L'impatto della crisi sull'occupazione si è fatto sentire nel Sud Europa. In Germania, dal 2008 e alla metà del 2014 le persone al lavoro sono salite di 1,8 milioni. Allarme su giovani che non studiano né lavorano e persone a rischio di esclusione sociale
Tra il 2008 e metà 2014, in Italia sono
stati persi 1,2 milioni di posti di lavoro: si tratta del secondo paese
della Unione europea nel quale sono stati persi più posti di lavoro. E'
quanto emerge dal rapporto sull'occupazione e sviluppo della società
redatto dalla Commissione Ue. Solo la spagna ha fatto peggio, bruciando
3,4 milioni di posti di lavoro. Dopo l'Italia, la commissione cita la
Grecia che ha perso un milione di posti di lavoro su una popolazione
complessiva, però, molto più piccola. In Germania i posti di lavoro sono
aumentati di 1,8 milioni, nel Regno Unito di novecentomila.
La
Commissione nota che "i paesi che offrono posti di lavoro di elevata
qualità e un'efficace protezione sociale, oltre ad investire nel
capitale umano, si sono dimostrati quelli maggiormente capaci di reagire
alla crisi economica". Il rapporto presentato oggi a Bruxelles
sottolinea che l'impatto negativo della recessione sull'occupazione e
sui redditi "è stato più contenuto nei paesi con mercati del lavoro più
aperti e meno segmentati, e dove erano maggiori gli investimenti nella
formazione permanente", si legge nel comunicato stampa che accompagna il
rapporto. Il documento indica come esempi positivi in particolare i
paesi dove "le prestazioni di disoccupazione tendono a coprire un gran
numero di disoccupati, sono correlate all'attivazione e reattive al
ciclo economico".
Tornando ai numeri, il rapporto ricorda che dal
2008 - sebbene la disoccupazione sia sotto i picchi della crisi - ci
sono ancora 9 milioni di persone fuori dall'occupazione. L'Italia è di
nuovo citata quando si tratta di parlare di povertà ed esclusione
sociale: insieme a Grecia, Irlanda e Spagna il Belpaese è indicato come
esempio di grande crescita delle persone in difficoltà da livelli già
ragguardevoli. Un problema peculiare che divide l'Europa in Nord e Sud è
quello dei Neet, cioè dei giovani che non studiano né lavorano. Il
rapporto spiega che sono meno del 10% in Lussemburgo, Olanda, Danimarca,
Austria e Germania, mentre superano il 25% in Italia, questa volta con
Croazia, Bulgaria, Spagna, Cipro e Grecia.
La Commissione ha
messo in anche dal rischio di riduzione del numero di laureati, e dal
possibile calo del Pil, derivante da politiche di sussidi per
l'occupazione giovanile. Nel capitolo dedicato all'Italia, il rapporto
ribadisce le raccomandazioni fatte nel 2014 dalla Commissione, in cui si
esortava Roma a prendere misure per aumentare l'occupazione giovanile.
Simulando in Italia uno schema di sussidi ai giovani (in età tra i 15 e i
24 anni) sotto forma di riduzioni dei contributi, finanziato da un
aumento dell'Iva, la Commissione prevede un effetto positivo
sull'occupazione giovanile, ma non manca di sottolineare che tali misure
ridurrebbero il numero di laureati e avrebbero un effetto negativo
sulla crescita economica.
"Le paghe più elevate renderebbero
l'impiego per i giovani più attraente rispetto a un investimento
nell'istruzione terziaria," si legge nel rapporto. Questo determinerebbe
un aumento dei lavoratori meno istruiti, "con una conseguente
riduzione degli investimenti, e quindi del Pil," si legge nel rapporto,
basato su una simulazione. Tali effetti negativi potrebbero essere
ridotti da un investimento congiunto dell'Italia nei sussidi di
disoccupazione per i giovai e nell'istruzione terziaria, conclude la
Commissione.
Rassegna stampa: Repubblica 15.1.15
http://www.repubblica.it/economia/2015/01/15/news/lavoro_disoccupazione_crisi_commissione_ue-104994167/?ref=HREC1-12
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UN LABORATORIO DI PENSIERO E RIFLESSIONE FATTO DAI LAVORATORI:
il diario della crisi
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