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il diario della crisi

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domenica 29 marzo 2015

Cina, l'esplosione dello shadow banking mette a rischio la finanza globale

Il sistema di credito parallelo, creato per far fronte al vertiginoso sviluppo del dragone, ha assunto proporzioni tali da suscitare preoccupazione nell'Accademia Cinese di Scienze Sociali, la maggiore agenzia governativa, mentre per Fitch a lei sarebbe da imputare gran parte del debito cinese che si è gonfiato - considerando anche le passività delle famiglie - fino al 251% del Pil.


Cina, l'esplosione dello shadow banking mette a rischio la finanza globale MILANO - Il pericolo viene da oriente. E si chiama shadow banking. Con 27.000 miliardi di yuan, pari a 4.400 miliardi di dollari, mette a rischio non solo la stabilità cinese, ma anche quella dell'intera finanza mondiale. Il sistema di credito parallelo, creato per far fronte al vertiginoso sviluppo del dragone, ha assunto proporzioni tali da suscitare preoccupazione nell'Accademia Cinese di Scienze Sociali, la maggiore agenzia governativa, mentre per Fitch a lei sarebbe da imputare gran parte del debito cinese che si è gonfiato - considerando anche le passività delle famiglie - fino al 251% del Pil. La conseguenza più immediata e visibile del modello bancario ombra sono stati i casi di bancarotta di aziende insolventi che si sono verificate negli ultimi anni; come quello del gruppo Chaori Solar, fallita per non aver potuto pagare 89,8 milioni di yuan di bond in scadenza o di default evitati in extremis da interventi di Stato come per China Credit Trust. Abbiamo cercato di capire se esista davvero un rischio sistemico con Alberto Forchielli fondatore di Mandarin Capital Partners e presidente di Osservatorio Asia.

"Lo shadows banking - dice Forchielli - è figlio della cosiddetta financial repression. Famiglie depredate dei propri risparmi da banche che pagano interessi bassissimi e difficilissimo accesso al credito per le imprese. Il mondo banca ombra nasce per venire incontro a queste due difficoltà. Si sono create gestioni patrimoniali in cui i risparmiatori investono in fondi che a loro volta prestano alle imprese. Il mercato si disintermedia e viene gestito da operatori terzi, a volte esterni a volte interni alle banche stesse.  Le banche tradizionali sono riuscite a non perdere clienti creando prodotti ad hoc non rappresentati in bilancio ma su cui lucrano forti commissioni. Si vive in questa ambiguità. Bank of China, Bank of Communication ecc hanno cavalcato il fenomeno attraverso strutture interne, facendo sottintendere di fornire inseme al prodotto la garanzia della banca quando in realtà la banca non garantisce niente. Il fenomeno si è ingrandito a dismisura fino a rappresentare il 30% del mercato bancario in un effetto domino. Non esisteva nessuna supervisione, i soldi andavano a soggetti più o meno raccomandabili con forti rischi di insolvibilità. A un certo punto ci si è chiesti cosa sarebbe successo se il fenomeno fosse esploso. Le autorità negli ultimi due anni hanno fatto controlli severi, hanno emanato direttive in materia. Ci sono stati alcuni fallimenti in cui il governo locale è intervenuto per ripagare i debiti".

Più lungimiranti degli americani dunque?
Il fenomeno dei derivati negli Usa era molto più ampio. In Cina non ci sono barriere giuridiche, non c'è dibattito sul fatto che lo Stato debba intervenire. Questo concetto di moral hazard in America è visto come il diavolo. Se il risparmiatore si è fatto truffare peggio per lui, non può pensare che lo Stato intervenga. Ci sono stati default di aziende cinesi di cui non si è saputo nulla da noi, un po' perché le notizie non trapelano un po' perché in Cina sono più reattivi. Questo non vuol dire che non ci sia rischio nel sistema finanziario cinese. Non possiamo cantare vittoria sullo shadows banking.

Qual è l'andamento dell'economia cinese oggi?
Il paese alterna momenti di immissione di liquidità e momenti di stretta sulla liquidità. E' una tarantella. Il governo capisce che le riforme passano attraverso la stretta dei prestiti ma, appena l'economia rallenta e le proteste dei operatori economici si innalzano, la banca centrale si sente costretta a rimmettere liquidità. Sta andando a singhiozzo. Nessuno ha coraggio di dare vera stretta per paura di frenare l'economia, nessuno però ha il coraggio di mantenere una politica espansiva all'infinito.

Il timore è che quello che accade in Cina si ripercuota sul resto del mondo?
Il mercato dei capitali cinese è isolato, non c'è da temere. Non avremo una crisi dei mercati capitali cinesi perché il governo interviene prima e subito. Se mai ci dovesse essere impatto sui mercati finaziari globali sarebbe limitato perché mercato cinese è chiuso. La posizione sull'estero è molto forte per cui l'effetto Wall Street 2009 non ci sarebbe.  Ci potrebbe essere invece un impatto se le banche dovessero essere in difficoltà tali che il governo non fosse in grado di intervenire. Si avrebbe allora uno schiacciamento della crescita dell'economia cinese e quindi mondiale. In realtà quello che la Cina sta facendo è un rallentamento controllato della crescita. Per ovviare a tante distorsioni sta avviando riforme che rallentino la crescita.

Rallentamento quindi voluto?
Il rallentamento è assolutamente voluto, ma il problema è: sarà sufficiente o bisognerà frenare di più? E in questo caso, l'economia del paese regge o non regge? Siccome si tratta di un'economia basata su alta crescita, se si abbassa la crescita vengono fuori diversi nei: debiti incagliati, perdite delle imprese. Molti ritengono che la Cina non possa frenare sotto un certo livello perché il sistema non è preparato.

