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UN LABORATORIO DI PENSIERO E RIFLESSIONE FATTO DAI LAVORATORI:
il diario della crisi

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mercoledì 31 dicembre 2014

NON PIÚ SCHIAVI, MA FRATELLI


1. All’inizio di un nuovo anno, che accogliamo come una grazia e un dono di Dio all’umanità, desidero rivolgere, ad ogni uomo e donna, così come ad ogni popolo e nazione del mondo, ai capi di Stato e di Governo e ai responsabili delle diverse religioni, i miei fervidi auguri di pace, che accompagno con la mia preghiera affinché cessino le guerre, i conflitti e le tante sofferenze provocate sia dalla mano dell’uomo sia da vecchie e nuove epidemie e dagli effetti devastanti delle calamità naturali. Prego in modo particolare perché, rispondendo alla nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà per la promozione della concordia e della pace nel mondo, sappiamo resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità.
Nel messaggio per il 1° gennaio scorso, avevo osservato che al «desiderio di una vita piena … appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare».[1] Essendo l’uomo un essere relazionale, destinato a realizzarsi nel contesto di rapporti interpersonali ispirati a giustizia e carità, è fondamentale per il suo sviluppo che siano riconosciute e rispettate la sua dignità, libertà e autonomia. Purtroppo, la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale abominevole fenomeno, che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro e ad annientarne la libertà e dignità, assume molteplici forme sulle quali desidero brevemente riflettere, affinché, alla luce della Parola di Dio, possiamo considerare tutti gli uomini “non più schiavi, ma fratelli”.


........I molteplici volti della schiavitù ieri e oggi
3. Fin da tempi immemorabili, le diverse società umane conoscono il fenomeno dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Ci sono state epoche nella storia dell’umanità in cui l’istituto della schiavitù era generalmente accettato e regolato dal diritto. Questo stabiliva chi nasceva libero e chi, invece, nasceva schiavo, nonché in quali condizioni la persona, nata libera, poteva perdere la propria libertà, o riacquistarla. In altri termini, il diritto stesso ammetteva che alcune persone potevano o dovevano essere considerate proprietà di un’altra persona, la quale poteva liberamente disporre di esse; lo schiavo poteva essere venduto e comprato, ceduto e acquistato come se fosse una merce.
Oggi, a seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità,[4] è stata formalmente abolita nel mondo. Il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderogabile.
Eppure, malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.
Penso a tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori, a livello formale e informale, dal lavoro domestico a quello agricolo, da quello nell’industria manifatturiera a quello minerario, tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione tutela il lavoratore.
Penso anche alle condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente. Penso a quelli tra di loro che, giunti a destinazione dopo un viaggio durissimo e dominato dalla paura e dall’insicurezza, sono detenuti in condizioni a volte disumane. Penso a quelli tra loro che le diverse circostanze sociali, politiche ed economiche spingono alla clandestinità, e a quelli che, per rimanere nella legalità, accettano di vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando le legislazioni nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del soggiorno al contratto di lavoro… Sì, penso al “lavoro schiavo”.
Penso alle persone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti minori, ed alle schiave e agli schiavi sessuali; alle donne forzate a sposarsi, a quelle vendute in vista del matrimonio o a quelle trasmesse in successione ad un familiare alla morte del marito senza che abbiano il diritto di dare o non dare il proprio consenso.
Non posso non pensare a quanti, minori e adulti, sono fatti oggetto di traffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per esserearruolati come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale.
Penso infine a tutti coloro che vengono rapiti e tenuti in cattività da gruppi terroristici, asserviti ai loro scopi come combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le ragazze e le donne, come schiave sessuali. Tanti di loro spariscono, alcuni vengono venduti più volte, seviziati, mutilati, o uccisi.

Alcune cause profonde della schiavitù   
4. Oggi come ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. Quando il peccato corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simili, questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti. La persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno o la costrizione fisica o psicologica viene privata della libertà, mercificata, ridotta a proprietà di qualcuno; viene trattata come un mezzo e non come un fine.
Accanto a questa causa ontologica – rifiuto dell’umanità nell’altro –, altre cause concorrono a spiegare le forme contemporanee di schiavitù. Tra queste, penso anzitutto alla povertà, al sottosviluppo e all’esclusione, specialmente quando essi si combinano con ilmancato accesso all’educazione o con una realtà caratterizzata da scarse, se non inesistenti, opportunità di lavoro. Non di rado, le vittime di traffico e di asservimento sono persone che hanno cercato un modo per uscire da una condizione di povertà estrema, spesso credendo a false promesse di lavoro, e che invece sono cadute nelle mani delle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Queste reti utilizzano abilmente le moderne tecnologie informatiche per adescare giovani e giovanissimi in ogni parte del mondo.

