttora costretti a tenere le mani in tasca. Soprattutto il 40% appare ormai così sfiduciato che ha di fatto scelto di non cercare neppure più un impiego, una percentuale che sale al 55% quando il periodo di disoccupazione supera i due anni. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro, peraltro, conferma l'invito a temperare eccessivi entusiasmi: rimane inchiodato, con variazioni minime che sarebbe un insulto celebrare, ai minimi da 37 anni.
La percentuale del 40% di sfiduciati è cortesia di un sondaggio appena condotto dalla società specializzata Harris per conto dell'associazione Express Employment Professionals, presieduta dall'ex governatore della sede della Fed di Kansas City, Bob Funk. Il risultato rappresenta un miglioramento rispetto al 2014, quando lo stesso sondaggio dava il 47% di rinunciatari. Ma anche in questo caso celebrare apparirebbe fuori luogo.
Senza contare che salari e redditi per chi un lavoro ce l'ha rimangono sotto pressione, con aumenti minimi penalizzanti per i ceti medi. E che proliferano gli impieghi marginali e di bassa qualità. Soltanto in questi giorni il Wall Street Journal ha pubblicato un'indagine condotta dalla banca JP Morgan sotto il titolo significativo di “Cash Crunch”. Il senso: un esercito crescente di famiglie americane clienti dell'istituto e di diversa estrazione sociale fatica ad arrivare a fine mese per le crescenti incertezze sui compensi (variazioni suoperiori al 30% di mese in mese). Oggi sempre il Journal ha dato ampio spazio ad una nuova analisi dell'Ocse su come l'aumento della diseguaglianza danneggi la crescita economica, con gli Stati Uniti nettamente in testa a questa classifica negativa tra i grandi paesi sviluppati.
In America il top 10% guadagna quasi 20 volte (18,8 per la precisione) più del 10% più povero, contro le neppure 10 volte della media Ocse e le 5-10 volte nelle quali ricadono Svezia (il paese più equo con un divario di 5,8 volte), Germania, Francia e anche Gran Bretagna (10,5 volte). Washington ha anche visto un incremento molto maggiore della diseguaglianza dal 2007, quando il multiplo era di 15, ad oggi. La conclusione dell'Ocse è una denuncia: “Negli ultimi decenni, fino al 40% della popolazione nelle fasce più deboli si è ben poco avvantaggiata della crescita economica in molti paesi”. Esito: “Il tessuto sociale si sfilaccia e la fiducia nelle istituzioni si indebolisce”. E' questa una delle lezioni nascoste – ma non troppo – della ripresa americana. Che spiega perchè anche la campagna elettorale per le presidenziali oggi agli inizi prometta di rimanere incentrata sulle sfide economiche e perchè la Fed resti cauta, molto cauta nel ritirare politiche di stimolo alla crescita.

rassegna stampa: il Sole 24Ore 
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-05-21/il-mistero-scomparsa-disoccupati-americani-191116.shtml?uuid=ABYUqTkD


mercoledì 20 maggio 2015

Scandalo Libor, le banche pagheranno 5,6 mld di dollari

Gli istituti coinvolti sono Citi, Jp Morgan, Barclays, Royal Bank of Scotland, BofA e Ubs. L'accusa è di aver manipolato a proprio vantaggio le oscillazione del tasso di cambio

Scandalo Libor, le banche pagheranno 5,6 mld di dollari MILANO - Sei delle maggiori banche al mondo pagheranno 5,6 miliardi di dollari per risolvere la disputa con le autorità americane sulla manipolazione dei tassi di cambio. Quattro - Citicorp, JPMorgan, Barclays, Royal Bank of Scotland - delle cinque banche si dichiarano anche colpevoli di aver cospirato per manipolare il prezzo del dollaro e dell'euro. La quinta banca, Ubs, ha ricevuto l'immunità per quanto riguarda le accuse Antitrust, ma si dichiarerà colpevole per quanto riguarda le accuse relative a manipolazioni del Libor (avrebbe violato i termini di un accordo precedente e pagherà una multa aggiuntiva). A un sesto istituto, Bank of America, è stata poi inflitta dalla Federal Reserve una multa da 205 milioni di dollari per operazioni di trading sui cambi giudicate irregolari. Dopo le indiscrezioni dei giorni scorsi, è arrivata la conferma. Secondo l'accusa, il 'Cartello' avrebbe usato una chat room esclusiva e un linguaggio in codice per manipolare i cambi.