Secondo Standard&Poors l'indebitamento della Cina supererà quello di Europa e Usa nel 2016, è realistico?
È esattamente quello di cui stiamo parlando. È la crescita del credito totale sul pil. Il credito delle banche è cresciuto in maniera atroce rispetto al pil. I cinesi hanno vissuto troppo di credito, e non è credito al consumo, non sono mutui, ma sono crediti nei confronti di aziende pubbliche e governi locali. Questo è una bomba, l'economia troppo dipendente dal credito diventa un'economia bolla. Dunque la Cina è in bolla. Ora si cerca di sgonfiare la bolla gradualemte stringendo su credito ombra, stringendo sul credito banche, stringendo sulla liquidità però sono cose che fan male all'economia.


rassegna stampa: la repubblica - 29 marzo 2015-



 

martedì 24 marzo 2015

Allarme Fmi: "Crescita delle disuguaglianze dove il sindacato è più debole"

Uno studio realizzato dal Fondo monetario internazionale ribadisce l'importanza di un forte potere contrattuale dei lavoratori per mantenere equilibri economici più sostenibili

Allarme Fmi: "Crescita delle disuguaglianze dove il sindacato è più debole"ROMA - Il turbo capitalismo negli ultimi decenni ha potuto fare enormi profitti e concentrare enormi ricchezze nelle mani di un numero sempre più ristretto di persone grazie anche alla perdita di forza contrattuale da parte dei sindacati. E' la conclusione a cui è arrivato non un centro studi della sinistra radicale, ma una delle istituzioni più importanti del liberalismo e fautrice della globalizzazione come il  Fondo monetario internazionale.

Il declino del numero dei lavoratori iscritti ai sindacati spiega metà dell'aumento di 5 punti della concentrazione del reddito nel 10% più ricco della popolazione nei paesi avanzati tra il 1980 e il 2010, concludono le economiste del Fmi Florence Jaumotte e Carolina Osorio Buitron in una ricerca in via di pubblicazione. "L'indebolimento dei sindacati riduce il potere contrattuale dei lavoratori rispetto a quello dei possessori di capitale, aumentando la remunerazione del capitale rispetto a quella del lavoro" e porta le aziende ad assumere decisioni che avvantaggiano i dirigenti, per esempio sui compensi dei top manager", affermano le due studiose anticipando i risultati della ricerca sulla rivista dell'Fmi 'Finance & Development'.

Lo studio, intitolato 'Power from the people', esamina diverse misure dell'iniquità (dalla quota di reddito del 10% più ricco della popolazione all'indice di Gini) per i paesi ad economia avanzata. Anche considerando l'impatto della tecnologia, della globalizzazione,della liberalizzazione finanziaria e del fisco, i risultati confermano che "il declino della sindacalizzazione è fortemente associato con l'aumento della quota di reddito" nelle mani dei ricchi. Questa iniquità, ricorda ancora la ricerca, secondo recenti studi, può portare ad una crescita minore e meno sostenibile ed essere nociva per la società "perché consente ai più ricchi di manipolare in proprio favore il sistema economico e politico", come è emerso anche da uno studio del premio Nobel Joseph Stiglitz.

Le conclusioni del lavoro svolto sotto il patrocinio dell'Fmi sono state subito fatte proprie dai leader sindacali per rilanciare le loro posizioni. Secondo la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, "esce confermato lo straordinario bisogno di sindacato che hanno tutte le società moderne, non solo come elemento di regolazione e di tutela, ma come straordinario fattore di crescita, di eguaglianza, di salvaguardia materiale e di promozione dei diritti". "Penso che questo studio - ha proseguito - debba far riflettere i tanti sostenitori dell'inutilità della mediazione politica, economica e sociale svolta dai corpi intermedi". "Quando il sindacato è presente - ha concluso - i risultati in termini di protezione economica sono molto maggiori di qualsiasi altro strumento, sia esso il reddito di cittadinanza o il salario minimo deciso dalla politica".

"E' certamente positivo che anche il Fondo Monetario Internazionale riconosca il legame tra la sindacalizzazione, una migliore redistribuzione della ricchezza e l'equità dei sistemi economici", ha commentato da parte sua il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, ricordando come l'aumento delle diseguaglianze non comporta "solo emarginazione ed esclusione sociale ma anche un ostacolo alla crescita economica complessiva". Il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, ha sottolineato infine come "da lungo tempo la Uil sostiene che c'è bisogno di più sindacato e di più contrattazione in Italia, in Europa e nel mondo. Il sindacato ha sempre avuto la funzione di riequilibrare gli assetti sociali ed economici di un paese: una funzione non gradita a molti potentati".

  

rassegna stampa: La Repubblica 23 marzo 2015
http://www.repubblica.it/economia/2015/03/21/news/ricerca_fmi_sindacati-110139858/

lunedì 23 marzo 2015

Il laureato emigrante: un capitale umano costato 23 miliardi che l'Italia regala all'estero

L'inchiesta. I nostri giovani studiano nelle scuole pubbliche fin dalle elementari. Poi trovano un posto in Germania, Regno Unito, Brasile. Uno spreco enorme nell'indifferenza


Il laureato emigrante: un capitale umano costato 23 miliardi che l'Italia regala all'esteroROMA - L'Italia ha costruito centinaia di chilometri di rete ferroviaria ad alta velocità e ne ha fatto dono alla Gran Bretagna. Ha investito in due enormi reti Internet a fibra ottica, perché siano installate in Germania e in Svizzera. Naturalmente non è vero. Se lo fosse, la tivù mostrerebbe zuffe a Montecitorio, sindacati in piazza e forse il governo dovrebbe dimettersi. Eppure, nell'indifferenza generale, sta succedendo qualcosa del genere. Ogni giorno un'emorragia verso l'estero di risorse (anche) finanziarie di simile entità si consuma sull'infrastruttura di base di ogni Paese: i suoi abitanti.