.......(continua)

NON PIÚ SCHIAVI, MA FRATELLI - Papa Francesco


venerdì 26 dicembre 2014

Al mondo serve la tenerezza di Dio


La tenerezza di Dio, la sua umiltà e la sua pazienza verso gli uomini: al centro delle parole di Papa Francesco alla Santa Messa della notte di Natale, nella Basilica Vaticana. Il Papa ha sottolineato che arroganti e superbi sono incapaci di accogliere il Signore.
Gesù è il “bambino-sole che rischiara l’orizzonte sorgendo dall’alto”: è questo il miracolo che si contempla nella notte di Natale. Ma per vederlo, dobbiamo aprire il nostro cuore. Così il Papa apre la sua omelia, in una Basilica Vaticana gremita di fedeli, mentre altrettanto numerosi sono quelli che seguono la celebrazione all’esterno, attraverso i maxi-schermi allestiti in Piazza San Pietro. Ricorda, il Pontefice, che luce di Dio “penetra e dissolve la più densa oscurità”, “cancella il peso della sconfitta e la tristezza della schiavitù e instaura la gioia e la letizia”.

La pazienza di Dio nei confronti degli uomini
Violenze, guerre, odio e sopraffazione – continua il Papa – non hanno portato Dio a rinunciare all’uomo. Il Signore ha continuato ad aspettare, con pazienza: “Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto. E tutti i giorni, con pazienza. La pazienza di Dio”.

Dio umile, innamorato delle nostre piccolezze
Ma c’è anche un altro segno che connota Dio: è la sua umiltà, “l’amore con cui ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri ed i nostri limiti”.
“Il messaggio che tutti aspettavano, quello che tutti cercavano nel profondo della propria anima, non era altro che la tenerezza di Dio: Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza”.

Il mondo ha bisogno di tenerezza, bontà e mansuetudine
Ed è allora che il Papa pone al cuore dell’uomo un interrogativo: come accogliamo la tenerezza di Dio? Ci lasciamo raggiungere da Lui o gli impediamo di avvicinarsi? “La cosa più importante – ribadisce il Pontefice – è lasciare che sia Lui a trovarci, ad accarezzarci con amorevolezza”.
“Permetto a Dio di volermi bene? E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! La risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla nostra piccolezza. La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine”.

Arroganti e superbi incapaci di accogliere Dio
Tenerezza, prossimità, mitezza: questa la preghiera che dobbiamo rivolgere al Signore, continua Papa Francesco, così che possiamo vedere la sua “grande luce”, quella stessa che videro, duemila anni fa, i puri di cuore.
“La vide la gente semplice, disposta ad accogliere il dono di Dio. Al contrario, non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura”.

Eseguito l’Et incarnatus est di Mozart
Durante la celebrazione, per desiderio del Pontefice, al momento del “Credo” è stato eseguito l’ “Et incarnatus est” della Messa in Do minore di Mozart. Ad eseguirlo è stata l’Orchestra Sinfonica di Pittsburgh guidata dal direttore austriaco, Manfred Honeck. La voce solista è stata Chen Reiss, soprano di origini israeliane. Un canto struggente, che il Papa ha ascoltato in ginocchio, raccolto in preghiera.

Al termine della Messa, invece, il Pontefice ha preso tra le braccia la statua del Bambinello posta davanti all’Altare della Confessione e, in processione, l’ha portata fino al Presepe allestito in Basilica, nella Cappella della Presentazione. Ad accompagnarlo, anche dieci bambini in abiti tradizionali, provenienti da diversi Paesi del mondo: Corea, Filippine, Italia, Belgio, Libano e Siria.

rassegna stampa: Avvenire 26 dicembre 2014

martedì 16 dicembre 2014

Scende la ricchezza delle famiglie italiane: in un anno persi 123 miliardi

Secondo Bankitalia, la ricchezza netta è di 8.728 miliardi (356mila euro per famiglia), pari a quattro volte il debito italiano. Il patrimonio degli italiani è paragonabile a quello dei francesi, ma superiore a quello dei tedeschi. Pesa il calo del valore delle abitazioni (-5,1%) che non è stato sufficientemente compensato dall'aumento delle attività finanziarie. Nei portafogli, 180 miliardi di titoli di Stato

MILANO - La crisi economica sta mettendo a dura prova la solidità finanziaria delle famiglie italiane, che pure continuano a essere tra le più ricche al mondo e tra le meno indebitate. Ma il calo del valore delle abitazioni e il risparmio ai minimi termini - seppure in ripresa - stanno pericolosamente erodendo quel cuscinetto di sicurezza che si è creato in passato.