Per Citi la multa è di 925 milioni, per Jpm è da 550 milioni, per Barclays è da 650 milioni e per Rbs da 395 milioni. Ubs si dice colpevole di manipolazione del Libor e verserà al dipartimento stesso 203 milioni. Sempre in connessione alle indagini, la Federal reserve ha imposto multe da oltre 1,8 miliardi di dollari a sei banche: per Ubs, Barclays, Citigroup e Jpm sono pari a 342 milioni di dollari, per Rbs sono pari a 274 milioni e per Bank of America sono da 205 milioni. In aggiunta, Barclays ha raggiunto un accordo con il dipartimento dei servizi finanziari dello stato di New York, la commodity futures trading commission e la Financial conduct authority britannica per un'addizionale multa combinata da 1,3 miliardi. Se si tengono in considerazione, spiega il dipartimento di giustizia, i patteggimenti già annunciati con varie

agenzie americane e non, inclusi l'Office of the comptroller of the currency e la Swiss financial market supervisory authority, le intese annunciate oggi portano il totale delle multe e penalità pagate dalle 5 banche a quasi 9 miliardi di dollari.






rassegna stampa: La Repubblica 20 maggio 2015




martedì 19 maggio 2015

Lavoro e crisi economica: persi 1.280 miliardi di stipendi

La stima dell'Organizzazione internazionale del lavoro sull'impatto globale della recessione. La disoccupazione ha raggiunto i 201 milioni di persone nel 2014, oltre 30 milioni in più rispetto a prima dello scoppio della crisi nel 2008. Solo un lavoratore su quattro è stabile.

Lavoro e crisi economica: persi 1.280 miliardi di stipendi MILANO - Una massa di salari di poco inferiore a quella del Pil italiano: 1.280 miliardi si sono volatilizzati dalle buste paga mondiali, con la crisi economica. L'impatto della crisi sul lavoro è enorme, secondo l'Ilo, l'Organizzazione mondiale sul lavoro, che ha prodotto il "World Employement and social Outlook 2015" spiegando che l'importo è pari all'1,2% della produzione mondiale e a circa il 2% dei consumi.

"Il mondo del lavoro - afferma l'Ilo - sta cambiando profondamente, in un momento in cui l'economia globale non crea un numero sufficiente di posti di lavoro". Il dato globale della disoccupazione ha così raggiunto i 201 milioni nel 2014, oltre 30 milioni in più rispetto a prima dello scoppio della crisi globale in 2008. A livello mondiale, a partire dal 2011 la crescita dell'occupazione è rimasta ferma intorno all'1,4 per cento l'anno. A partire dal 2008, nei paesi industrializzati e nell'Unione Europea, la crescita dell'occupazione è stata in media dello 0,1 per cento l'anno, rispetto allo 0,9 per cento tra il 2000 e il 2007.

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Oltre alla riduzione della massa salariale globale dovuta al divario occupazionale, il rallentamento della crescita dei salari ha avuto conseguenze importanti anche sulla massa salariale aggregata. Ad esempio, si stima che nelle economie industrializzate e nell'Unione Europea, nel 2013, il rallentamento della crescita dei salari durante e dopo i periodi di crisi abbia provocato una riduzione di 485 miliardi di dollari della massa salariale a livello regionale.

A causa dell'effetto moltiplicatore dell'aumento dei salari, dei consumi e dei livelli di investimento, si stima che, colmando il divario occupazionale mondiale, il Pil globale aumenterebbe di 3.700 miliardi di dollari - pari ad un aumento della produzione mondiale del 3,6 %. L'Ilo osserva inoltre che nel 2014, quasi il 73 % del divario occupazionale mondiale era dovuto a un deficit dell'occupazione femminile, che rappresenta solo il 40 % circa della manodopera mondiale.