Alla più cauta della stime, dal 2008 al 2014 è emigrato all'estero un gruppo di italiani la cui istruzione nel complesso è costata allo Stato 23 miliardi di euro. Sono 23 miliardi dei contribuenti regalati ad altre economie. È una cifra pari al doppio di quanto occorre per stendere la rete Internet ad alta velocità che in questo Paese continua a mancare. È una somma pari a un terzo del costo dell'intera rete ferroviaria ad alta velocità italiana, che al chilometro è la più cara al mondo. Ma quando si tratta di laureati, diplomati o anche solo di titolari di una licenza media che se ne vanno portando con sé le proprie competenze e l'investimento che è stato fatto su di loro dagli asili d'infanzia alle aule universitarie, nessuno protesta. Di rado se ne parla. Non è uno scandalo: sembra normale, anche se nella storia dell'Italia unita non era mai successo.

Certo le migrazioni fra fine '800 e il secondo dopoguerra erano state più intense nei numeri, ma infinitamente di meno per il capitale versato nelle persone che poi se ne andavano. Molti di quei migranti erano analfabeti, non troppi avevano finito le elementari. Giorni fa invece Alberto Alemanno, 40 anni, laureato all'Università di Torino, docente di Diritto della Haute École Commerciale di Parigi e della New York University, è stato designato come Young Global Leader del World Economic Forum. Nel frattempo Alberto Quaranta (nome modificato su sua richiesta), 43 anni, laureato a Pescara, già architetto in una città pugliese, ha terminato il suo inserimento come impiegato nei magazzini dell'aeroporto di Monaco di Baviera. Il primo è riuscito ad arrivare al posto per il quale aveva studiato, il secondo no. Ma i due hanno lo stesso qualcosa in comune: entrambi sono stati oggetto di un investimento di (almeno) 163 mila euro da parte della collettività italiana per il loro percorso formativo, dall'età di tre anni fino alla laurea.

Nel rapporto "Education at a Glance 2014", l'Ocse di Parigi stima che, solo per la gestione dei luoghi d'insegnamento e gli stipendi degli insegnanti, chi si istruisce in Italia costi 6.000 dollari l'anno quando frequenta una scuola materna pubblica, 8.000 l'anno alle elementari, 9.000 alle medie e alle superiori e 10.000 all'università. Per i contribuenti il costo (di base) di produzione di un laureato in Italia è di centinaia di migliaia di euro. Ogni volta che una di queste persone lascia l'Italia, quell'investimento in sapere se ne va con lui o con lei. Negli ultimi anni le destinazioni preferite sono Gran Bretagna, Germania e Svizzera. Si tratta di un colossale sussidio implicito versato dall'Italia ad altri Paesi ogni volta che un migrante fa le valigie. Ed è ormai un fenomeno macroeconomico. Nel solo 2013 il trasferimento silente di investimenti dall'Italia al Regno Unito attraverso l'istruzione dei migranti è stato, quantomeno, di 1,5 miliardi. Quello versato alla Germania è di 650 milioni e persino un Paese lontano come il Brasile è beneficiario per oltre cento milioni. Nell'ultimo secolo un export su questa scala di investimenti pubblici in "infrastrutture" si è visto solo quando un Paese sconfitto in guerra doveva pagare riparazioni. Questo invece è auto-inflitto.

La novità negli ultimi anni è infatti duplice. La meno nota è che la quota di migranti laureati sta crescendo, e con essa il sussidio implicito dell'Italia ai Paesi dove essi vanno. Secondo l'Istat, i laureati erano il 19% degli italiani trasferitisi all'estero nel 2009, ma sono già saliti al 24% nel 2013. Il peso di coloro che se ne vanno avendo solo una licenza media è invece in calo.

L'altra caratteristica di questi anni è che l'armata degli emigranti è sempre più vasta, ma non c'è accordo fra governi europei sul loro numero. I dati dell'Istat sono probabilmente sottostimati. In base all'anagrafe italiana, come riportato dall'istituto statistico, dal 2008 al 2013 c'è stato un deflusso netto di 150 mila persone: è il saldo fra gli italiani che escono e quelli che rientrano. Il ritmo delle uscite peraltro sta accelerando. Solo due anni fa, al netto dei rientri in patria, sono state 53 mila. Alla cifra pubblica dei 150 mila, la Repubblica aggiunge altre 63 mila uscite nette nel 2014 sulla base dei dati dei primi 9 mesi ed è una stima cauta, perché presuppone una frenata delle tendenze in atto negli ultimi anni. Al valore di 23 miliardi di investimenti in istruzione "esportati" si arriva così. Negli ultimi sei anni il 48% dei migranti aveva terminato le scuole medie, il 30% le superiori e il 22% l'università: i costi sono stimati su questa base.

Il problema è che gli oneri reali sono più alti, perché i dati Istat non colgono tutta la realtà. Molti se ne vanno, ma non lo comunicano all'anagrafe. Gli italiani che nel 2013 hanno preso il "National Insurance Number" (codice fiscale) per lavorare in Gran Bretagna sono quattro volte più di quelli che ufficialmente hanno lasciato l'Italia, secondo l'Istat, per andare Oltremanica. Per il governo tedesco, gli italiani arrivati in Germania solo nella prima metà del 2014 sono più di quelli che, secondo l'Istat, lo hanno fatto in tutto il 2013. Alberto, l'architetto pugliese, non ha mai abbandonato la residenza nel Comune di origine e dunque per l'Italia è ancora qui. Intanto però ha preso domicilio vicino a Monaco per potersi appoggiare al centro per l'impiego locale, che gli ha trovato un posto.

