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giovedì 14 luglio 2016

Stiglitz: “L’Europa si salva solo se abbandona l’euro” Il Nobel per l'economia torna a criticare la moneta unica

Se già lunedì il Fondo Monetario Internazionale aveva denunciato il pericolo di una moneta unica senza futuro ed gli analisti di Societè Generale avevano annunciato la possiblità di uscita dall’Euro di Italia e Francia, ora l’americano premio Nobel per l’economia Josiph Stiglitz – da anni considerato il guru economico della sinistra Usa – torna a parlare della moneta unica negli stessi termini in cui lo aveva fatto Munchau sulle pagine del Financial Times, ossia considerandola un progetto tecnicamente fallito.
“L’Euro è un’istituzione fallita che per salvarsi dovrebbe abbandonare l’ euro”, come Stiglitz ha ribadito nel recente convegno romano in cui si è rivisto l’ ex governatore della Banca d’ Italia Antonio Fazio. Non è certo una novità l’atteggiamento dell’economista, tutt’altro che nuovo a sortite contro corrente (vedi la battaglia contro i trattati commerciali tra Europa ed America, caldeggiati dalle multinazionali Usa).
Già nel 2012 Stiglitz aveva messo in guardia gli europei contro la “trappola”. I governi Ue, denunciava in un intervento al Forum asiatico di Hong Kong, rischiano di “trascinare i loro Paesi nel caos”, sotto la pressione degli interessi della grande finanza. In questo modo, aggiungeva, “l’ Europa sta facendo un grosso favore agli Stati Uniti” facendosi carico di “una crisi insostenibile perché affrontata con la politica dell’ austerità, l’ esatto opposto di quanto necessario”.
L’unica soluzione, è la tesi di Stiglitz, consiste nel ripensare l’architettura finanziaria internazionale. Per prima cosa, però, è importante mandare in soffitta l’euro, prima che un Paese, stremato, non faccia saltare il sistema.
“Fino a quando – si chiede – l’Europa del Sud accetterà un tasso di disoccupazione giovanile del 40%?”. Meglio essere i primi a lasciar la barca che non rischiare di andare a fondo per difendere le speculazioni della grande finanza. Di qui il consiglio avanzato dall’economista nel recente saggio (“L’euro e la minaccia per il futuro dell’ Europa”): per evitare una crisi che sarà tanto politica quanto economica è necessario un passo indietro.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’economista europeista francese François Heisbourg, oggi fortemente ostile alla moneta comune. “Euro e solidarietà europea sono come due fratelli siamesi – sostiene- Uno solo dei due potrà sopravvivere. E speriamo che non sia l’ euro, che sta soffocando il Vecchio Continente”.

In Italia 4,6 milioni di persone in “povertà assoluta”. In difficoltà un italiano su otto


14/07/2016
Si fa fatica a dire che  in Italia le cose vanno bene, o che se non altro la situazione sta migliorando, quando i numeri inconfutabilmente dimostrano che non è così: in questo paese, ci dice l’Istat, nel 2015 è aumentato il numero delle persone in stato di «povertà assoluta», ovvero le persone che non hanno mensilmente i soldi per acquistare quel paniere di beni e servizi «che, nel contesto italiano, vengono considerati essenziali per una determinata famiglia per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile», come recita la definizione ufficiale dell’Istat. Le famiglie povere nel 2014 erano 1 milione 470mila, vale a dire 4 milioni 102mila persone; nel 2015 sono aumentate rispettivamente a quota 1 milione 582 famiglie, e 4 milioni 598mila persone. Un fenomeno che è in aumento al Nord, in particolare per gli stranieri e tra chi vive in città. Si tratta del numero più alto dal 2005, e rappresenta una percentuale pari al 7,6 per cento della popolazione residente. Tutta gente che, ricordiamo, non dispone dei danari necessari a vivere in modo accettabile. Ancora, sono 8 milioni 307mila le persone giudicate «relativamente povere», che stanno soltanto un po’ meglio dei «poveri assoluti» (che sono considerati in questo ambito). Un italiano su otto.

ECCO COME SI CALCOLA LA POVERTÀ
La soglia per definire la «povertà assoluta», secondo l’Istituto di statistica, non è fissa e immutabile, ma varia a seconda della collocazione geografica, di dove si vive, del numero dei componenti della famiglia. Qui è possibile vedere caso per caso come gli statistici Istat calcolano questo valore, che ad esempio per una famiglia di cinque persone che vivono in una grande città del Nord come Torino è pari per il 2015 a circa 1900 euro mensili.