Tra gli altri dati che emergono dal World Employment and Social Outlook 2015, si legge che i tre quarti dei lavoratori hanno contratti temporanei o a breve termine, lavorano nel settore informale spesso senza nessun contratto, sono lavoratori autonomi, o svolgono un lavoro familiare non retribuito. Oltre il 60 per cento dell'insieme dei lavoratori non ha un contratto di lavoro; la maggior parte di questi lavoratori si trova

nei paesi in via di sviluppo, svolge un lavoro autonomo o contribuisce a un'attività familiare. Solo un lavoratore su quattro, dunque, ha occupazione stabile. Tuttavia, anche tra i lavoratori dipendenti, meno della metà (il 42 per cento) ha un contratto a tempo indeterminato.

rassegna stampa: la Repubblica 19.05.2015 
http://www.repubblica.it/economia/2015/05/19/news/lavoro_e_crisi_economica_persi_1_280_miliardi_di_stipendi-114718592/?ref=HREC1-10

 

Boeri: "Poveri aumentati di un terzo, da 11 a 15 milioni"

Il presidente dell'Inps in audizione alla Camera: "Tutto questo era evitabile, in altri Paesi con una crisi simile alla nostra i tassi di povertà non aumentano come da noi". Il punto sul bonus bebè: "Già ricevute 15mila domande".


Boeri: "Poveri aumentati di un terzo, da 11 a 15 milioni" MILANO - "E' molto importante in questo momento riflettere sull'eredità di questa crisi interminabile che abbiamo subito nel nostro paese. Il dato più grave è legato a quanto successo alla povertà: abbiamo un aumento dell'incidenza della povertà di circa un terzo, con la percentuale delle famiglie che si trovano al di sotto della soglia di povertà salita dal 18 al 25%, da 11 a 15 milioni di persone si trovano in questa condizione nel giro di sei anni". Con queste parole il presidente dell'Inps, Tito Boeri, in un'audizione davanti alla commissione Affari sociali della Camera ha fotografato la situazione dell'Italia a valle della grande crisi economica. "Nella storia del nostro paese - ha sottolineato - non ci sono stati episodi di questo tipo e di questa entità".

Poche ore prima era stata l'Organizzazione internazionale del lavoro a tracciare il quadro a livello globale. Tornando a Boeri, il presidente dell'Inps ha spiegato che "è la povertà il problema centrale, molto più delle diseguaglianze tra i redditi in quanto tali". L'indice Gini, ha spiegato boeri, per quanto riguarda le diseguaglianze tra redditi, ha subito un incremento "ma ai limiti della significatività". Diverso l'andamento per la crescita della povertà. "Questo era inevitabile? - si è chiesto Boeri - La risposta, guardando in giro altri paesi è no: altri paesi che hanno conosciuto una crisi comparabile alla nostra riescono a subire una riduzione del reddito del 7% senza conoscere un incremento dei tassi di povertà".

Il presidente Inps ha fatto anche il punto sull'avvio dell'operazione "bonus bebe": l'Inps "ha ricevuto 15mila domande per l'erogazione dell'assegno mensile da 80 euro".
Il via libera alla richiesta dell'agevolazione basata su parametri legati alla certificazione Isee, è stato dato l'11 maggio scorso.
 
rassegna stampa: la Repubblica 19.05.2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/05/19/news/boeri_poveri_aumentati_di_un_terzo_da_11_a_15_milioni_-114746422/?ref=HREC1-10
 
 

mercoledì 13 maggio 2015

Stipendi degli ad in crescita: oltre 1 milione di euro, +11%

dati Mercer sulle remunerazioni dei manager delle società del Ftse Mib di Piazza Affari, nel 2014: in tempi di crisi aumenta l'incidenza della remunerazione fissa, scende il peso dei bonus.

 MILANO - Le retribuzioni degli amministratori delegati delle società quotate a Piazza Affari sono cresciute in media dell'11% durante il 2014, grazie soprattutto alla parte fissa degli stipendi che ha occupato sempre più spazio nel corso dell'ultimo anno: i capi azienda hanno incassato in media 1 milione e 80 mila euro. Una scelta azzeccata, nell'ottica dei manager, visto che la crisi economica ha compresso i possibili guadagni sull'assegnazione di stock option o simili.