Così l'Italia manda via qualcosa che costa e vale più delle sue autostrade o ferrovie. Lo fa nell'indifferenza dei ministri che raccomandano un figlio, degli universitari che sbarrano la strada ai bravi per favorire i servili. Giorni fa "Pensare Politico", un'associazione di Rimini, in un incontro con 150 studenti di quarta superiori ha chiesto quanti volessero migrare "dopo la laurea". Un terzo della sala ha alzato la mano. È un investimento perduto di 8 milioni, è stato detto. Nessuno degli studenti ha fiatato: a loro sembrava perfettamente logico.


rassegna stampa: la Repubblica 23 marzo 2015 
http://www.repubblica.it/economia/2015/03/23/news/il_laureato_emigrante_un_capitale_umano_costato_23_miliardi_che_l_italia_regala_all_estero-110242042/?ref=HREC1-2

domenica 22 marzo 2015

Trenta domande sui derivati che fanno tremare il Paese

Trenta domande sui derivati che fanno tremare il Paese. Rischi, pressioni esterne e consulenze: il governo deve chiarire

 Potremmo chiamare questa nostra riflessione «Trani a go go e porte girevoli». E il grande Giorgio Gaber non c'entra. C'è solo di mezzo una storia che, se verificata, farà tremare i poteri forti della Repubblica e non solo. Tema: l'opacità della gestione del debito pubblico italiano; le relazioni inquietanti con le controparti; l'assenza di regole e di controlli; gli automatismi; i conflitti di interesse; le potenziali connivenze; la totale irresponsabilità e anomia; l'autoreferenzialità.
Troppi sospetti avvolgono il tutto. Al di là delle responsabilità penali, che saranno individuate dal processo in corso presso il tribunale di Trani sulle agenzie di rating, quello che serve è fare luce sulle regole del gioco: chi fa che cosa; con quale mandato; con quali controlli.
È per questo che abbiamo già chiesto: 1) Total disclosure : la totale messa a disposizione di tutte le informazioni. 2) L'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta, per chiarire le vicende che nell'estate-autunno del 2011 portarono alla speculazione finanziaria sul debito sovrano del nostro paese e alle successive dimissioni del governo Berlusconi. 3) L'istituzione di una Commissione di vigilanza sul debito pubblico. 4) Trasparenza sul tema delle «porte girevoli». Molti direttori generali del Tesoro e molti ministri di via Venti settembre, infatti sono finiti a fare i banchieri in quelle stesse banche con le quali avevano stipulato, dal Tesoro, contratti miliardari.
Conoscendo, infine, la resistenza del ministero dell'Economia ad adempiere alle nostre richieste, abbiamo depositato in Parlamento una interpellanza al ministro Padoan, con 30 domande. Ne va della credibilità delle stesse basi su cui è costruita la nostra Repubblica. Ecco i nostri interrogativi.
1 Rifacendoci a quanto accaduto con i 2,6 miliardi versati dal governo Monti a Morgan Stanley a gennaio 2012, esiste un database di monitoraggio quantitativo delle clausole cosiddette di « early termination »?
2 Il Mef è in possesso di una contabilizzazione dei rischi prospettici legati a queste clausole?
3 Qualora questi rischi siano correttamente monitorati, con che frequenza e in che termini vengono quantificati e trasmessi alla Ragioneria generale dello Stato per la loro contabilizzazione?
4 Esistono nella contabilità dello Stato opportuni fondi rischi a fronte dei potenziali obblighi connessi non solo alle clausole di «early termination», ma anche a tutti i contratti in genere?
5 È ipotizzabile che, al contrario, tali rischi non trovino alcuna «disclosure» al di fuori degli uffici del Tesoro, e quindi non siano neppure contabilizzati nel bilancio dello Stato?
6 Nel già citato caso di Morgan Stanley, a quanto ammontava il relativo fondo rischi in bilancio?
7 Se tale fondo rischi esisteva, c'è stato uno sbilancio tra quanto effettivamente versato (2,6 miliardi) e quanto era stato accantonato?
8 Qualora non ci fosse stato alcun fondo rischi, esiste presso il Tesoro un sistema di monitoraggio e di informativa quali-quantitativa dei contratti in essere?
9 Qual è il rischio statistico di perdita massima attesa sulle clausole di « early termination » ancora in essere?
10 Perché non sono state utilizzate le semplici opzioni cosiddette «cap», che avrebbero tutelato di più il Tesoro, con un costo certo e ammortizzabile?
11 Posto che, di recente, la responsabile della direzione Debito pubblico del Tesoro, Maria Cannata, ha sostenuto la necessità di collateralizzazione delle operazioni è stato valutato l'impatto di questa norma in relazione al passato?
12 È stato stimato l'ammontare del rischio di credito che le banche dovrebbero restituire al Tesoro per evitare una sostanziale doppia garanzia?
13 Non sarà mai che tale nuova norma tutela più le controparti e i loro diritti di credito che lo Stato?
14 Poiché l'attuale valore di mercato dei derivati dello Stato è già pesantemente negativo, per quasi 40 miliardi, non sarà mai che i collaterali cui tiene tanto la dottoressa Cannata fungano più da anticipo della liquidazione delle perdite in favore delle banche che da garanzia per il Tesoro?
15 Qual è la composizione del team della direzione Debito Pubblico del Tesoro addetto specificatamente alle attività di «pricing», e quindi di calcolo dei rischi, dei derivati sottoscritti?
16 Qual è il curriculum di queste persone e dove si sono specializzate?
17 Si tratta di esperti con caratura internazionale almeno pari a quelli abitualmente presenti nelle grandi banche controparti? Quanti di loro hanno avuto esperienze di rilievo come responsabili di «desk» operativi delle banche?
18 Quali sono stati i criteri di selezione e impiego di questi maxi esperti? Quali e quante sono le loro pubblicazioni in materia? Quali e quanti concorsi sono stati fatti finora?
19 Quali sono le dotazioni tecniche dell'ufficio competente, relative alle attività di «pricing» dei contratti derivati? Quali software vengono utilizzati? Sono stati prodotti internamente o sono acquistati da fornitori terzi (in tal caso, scelti come)?
20 Le dotazioni complessivamente considerate sono almeno pari a quelle delle grandi banche internazionali controparti (visti gli importi e i rischi in gioco)? Qualora così non fosse, di cosa c'è bisogno per colmare un eventuale gap?
21 Come viene misurato e stimato il rischio finanziario prima di procedere a nuove sottoscrizioni di contratti derivati e, a maggior ragione, in sede di rinegoziazione di contratti pregressi?
22 Quanto sono costate le rinegoziazioni di contratti pregressi e qual è stato il procedimento autorizzativo degli stessi?
23 Il Mef ha mai chiesto il supporto consulenziale di soggetti terzi per la valutazione dei rischi finanziari connessi?
24 La direttiva Emir, che tratta il tema di mitigazione dei rischi, impone sistemi di «pricing» alternativi e concorrenti da affiancare a quelli già esistenti, come fanno tutte le banche private. Il Tesoro italiano effettua il «doppio check» delle analisi di prezzo e rischio?
25 Come sono gestiti i rischi operativi all'interno degli uffici del Tesoro, e, in particolare, i rischi di frodi da parte dei dipendenti; i rischi su errate valutazioni; i rischi sulla riservatezza e sui conflitti di interesse?
26 Ci sono mai state pressione di tipo «commerciale» delle banche nei confronti del governo per fare nuove operazioni in contratti derivati?
27 Le banche con cui il Tesoro ha contratti derivati in essere, hanno mai fatto in passato consulenza al Tesoro o la fanno tuttora? Con quali modalità?
28 Poiché quasi tutte le controparti con cui il Tesoro ha in essere contratti derivati sono anche specialisti in titoli di Stato, è stata valutata la possibilità che questo duplice ruolo attribuisse loro una posizione di forza nella contrattazione delle operazioni?
29 L'Isda, ossia il contratto quadro che regola la sottoscrizione dei contratti derivati, contiene una deroga alla legge regolatrice inglese che si applica nel caso in cui la controparte sia una banca estera (quasi sempre). Se la deroga è davvero tanto favorevole, perché non vi hanno fatto ricorso anche i Comuni, le Province e le Regioni?
30 Essendo, come affermato più volte dalla dottoressa Cannata, la stipula di contratti derivati sempre un'operazione di copertura del rischio di tasso/cambio collegato all'emissione di titoli di Stato, ogni nuova operazione è sempre riferita a un preciso sottostante definito a priori? O è capitato che siano state fatte operazioni senza definire il sottostante oppure attribuendolo solo successivamente?
Su tutto questo ad oggi non c'è mai stata trasparenza documentale, mai chiarezza politica. Mai nulla di significativo è stato pubblicato, se non linee guida, riassunti, sintesi buone per gli allocchi. Finalmente grazie al processo di Trani, e non certamente per decisione del Mef, qualcosa in queste settimane comincia a venire fuori. Noi chiediamo che il governo risponda prima di tutto al Parlamento, quindi al Paese. E quando riceverà la nostra richiesta di accesso agli atti, dottoressa Cannata, non ci dica che ci sono disposizioni preclusive, come ha fatto con i colleghi grillini. Lei sa benissimo che non esistono... applichi la legge. E basta.