Tornando ai dati, l’aumento dell’incidenza della povertà assoluta nel corso dell’anno passato è concentrato soprattutto nelle famiglie più numerose. L’aumento della condizione di povertà assoluta è più forte tra le famiglie con 4 componenti (da 6,7 del 2014 a 9,5%), soprattutto coppie con 2 figli (da 5,9 a 8,6%) e tra le famiglie di soli stranieri (da 23,4 a 28,3%), che in media sono più numerose. L’incidenza della povertà assoluta aumenta al Nord sia in termini di famiglie (da 4,2 del 2014 a 5,0%) sia di persone (da 5,7 a 6,7%) soprattutto per l’ampliarsi del fenomeno tra le famiglie di soli stranieri (da 24,0 a 32,1%).

Segnali di peggioramento si registrano anche tra le famiglie che risiedono nei comuni centro di area metropolitana (l’incidenza aumenta da 5,3 del 2014 a 7,2%) e tra quelle con persona di riferimento tra i 45 e i 54 anni di età (da 6,0 a 7,5%). L’incidenza di povertà assoluta diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento (il valore minimo, 4,0%, tra le famiglie con persona di riferimento ultrasessantaquattrenne) e del suo titolo di studio (se è almeno diplomata l’incidenza è poco più di un terzo di quella rilevata per chi ha al massimo la licenza elementare).

Si amplia l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata (da 5,2 del 2014 a 6,1%), in particolare se operaio (da 9,7 a 11,7%). Rimane contenuta tra le famiglie con persona di riferimento dirigente, quadro e impiegato (1,9%) e ritirata dal lavoro (3,8%).

AUMENTA ANCHE LA POVERTÀ RELATIVA
Anche la povertà relativa - calcolata sulla base di una soglia convenzionale di spesa
per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi, ovvero 1.050,95 euro per una famiglia composta da sole due persone - è in aumento. Si passa da 2,654 milioni di famiglie a 2,678 mila, pari al 10,4% delle famiglie residenti, e da 7,815 a 8,307 milioni di persone, ovvero il 13,7% delle persone residenti dal 12,9% del 2014).

Analogamente a quanto accaduto per la povertà assoluta, nel 2015 la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie numerose, in particolare tra quelle con 4 componenti (da 14,9 del 2014 a 16,6%,) o 5 e più (da 28,0 a 31,1%). L’incidenza di povertà relativa aumenta tra le famiglie con persona di riferimento operaio (18,1% da 15,5% del 2014) o di età compresa fra i 45 e i 54 anni (11,9% da 10,2% del 2014). Peggiorano anche le condizioni delle famiglie con membri aggregati (23,4% del 2015 da 19,2% del 2014) e di quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (29,0% da 23,9% del 2014), soprattutto nel Mezzogiorno (38,2% da 29,5% del 2014) dove risultano relativamente povere quasi quattro famiglie su dieci.

rassegna stampa - la stampa - 14.07.2016


domenica 3 luglio 2016

Fondo pensioni giapponese perde 45 miliardi di euro

Il Gpif, uno dei più grandi fondi mondiali, ha visto le proprie attività calare drasticamente a causa del crollo dei mercati: il gestore avrebbe sbagliato strategia concentrandosi troppo sull'azionario

Fondo pensioni giapponese perde 45 miliardi di euro     MILANO - Il Gpif, il mega-fondo pensioni pubblico giapponese, il più grande del mondo, ha perso oltre 5mila miliardi di yen (45 miliardi di euro) nell'esercizio 2015-16, concluso a marzo. Lo rivelano fonti ufficiali, secondo le quali la cifra è stata comunicata nel corso di una riunione interna che verrà divulgata solo il 29 luglio, alla presentazione ufficiale dei bilanci. La perdita si sarebbe concentrata nel trimestre da luglio a settembre, periodo nel quale il fondo sarebbe andato in rosso di 60 miliardi euro. Nel 2014 il fondo ha cambiato strategia portando al 50% cioè raddoppiando, la quota azionaria del suo portafoglio, in precedenza legata soprattutto a titoli obbligazionari a basso rendimento. Durante il trimestre in questione il fondo avrebbe subito forti perdite per le turbolenzein borsa legate al rallentamento dell'economia cinese. Il partito democratico, la principale forza di opposizione, ha accusato il premier Shinzo Abe di aver voluto differire la notizia per non doverne rispondere alle elezioni per il rinnovo del Senato in agenda il 10 luglio.

