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domenica 18 gennaio 2015

GIÙ LE MANI DALLE BANCHE - Avvenire

GIÙ LE MANI DALLE BANCHE - Avvenire

Pagina A01Fa freddo ma forse nel patrio governo c’è chi ha avuto un colpo di sole che rischia di mettere a repentaglio la democrazia economica (e non solo quella economica) nel nostro Paese. Si attribuisce al premier Matteo Renzi una frase che suona così: «Ci sono tantissime banche e pochissimo credito, soprattutto per le piccole e medie imprese». E un’altra ancora: «Ho avuto il coraggio nel ridurre il numero dei parlamentari, non sarò di meno nel ridurre il numero dei banchieri». Parole che sono state 'tradotte' su alcuni giornali con l’intenzione di abolire il 'voto capitario', ovvero la regola una persona-un voto che vige nelle Banche popolari e nelle Banche di credito cooperativo. Ridurre il numero degli attori e aumentarne la dimensione come scorciatoia per l’efficienza. Non vogliamo crederci. Non vogliamo, cioè, credere che il presidente del Consiglio sia stato indotto a ignorare i princìpi della concorrenza, arrivando a confondere mercato e oligopoli, proprio quegli oligopoli che - come stiamo vedendo - alla fine controllano coloro che dovrebbero fare e dare regole e condizionano gli Stati… Se quelle frasi e la loro interpretazione fossero autentiche, vorrebbe dire che il capo di governo di una grande democrazia, uno dei principali leader europei, ha gettato nel cestino tutta la letteratura economica recente, quella che spiega come i sistemi finanziari siano paragonabili a 'ecosistemi'. La diversità è fondamentale, in ogni sistema, per la resilienza, per la capacità di resistere agli choc. Se restassero solo sequoie giganti, la foresta sarebbe distrutta. Una follia superficiale e giacobina (ma promossa da suggeritori interessati) contro le 'piccole banche' non solo cancellerebbe con un sol tratto di penna la biodiversità economica del nostro Paese (peraltro elemento normale del panorama finanziario in tutte le nazioni del mondo), ma darebbe un serissimo colpo alla democrazia economica e sgombrerebbe la strada a quelle grandi lobby bancarie multinazionali (ma senza visione e intenzione «universali», direbbe il Papa) che le istituzioni internazionali stanno faticosamente cercando di limitare. Una mossa incomprensibile e ingiustificabile. Tanto più alla luce delle vicende degli ultimianni.La maggiore banca dati mondiale disponibile - Bankscope - raccoglie e offre 140.660 'osservazioni' per il periodo che va dal 1998 al 2010. E i dati indicano che le banche cooperative - che seguono la regola una personaun voto che il Governo Renzi vorrebbe abolire - pur mediamente più piccole di quelle non cooperative, hanno un rapporto tra credito e totale degli attivi mediamente superiore di 5 punti percentuali rispetto alle altre banche.

I n  Italia, dove la differenza è più marcata e pari a 16 punti percentuali, le Banche di credito cooperative nel triennio 2010-2013 hanno erogato 6,3 miliardi in più di credito (contro il calo di 52 miliardi del resto del sistema).
Insomma, nella realtà accade esattamente il contrario di quanto sarebbe fiorito sulla bocca e nella testa di Renzi: sono le banche piccole, una-persona- un voto e legate al territorio, che fanno più creditoe non viceversa.Viene da pensare che qualche voce interessata possa aver suggerito all’orecchio del premier che 'grande è bello'. Noi gli ricordiamo invece che la storia finanziaria recente insegna che la crisi finanziaria globale, quella che stiamo ancora pagando, è stata causata dalle banche 'troppo grandi per fallire' e troppo complesse per essere regolate. Gli ricordiamo che sono state le grandi banche multinaziona-li, tecnicamente fallite, che hanno rischiato di trascinarci tutti nel baratro. Gli ricordiamo che sono state salvate dagli Stati con alchimie contabili (passaggio da valori di mercato a valori di libro) e che le loro scommesse sono state pagate negli anni successivi dalla finanza pubblica degli Stati, e dunque dai cittadini. E gli ricordiamo, infine, che in una recente audizione davanti alla Commissione europea è purtroppo emerso con chiarezza come quelle stesse megabanche si stiano facendo beffe della nuova regolamentazione, con requisiti di capitale formalmente ineccepibili che sono in realtà 'abbelliti' da cartolarizzazioni e metodi di rating interno a fronte di rapporti grezzi tra debito e capitale proprio che sono preoccupanti e ormai simili a quelli pre-crisi.
Prima del prossimo Consiglio dei ministri sarebbe utile che ai nostri governanti i rileggere i passi salienti del Rapporto Liikanen, curato da esperti della Ue, dove si spiega molto bene come le grandi banche aumentano i rischi sistemici e di come le banche cooperative e popolari sono invece fondamentali per il sistema e le loro crisi sono molto meno gravi perché proprio la ridotta dimensione consente che la crisi sia assorbita endogenamente dalla stessa rete che creano. Il numero e la dimensione ottimale delle banche popolari o cooperative di un sistema non è, pertanto, qualcosa da stabilire con il tratto di penna di un decreto, ma il frutto ottimale di aggiustamenti di un organismo che ha in sé già strumenti (e li sta usando)per autoemendarsi.Il vero problema, in un mondo dove mettere a disposizione denaro è diventato un’attività a basso rendimento (per via della forte concorrenza) e ad alto rischio, è che banche tese a massimizzare il profitto non hanno alcun interesse a far credito e ne fanno effettivamente sempre meno rispetto all’attività di trading o puramente finanziaria che rende di più e consente di portare più valore agli azionisti. Secondo questa impostazione, piuttosto che prestare risorse a famiglie e imprese, è meglio trasformare lo sportello in un 'emporio' dove si vende di tutto: assicurazioni, polizze, schermi piatti... Solo le banche una-persona-un-voto, quelle con vocazione specifica al credito, si dimostrano capaci di mantenere la loro mission originaria. E la questione è così lancinante che una delle voci più autorevoli del Financial Times, Martin Wolff, è arrivato addirittura a domandarsi se la banca non vada resa nuovamente pubblica per essere sottratta alla logica della massimizzazione del profitto che l’allontana dal credito. Ma questa è un’altra conclusioneesagerata. Basta molto meno. Basta lasciar perdere – se davvero sono coltivate – fantasie di riforma radicale e guardare invece ai progetti di legge di separazione tra banca commerciale (che supporta l’economia reale) e banca d’affari (che supporta la speculazione finanziaria) orientati a ricondurre il sistema bancario alla vocazione originale. Altro che abolizione del sistema capitario.
di Leonardo Becchetti

rassegna stampa: Avvenire 18 gennaio 2015
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