rassegna stampa: Il Giornale 22.3.2015 - R. Brunetta

sabato 14 marzo 2015

Stretta sulle banche: scatta l'allarme mutui

Gli istituti potrebbero essere costretti a negare i prestiti alle famiglie. È colpa di una regola al vaglio della cosiddetta "commissione Basilea" 

Roma - Sognate di comperare una casa? Se ne avete la possibilità, affrettatevi perché, nel breve periodo, le banche potrebbero avere maggiori difficoltà nell'erogazione dei mutui ipotecari.
Ma il Quantitative Easing e i prestiti Tltro della Bce non dovevano servire a consentire un più facile accesso al credito anche per i cittadini? La risposta è affermativa, ma - in questo caso - Mario Draghi e i singoli governi nazionali hanno minori responsabilità. Si tratta, come svelato ieri dal quotidiano Mf , di un documento posto in consultazione a dicembre dal Comitato di Basilea, la commissione dei Paesi G20 che si occupa di stabilire le regole del credito.
In particolare, i tecnici stanno cercando di capire dalle singole banche nazionali se l'attuale livello di «copertura» standard sui prestiti sia appropriato. Ogni istituto di credito, infatti, quando concede un finanziamento è tenuto a bloccare una quota del proprio patrimonio, proporzionale a quanto erogato, nella malaugurata ipotesi di default del debitore. L'ipotesi al vaglio è quella di un giro di vite su alcuni tipi di prestito, in primis i mutui ipotecari. Attualmente esiste un'unica categoria per gli accantonamenti (il termine tecnico è «ponderazione») relativi ai prestiti sulle abitazioni ed è pari al 35%, cioè per ogni euro destinato al contratto di mutuo la banca mette via 35 centesimi. Non si tratta di generosità, ma di garanzie pre-esistenti. Come noto a tutti (o quasi), se non si può pagare la rata del mutuo, la banca diventa immediatamente proprietaria dell'immobile che rappresenta la garanzia reale del prestito.
Secondo il Comitato di Basilea, questa prassi non sarebbe adeguata a coprirsi dal rischio di default del debitore, in quanto la maggior parte dei mutui ipotecari finanzia più del 50% del valore dell'immobile. Nel linguaggio bancario si usano l'espressione Loan-to-value e l'acronimo Ltv, cioè «prestito in relazione al valore». La proposta è quella di parametrare le ponderazioni sia al Loan-to-value che all'incidenza sul reddito disponibile, ossia alla quota di risorse impegnata al servizio del debito. Quest'ultima, nella stragrande maggioranza dei casi, si attesta attorno al 35% di quanto guadagnato mensilmente dal sottoscrittore del contratto di mutuo. La griglia studiata dal Comitato prevede, per questo caso specifico, ponderazioni comprese tra il 40 e il 50% se l'Ltv è nella fascia 60-80%, quella canonica dei mutui. Ciò comporterebbe la possibilità di lasciare invariata la ponderazione solo per chi ha già in tasca il 50% del valore dell'immobile.
È un'ipotesi allo studio, occorre sempre ricordarlo, ma già il sistema bancario italiano ha fatto filtrare insoddisfazione. A fine 2014, infatti, le sofferenze, cioè l'insieme dei prestiti non onorati a vario titolo dai debitori, ha raggiunto la cifra monstre di 183,7 miliardi di euro. Questo già comporta (e ha comportato negli anni scorsi) un appesantimento dei bilanci a causa di svalutazioni e rettifiche. Aumentare ulteriormente la copertura dei prestiti significa rinunciare a un incremento della redditività. E soprattutto significa rinunciare a un'opportunità di business (+32% i mutui concessi nel 2014), vista la minore possibilità di erogazione di mutui che ne deriverebbe. Il ragionamento degli istituti italiani è più o meno il seguente: i mutui sono già coperti naturalmente dagli immobili. Inoltre, nei casi in cui il Loan-to-value sia particolarmente elevato si richiedono ulteriori garanzie. Troppo rigore potrebbe, perciò, rivelarsi controproducente.