E' uno dei dati che emerge dalla ricerca di Mercer sui compensi dei Consigli di Amministrazione delle società del Ftse Mib, che ha chiuso l'anno scorso praticamente invariato dopo una crescita del 14% nel 2013.

"A fronte di un aumento della retribuzione fissa degli amministratori delegati si registra una maggiore diffusione della erogazione di premi, ma con un valore complessivamente più basso dell’anno precedente. Tale fenomeno rispecchia a nostro avviso la performance tendenzialmente piatta dell’indice e obiettivi da
raggiungere per l’anno trascorso più sfidanti rispetto agli anni precedenti", ha spiegato in un nota Marco Valerio Morelli, amministratore delegato di Mercer Italia.

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Ecco lo spaccato che offre Mercer per ogni tipologia di consigliere.
 
Principali evidenze mediane 2012 2013 2014 var. 2013/2012 var. 2014/2013
COMPENSI PER TIPOLOGIA DI MANSIONE
Emolumento Presidente Comitato Controllo Interno    40.000    30.000      26.900        -25%        -10%
Emolumento Membro Comitato Controllo Interno    24.000    20.000       20.000         -17%           0%
Emolumento Presidente Comitato Remunerazione      25.000    23.000       20.000              -8%         -13%
Emolumento Membro Comitato Remunerazione      19.000    18.000        15.000             -5%         -17%
Emolumento Presidente Collegio Sindacale      84.000     80.000        80.000               -5%              0%
Emolumento Membro Collegio Sindacale       55.000     58.000        60.000                9%              3%
Principali evidenze mediane 2012 2013 2014 var. 2013/2012 var. 2014/2013
Emolumento Presidente Non Esecutivo 400.000 200.000 238.000 -50% 19%
Emolumento Membro 50.000 52.000 50.000 4% -4%
RAL + Compenso per la carica di Presidente/AD; AD; AD/DG 1.005.211 975.000 1.081.801 -3% 11%
Variabile annuale Presidente/AD; AD; AD/DG 588.000 434.000 338.967 -26% -22%


Per i presidenti non esecutivi, Mercer nota che in linea con le prassi migliori, gli emolumenti sono esclusivamente fissi: crescono "del 19% rispetto a quelli del 2013, quando l’adeguamento alle disposizioni dei regolatori (Consob, Banca d’Italia, Ivass) aveva prodotto una netta diminuzione dei loro emolumenti". L’emolumento per i membri del cda risulta costante rispetto al 2013, a 50mila euro a persona.

La remunerazione fissa assegnata agli ad risulta in decisa crescita rispetto al 2013 ed al 2012 (+11% vs. 2013; +7,5% rispetto al 2012). "Tale incremento è a nostro avviso collegato a un duplice fenomeno: da un lato al fatto che nel corso del 2014 abbiamo assistito al rinnovo di diversi Consigli di Amministrazione, dall’altro alle specificità del contesto in cui operano oggi molti Amministratori Delegati, sempre più impegnati nella gestione di situazioni di crisi, turnaround  e razionalizzazione, obiettivi tipicamente remunerati attraverso la componente fissa", spiega Morelli.

Le aziende che nel 2014 hanno effettivamente pagato un incentivo sono state circa il 70% del campione analizzato, in crescita rispetto ai livelli del 2013 (60%), tuttavia, i livelli di erogato complessivi sono risultati inferiori. Nel 2014 si è

assistito alla ripresa dell’erogazione degli incentivi di breve termine anche nel mondo finanziario.

Infine, dall'analisi si evince che i compensi assegnati al Collegio Sindacale risultano stabili, mentre gli emolumenti offerti ai membri dei Comitati sono in riduzione.

Rassegna stampa: la Repubblica - 


lunedì 11 maggio 2015

Vanno a 200mila euro l'ora. Ecco quanto guadagnano i re degli hedge funds (e come fanno)

I loro compensi si sono dimezzati in un anno. Ma i 25 top manager dei fondi hedge non possono davvero piangere miseria: con i loro salari si potrebbe ricostruire cinque volte il Nepal distrutto dal terremoto. O pagare lo stipendio a Obama per 27mila anni.