rassegna stampa- la repubblica - 1 luglio 2016




Stress test della Fed, in difficoltà Santander e Deutsche Bank

Bloccati i piani di remunerazione degli azionisti da parte delle due filiali americane delle banche europee. Bene gli altri colossi di Wall Street, il sistema si dimostra più solido di quanto accadde con la crisi del 2008. Anche il Fmi duro su DB: "Maggior fonte di rischi sistemici"

Stress test della Fed, in difficoltà Santander e Deutsche Bank      MILANO - Ci sono due tra le maggiori banche europee dietro la lavagna dei cattivi, secondo la Federal Reserve. Ancora una volta le divisioni americane di Deutsche Bank e Santander non hanno superato gli stress test della Banca centrale americana, vedendosi bocciati i loro piani sui capitali, quelli relativi alla distribuzione di dividendi e al riacquisto di titoli propri. Le grandi banche di Wall Street invece hanno ottenuto il semaforo verde, in seguito al quale sono subito corse a premiare gli azionisti (nel caso di Citigroup, promossa per il secondo anno di fila, la cedola è stata triplicata a 16 da 5 centesimi di dollaro). Soltanto Morgan Stanley ha ricevuto un ok condizionale: pur ottenendo l'approvazione sulla distribuzione degli utili ai soci, il gruppo è stato ripreso per la sua "debolezza" nei suoi processi interni. Per questo dovrà ripresentare il suo piano sui capitali entro il 29 dicembre prossimo rispondendo a quelle mancanze. Se sarà comunque insoddisfatta, allora la Fed potrà congelare i programmi della banca.

Per altro, su Deutsche Bank arriva anche una doccia fredda da parte del Fmi che, alla luce di un'esposizione ai derivati pari a circa quindici volte il Pil tedesco, la considera la maggiore fonte potenziale al mondo di shock esterni per il sistema finanziario nel suo Financial Sector Assessment Program. Nel dettaglio, per il Fondo è "il più rilevante contribuente netto ai rischi sistemici tra le banche di rilevanza sistemica globale, seguita da Hsbc e Credit Suisse". Secondo l'istituto di Washington, inoltre, il sistema bancario tedesco pone il maggior grado di rischi di contagio esterni in proporzione ai rischi interni (seguono Francia, Regno Unito e Usa). "La Germania", si legge nel documento, "ha bisogno di studiare se i suoi piani di risoluzione delle banche sono applicabili, dal punto di vista, ad esempio, della tempestiva valutazione delle attività da trasferire, dell'accesso continuo alle infrastrutture dei mercati finanziari e dalla possibilità delle autorità di assicurare controlli su una banca con tempi di risoluzione di pochi giorni, con l'imposizione, se necessario, di una moratoria". A rendere vulnerabile l'istituto teutonico è la colossale esposizione a derivati, stimata dalla Banca dei Regolamenti Internazionali come superiore a 50 mila miliardi di dollari, una cifra pari a duemila volte la capitalizzazione di mercato dell'istituto.


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Stress test della Fed, in difficoltà Santander e Deutsche Bank
L'apporto delle banche ai rischi sistemici globali, secondo il Fmi
Tornando agli stress test della Fed, sono stati creati dopo la crisi finanziaria del 2008 e - quelli diffusi ieri e riguardanti 33 gruppi - rappresentano il secondo round di stress test dopo quelli della settimana scorsa. Quelli riguardavano i livelli patrimoniali degli istituti di credito, ben sopra il minimo considerato accettabile dai regolatori anche nel caso di una recessione ipotetica. Quelli i cui risultati sono stati diffusi ieri erano concentrati sulla gestione del rischio e appunto sulle intenzioni delle banche analizzate in materia di dividendi e buyback.

Le new entry di quest'anno erano BancWest corp, controllata della francese Bnp Paribas, e TD Group U.S. Holdings, controllata dalla canadese Dominion Bank. Tornando alle divisioni americane di DB e Santander, per la controllante tedesca si tratta del secondo anno di fila di bocciatura mentre per quella spagnola del terzo. Santander è l'unica azienda ad avere fallito gli stress test Usa per una striscia temporale così lunga. La Fed ha citato miglioramenti ma ancora "progressi insufficienti" rispetto al marzo 2015. Di conseguenza le due sussidiarie statunitensi non possono distribuire capitali alle controllanti. In generale, il verdetto degli stress test - ufficialmente chiamati comprehensive capital analysis and review - è positivo per il settore bancario Usa: è ben più solido di otto anni fa. E gli investitori hanno motivo di festeggiare, specialmente dopo il colpo subito nel post Brexit.

rassegna stampa- la repubblica - 30 giugno 2016