rassegna stampa: il giornale 14.03.2015 -   
 http://www.ilgiornale.it/news/politica/stretta-sulle-banche-scatta-lallarme-mutui-1104976.html

martedì 10 marzo 2015

I titoli di Stato e le verità nascoste che fanno tremare la Repubblica

Al processo alle agenzie di rating a Trani si scopre che il Tesoro è sottomesso alle banche che comprano Btp e fanno affari d'oro grazie a clausole capestro.

C'è una storia che, se verificata, farà tremare i poteri forti della Repubblica e non solo. Dopo quanto è accaduto nell'ultima settimana, dopo il deposito da parte del pubblico ministero della procura di Trani del «Verbale di assunzione di informazioni» della dirigente responsabile della gestione del debito pubblico italiano, dottoressa Maria Cannata, nell'ambito del processo contro le agenzie di rating Fitch e Standard & Poor's, nulla sarà più come prima.
Per la prima volta nella storia repubblicana si comincia a far luce sul nostro debito sovrano: su come vengono gestite le aste attraverso le quali i titoli di Stato sono collocati sul mercato; chi se ne occupa al dipartimento del Tesoro, presso il ministero dell'Economia e delle finanze (Mef); chi sono le controparti; come vengono fronteggiati i rischi che emissioni di circa 400 miliardi di euro all'anno comportano. Su tutto questo ad oggi non c'è mai stata trasparenza documentale. Neanche nei periodi peggiori della crisi economica e finanziaria che ha colpito il nostro Paese a partire dal 2011 è stata data all'opinione pubblica alcuna spiegazione. Si è solo usato il panico dello spread per condizionare la politica, l'economia e le istituzioni.
Nessuno spiegava le regole e le procedure, che rimanevano assolutamente opache. Nessuno che spiegasse, per esempio, cos'è il mercato primario, ove il Tesoro offre mensilmente titoli di Stato di nuova emissione con diverse scadenze; qual è il ruolo di 20 banche (i cosiddetti «Specialisti in titoli di Stato») che acquistano i titoli direttamente dall'emittente; cos'è il mercato secondario, dove 400 intermediari finanziari abilitati, sotto la vigilanza di Banca d'Italia, Consob e Tesoro, si scambiano quegli stessi titoli. E nessuno ha mai spiegato come funzionano le transazioni over the counter , il terzo mercato dove non vige nessuna regola.
Grazie al processo di Trani qualcosa in queste settimane comincia a venire fuori dopo il deposito da parte del pm del «Verbale di assunzione di informazioni» della dirigente responsabile della gestione del debito pubblico italiano, dottoressa Maria Cannata. Un rapporto perverso, incestuoso, di sudditanza, psicologica e tecnica, tra il nostro Tesoro e le poche banche che comprano i titoli di Stato e impongono contratti derivati volti a «coprire» il rischio di eccessivo aumento dei rendimenti dei titoli emessi dal Tesoro medesimo.
La dottoressa Cannata afferma che il Tesoro ha impostato così il suo rapporto con queste «controparti» per garantirsi la totale copertura delle aste mensili. Sì, ma a che prezzo? Di fatto a quello imposto da quelle stesse 20 banche che, dopo aver condizionato il prezzo dei titoli sul mercato secondario finivano per trovarsi sul mercato primario il piatto pronto e caldo dei rendimenti.
Non solo: alcune di esse sono anche azioniste delle società di rating che danno la pagella al nostro debito sovrano che quelle stesse banche azioniste sono chiamate a comprare. Altro che concorrenza, siamo nella più totale situazione di connivenza leonina. C'è chi ordina e c'è chi obbedisce. E, per non lasciar nulla al caso, per partecipare alle aste quelle stesse banche finiscono per chiedere anche la sottoscrizione di contratti «paralleli» costosissimi, con clausole «di salvaguardia» onerosissime, guarda caso solo con lo Stato italiano. Si pensi a Morgan Stanley: per la risoluzione anticipata di un suo contratto in essere con il Tesoro, nel dicembre 2011 (governo Monti) è stata pagata una penale di 2,6 miliardi di euro, su una esposizione tra i 50 e 100 milioni di dollari. Quando mai la penale di un contratto vale così tanto di più rispetto al contratto stesso? La dottoressa Cannata ci ha reso edotti che nel 2014 anche altre due banche hanno esercitato clausole del tipo «Morgan Stanley», ma non è dato sapere quali le banche, quali i motivi, quanto ci sia costata, chi siano le controparti. In realtà la Cannata afferma che dei 13 contratti del Tesoro solo uno è subordinato «al verificarsi di un credit events » che consiste nella riduzione del merito di credito da parte delle agenzie di rating al di sotto di una determinata soglia, mentre gli altri 12 contengono opzioni di esercizio della clausola «non condizionate», a totale discrezione delle parti. Dall'audizione sembra che il Tesoro abbia un solo ruolo: pagare e tacere e, se del caso, sorridere. Che tristezza essere costretti a inserire negli accordi costosissime clausole per invogliare la controparte a stipulare un contratto che essa stessa propone e su cui essa stessa guadagna. Michel Houellebecq la chiamerebbe «sottomissione».
Così come «sottomissione» è quella dimostrata dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, che non ha voluto o è stato «consigliato» di non costituirsi parte civile nel processo di Trani, perché questo avrebbe potuto condizionare la nostra reputazione nei confronti delle banche creditrici. Ma siamo di fronte a 20 banche agguerrite e spesso senza scrupoli, che decidono del nostro debito pubblico. «Sottomissione» dichiarata, quando la dottoressa Cannata afferma che negli anni della crisi sono stati stipulati contratti derivati che allungassero la duration dei titoli, per evitare che questi risentissero delle fluttuazioni dei tassi.
Si pone l'interrogativo degli interrogativi: se con le 20 banche il Tesoro parla per «assicurare un andamento efficiente dei mercati» e se il Tesoro gestisce tanto bene il debito pubblico e controlla tanto bene i mercati, perché nell'estate-autunno del 2011 i rendimenti dei titoli di Stato andarono alle stelle? Perché all'apparenza saltò il sistema? Perché il panico? Perché si disse che eravamo sull'orlo del baratro? C'è qualcosa che non torna.
Fu vera crisi, se tutto era sotto controllo, anche se a costi altissimi? In realtà, ma lo diciamo da tempo, pensiamo si sia trattato di un vero e proprio imbroglio. Per soldi e per potere. I titoli di Stato raggiunsero quei rendimenti così alti non solo per un attacco speculativo in atto, ma soprattutto perché il Tesoro aveva già concesso a quelle 20 banche quelle condizioni capestro. Altrimenti non avrebbero comprato, e le aste sarebbero andate deserte.
Al di là delle responsabilità penali, che saranno individuate dal processo di Trani, quello che serve è fare luce sulle regole del gioco: chi fa che cosa? Con quale mandato? Con quali controlli? Sarebbe bene che di tutto questo gli ottimi funzionari del Tesoro riferissero periodicamente al Parlamento. Magari alla commissione di Vigilanza sul debito pubblico istituita nel 1963 e soppressa nel 1993, guarda caso poco prima che si cominciasse a «giocare» con i derivati.
E perché molti direttori generali del Tesoro e molti ministri di via Venti settembre, persone tutte qualificate e rispettabilissime sono finiti poi a fare i banchieri in quelle stesse banche con le quali avevano stipulato contratti miliardari? Si tratta di etica dell'amministrazione, e di trasparenza. E qui ci fermiamo. Con poche righe di sintesi.
L'opacità della gestione del debito, le relazioni inquietanti con le controparti, l'assenza di regole e di controlli e i conflitti di interesse non fanno altro che alimentare sospetti. A cui si deve rispondere con la messa a disposizione di tutte le informazioni Ne va della credibilità delle basi su cui è costruita la nostra Repubblica.