Turbofinanza miliardaria / In 25 guadagnano come 352mila lavoratori italiani 

 

Altro che tesoretto. I compensi dei 25 top manager dei fondi hedge, usciti freschi freschi nell'annuale classifica di Institutional Investor's Alpha, totalizzano 11,62 miliardi di dollari, ossia più di sei volte il tesoretto di Padoan, 27.500 volte il salario annuo del presidente degli Stati Uniti, 352mila volte lo stipendio medio degli italiani. Con i compensi annui dei 25 super ricchi degli hedge, che superano allegramente il Pil di una nazione come Malta, si potrebbe ricostruire più di cinque volte il Nepal distrutto dal terremoto. Ma quanto “vale” un minuto di lavoro di questi signori? Vediamo. di Enrico Marro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/6XEM59

 

 Turbofinanza miliardaria / Compensi dimezzati: “solo” 3700 euro al minuto (pause caffè comprese) di Enrico Marro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/OWOmAg

 

Ipotizzando una settimana di lavoro da 40 ore, in media ciascuno di questi top hedge funds manager guadagna oltre 196mila euro l'ora, vacanze comprese. Che fanno 3700 euro al minuto, pause caffè comprese. Il bello è che questi compensi faraonici sono solo la metà di quelli dell'anno prima: nel 2013 il “club dei 25” veleggiava a quota 21,15 miliardi di dollari. Il re del club, quello che nel 2014 ha guadagnato di più, ha fondato il suo primo hedge fund al secondo anno di università con i soldi della nonna. Scopriamo chi è. di Enrico Marro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/OWOmAg

 

Turbofinanza miliardaria / Il re degli hedge è Ken Griffin: 1,3 miliardi di dollari di Enrico Marro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/2hRYEY

 

 E' nato nel 1968 in Florida, a Daytona, e fin da giovane ha fatto correre i soldi più velocemente delle auto che vedeva sfrecciare nello storico circuito. Al secondo anno di università, Kenneth Griffin aveva già fondato il suo primo fondo hedge, specializzato nelle strategie di arbitraggio sulle obbligazioni convertibili, installando un satellite sul tetto del dormitorio di Harvard per avere i dati di mercato in tempo reale. Il capitale iniziale di 260mila dollari era stato raccolto grazie a prestiti di amici e parenti, prima tra tutti la nonna. L'anno scorso con Citadel, l' hedge fondato nel 1990 subito dopo la laurea, Ken ha guadagnato 1,3 miliardi di dollari. Secondo Forbes, il patrimonio complessivo del ragazzo di Daytona oggi è di 6500 milioni di dollari. Molto? Poco, rispetto al secondo classificato tra i top del 2014. Scopriamo chi è. di Enrico Marro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/2hRYEY

 

Turbofinanza miliardaria / Il vicerè ha guadagnato 1200 milioni di dollari a 77 anni di Enrico Marro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/O8GNSP

 

E' uno schivo matematico di 77 anni, di origine ebraica, il secondo classificato tra i re degli hedge funds nel 2014. Con il suo Renaissance Technologies, fondo nato nel 1982 a New York, James Harris Simons l'anno scorso ha guadagnato 1,2 miliardi di dollari. Da pensionato, perché nel 2009 ha lasciato ufficialmente il lavoro restando nel suo hedge come Ceo “non esecutivo”. Il suo patrimonio, secondo Forbes, si attesta sui 14 miliardi di dollari. Meno allegra la sua vita personale. Dei suoi cinque figli, due sono morti da giovani in circostanze tragiche: un annegamento e un incidente d'auto. E i soldi, allora, non sono serviti a nulla. Anzi. di Enrico Marro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/O8GNSP

 

rassegna stampa: il sole24 ore 07.05.2015

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-05-07/turbofinanza-miliardaria-25-guadagnano-come-352mila-lavoratori-italiani-175942.shtml?uuid=ABZ6VFcD&nmll=2707#navigation