rassegna stampa: Il Giornale 8 marzo 2015
http://www.ilgiornale.it/news/politica/i-titoli-stato-e-verit-nascoste-che-fanno-tremare-repubblica-1102825.html

giovedì 5 marzo 2015

Quella crisi voluta dai potenti per mettere in ginocchio gli italiani

Così la crisi è diventata un'occasione per indebolire i poteri dei governi e rimpinguare le tasche di chi gestisce gli interesse internazionali


In Italia funziona così: non bisogna dire quello che forse sappiamo già. I politici tacciono, i potenti si defilano, le bocche più esperte dicono e non dicono. Per capire nel profondo la crisi economica che ci sta soffocano occorre un occhio esterno, che sappia analizzare la situazione italiana ed europea con senso critico e preciso.
Per la serie: "Vogliamo sentircelo dire e spiegare da qualcuno". Andrew Spannaus, esperto di macroeconomia e geopolitica di origine americane vive ormai da 18 anni in italia e fa parte di quella categoria di professionisti che vanno a fondo alle questioni e si mettono in discussione, a qualsiasi livello. Scomodo? Forse, ma costruttivo.



Per capire il problema che sta dietro alla crisi economica europea ci fa un esempio molto pratico prendendo come riferimento la Grecia: " La situazione era già terribile, ma per quanto disastrosa con la politica della troika che coinvolge Commissione Europea, Banca Centrale e Fondo Monetario Internazionale, il debito pubblico é peggiorato". Un esempio semplice per capire che la pressione fiscale raggiunta in Italia deriva da 20 anni di politica basata su liberalizzazioni, privatizzazioni, politica di bilancio, finalizzata non a migliorare l'economia ma a far parte di un modello internazionale dove domina un grande capitale". Secondo Spannaus infatti, per salvarsi, occorre ritornare (il prima possibile) a una situazione dove lo Stato ha un ruolo definito e riconosciuto capace quindi di fare investimenti produttivi. Bisogna cioè avere una politica creditizia, e per farlo "Propongo la separazione bancaria dove le banche non fanno tutto a modi "banca universale" perchè oggi chi ha bisogno di soldi non può prenderli e chi non ha bisogno, prende. La mossa più sbagliata e (quasi) fatale é stata quella di mettere tutto il sistema finanziario nel mercato internazionale in modo che tutto sia tarato sul livello delle grandi banche. Banche che hanno inevitabilmente speculato". Infatti, la direzione migliore sarebbe quella di separare banche ordinarie e banche speculative, ma nell'attesa l'Italia vedrà consolidare le difficoltà per la classe media e una crescita limitata ad alcuni settori. Una realtà - spiega Spannaus - molto affine a quella degli Stati uniti dove la classe media si sta indebolendo, a dispetto dei dati che ci vengono forniti.


Come si colloca Matteo Renzi nel panorama della crisi? Come si dice "meglio dare un colpo al cerchio e uno alla botte". Secondo Spannaus infatti il Premier punta molto sull'appoggio dei settori che hanno interessi internazionali così da poter fare da una parte il "rottamatore" all'interno dell'Italia e "farsi bello", e dall'altra rimanere attaccato alle stanze che muovono grandi interessi. Facendo un passo indietro poi Spannaus conferma che il disastro creato da Mario Monti e dal suo governo di tecnici " non é stato casuale, bensì voluto". Anche Monti e Amato lo hanno confermato. In soldoni ci hanno detto che l'Italia si sarebbe fatta finanziare il deficit dall'estero perchè da sola non era in grado, e che quindi si riducevano i consumi dei cittadini. Quali sono le vere intenzioni? " Ecco, l'intenzione é quella di sfruttare la crisi economica per rafforzare le strutture sovranazionali. Con Mario Monti si sono trasferite le sovranità dalle nazioni al'Unione Europea. Solo in periodo di crisi, approfittando del momento, questo é stato possibile" - afferma Spannaus. Il dramma é che la popolazione e il governo non hanno più alcun potere e le decisioni vengono prese a livelli più alti.


Se al posto di Renzi ci fosse Spannaus (recuperati i poteri) prenderebbe subito in mano la questione del credito e delle banche, poichè "la politica del dare più soldi al settore finanziario non ha funzionato e non funziona!" - commenta. Questo infatti é un modo per far chiudere bottega alle imprese o metterle nella condizione di abbassare la seracinesca. Poichè in Italia le imprese sono finanziate dalle banche, queste devono ritornare a fare le banche. "Anche l'esportazione - spiega Spannaus - va molto di moda, ma i settori come la meccanica di precisione possono contare su questo meccanismo, non tutti. Gli altri settori non vanno bene per colpa della politica, non per incapacità".

E se poi qualcuno pensa ancora che il modello tedesco sia il migliore Spannaus risponde così: "Non dovete andare a scuola dalla Germania - sorride" e neppure pensare che le cose andrebbero meglio adottando la politica tedesca: pensiamo ai derivati della Deutsche Bank, alla riduzione dei salari dei servizi sociali, alla cannibalizzazione della produzione industriale, Occorre invece pensare di collaborare ridando alla politica la possibilità di decidere.

rassegna stampa: Il Giornale 5.03.2015


GRAN BRETAGNA-BCE: 1 A 0 CHE PESA

LA CITY CHE CONDIZIONA L’EURO RESTANDONE FUORI

Tra le tante e inevitabili anomalie dell’euro, una sta diventando particolarmente pesante: è quella di avere la capitale finanziaria in un Paese che non fa parte dell’Unione monetaria.
La capitale è Londra, dove ogni giorno i trader vendono e comprano una quantità di euro più che doppia rispetto a quella scambiata all’interno dell’eurozona. Sono basate nella City anche le più grandi clearing house, le società che fanno da controparti e garanti per i pagamenti nelle operazioni su titoli derivati.
 È rischioso che le società che compensano colossali transazioni di titoli basati sull’euro siano fuori dall’area
della moneta unica. Questa situazione, scriveva la Banca centrale europea nel 2011, «potrebbe potenzialmente mettere in discussione il controllo dell’euro da parte dell’Eurosistema». 
Per questo la Bce aveva stabilito che solo le clearing house dei Paesi dell’eurozona potessero gestire più del 5% di un derivato denominato in euro. Il governo britannico, comprensibilmente spaventato dalle enormi perdite che il divieto avrebbero comportato per la City, ha fatto ricorso e ha vinto perché – ha stabilito la Corte di giustizia europea – la Bce non ha titolo per imporre un simile obbligo. Vinta questa battaglia, il governo britannico in questi giorni è concentrato su un’altra partita: quella contro la regola europea che limita i bonus dei banchieri a un massimo del 100% del loro salario. Intanto Jonathan Hill – l’ex lobbista delle banche che Londra è riuscita a piazzare a Bruxelles come commissario per la Stabilità finanziaria – ha già fatto capire che lascerà arenare il progetto di separazione tra l’attività bancaria di trading da quella di sportello.
È un battibecco continuo, quello tra la City e Bruxelles, davvero sfiancante per le istituzioni che regolano la finanza nella zona euro. Una schermaglia resa ancora più irritante dal fatto che Londra condizioni le sorti della moneta unica pur tenendosene ben alla larga. In vista delle elezioni di maggio i tories del primo ministro David Cameron hanno promesso un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Ue. Più la scadenza si avvicina, meno sgradevole appare l’ipotesi che gli inglesi scelgano di dirci goodbye.

Rassegna stampa : Avvenire 5.3.2015

domenica 1 marzo 2015

Derivati: il declassamento dell'Italia fu speculazione. S&P, accuse false

Derivati il declassamento dell Italia fu speculazione SP  accuse false(AGI) - Roma, 1 mar. - Il declassamento dell'Italia da parte di S&P il 19 settembre 2011 fu fatto per far guadagnare 2,5 miliardi alla banca d'affari Morgan Stanley, azionista della stessa agenzia di rating. Questa la nuova, pesante accusa, della procura di Trani fatta nei confronti di S&P e della banca americana e rilanciata oggi sulle pagine del Corriere della Sera. Immediata la risposta di Standard&Poor's che respinge con fermezza ogni addebito. "Queste recenti accuse, come quelle precedenti fatte dal pubblico ministero, sono senza fondamento, e ci aspettiamo che vengano respinte dalla corte". Secondo i nuovi atti depositati dalla procura nel processo per manipolazione del mercato a carico dell'agenzia di rating, emergerebbe che l'Italia, dopo il declassamento deciso da S&P il 19 settembre 2011, pago' a Morgan Stanley 2,5 miliardi di euro cosi' come era previsto da una clausola del contratto di finanziamento della banca d' affari statunitense. Particolare di non poco conto e' il fatto che Morgan Stanley e' tra gli azionisti di Mc Graw Hill, il colosso che controlla Standard & Poor' s. Il processo a carico dell'agenzia di rating riprendera' il 5 marzo prossimo dinanzi al Tribunale di Trani e in quella sede si vedra' come si difenderanno gli accusati.
  Il giornale ricorda come quel declassamento (da A a BBB+) fosse ritenuto dagli esperti ingiusto. Per quell'intervento alcuni dirigenti di S&P e dell'altra agenzia di rating Fitch sono stati rinviati a giudizio. (AGI) .

rassegna stampa:  AGI