Secondo l'indagine di Bankitalia, alla fine del 2013 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 8.728 miliardi di euro, corrispondenti in media a 144.000 euro pro capite e a 356.000 euro per famiglia. Si tratta di una cifra pari a circa quattro volte il debito pubblico italiano, quotato e non, circa cinque volte e mezzo il Prodotto interno lordo tricolore.



Alla fine dello scorso anno, però, il valore della ricchezza netta complessiva è diminuito rispetto all'anno precedente dell'1,4 per cento a prezzi correnti: dal cumulo di 'beni' delle famiglie si sono  volatilizzati 123 miliardi. "La flessione del valore delle attività reali (-3,5 per cento), dovuta al calo dei prezzi medi delle abitazioni (-5,1 per cento)", spiega via Nazionale, "è stata solo in parte compensata da un aumento delle attività finanziarie (2,1 per cento) e da una riduzione delle passività (-1,1 per cento). In termini reali la ricchezza netta si è ridotta dell'1,7 per cento rispetto al 2012. Dalla fine del 2007 la flessione a prezzi costanti è stata complessivamente pari all'8 per cento".

Purtroppo il trend non si è arrestato nel corso di quest'anno: nota infatti Bankitalia che secondo le "stime preliminari, nel primo semestre del 2014 la ricchezza netta delle famiglie italiane sarebbe ulteriormente diminuita dell'1,2 per cento in termini nominali rispetto allo scorso dicembre".

Quanto alla composizione del portafoglio degli italiani, le attività reali rappresentavano il 60 per cento del totale, quelle finanziarie il restante 40 per cento. Le passività, cioè i debiti, sono inferiori a 900 miliardi di euro, e rappresentano poco più del 9% delle attività totali.

Un punto di luce nel rapporto di Palazzo Koch è dato dal fatto che nel 2013 il risparmio, dopo otto anni di diminuzioni, "è tornato a crescere, risultando pari a 46 miliardi di euro contro i 34 dell’anno precedente". Gli italiani sono però rimasti delusi dai "capital gains", cioè le variazioni o i rendimenti dei prezzi delle attività reali e finanziarie: nel 2013 sono stati negativi per 195 miliardi di euro, "per effetto del calo dei prezzi delle abitazioni e delle altre attività reali non completamente compensati dai capital gains finanziari".

Alla fine del 2013, la ricchezza abitativa detenuta dalle famiglie italiane superava i 4.900 miliardi di euro; tale valore registrava una flessione del 4,1 per cento rispetto all'anno precedente (-4,4 per cento in termini reali).

Tra le attività, quelle finanziarie si fermavano invece a 3.848 miliardi, in crescita del 2,1 per cento sul 2012. Azioni e obbligazioni private, fondi e partecipazioni in società o titoli esteri ammontavano al 43 per cento del totale, mentre la quota di titoli di Stato era pari al 4,7%, cioè ammontava a circa 180 miliardi. Sul versante delle passività, degli 886 miliardi totali la parte del leone era costituita da mutui per la casa (380 miliardi).

Guardando fuori dai confini del Belpaese, Banca d'Italia può annotare che "nonostante il calo degli ultimi anni, le famiglie italiane mostrano nel confronto internazionale un'elevata ricchezza netta, pari nel 2012 a 8 volte il reddito lordo disponibile; tale rapporto è comparabile con quelli di Francia, Giappone e Regno Unito e superiore a quelli di Stati Uniti, Germania e Canada. Il rapporto fra attività reali e reddito disponibile lordo, pari a 5,4, è inferiore soltanto a quello delle famiglie francesi; relativamente basso risulta il livello di indebitamento (81 per cento del reddito disponibile), nonostante i significativi incrementi dell'ultimo decennio".




 
rassegna stampa: Repubblica 16.12.2014


giovedì 11 dicembre 2014

L'Italia nella trappola dell'usura

La crisi economica ha trascinato impiegati e pensionati nella rete degli strozzini. È la prima volta e i numeri del fenomeno sono impressionanti. Nella sola Emilia Romagna (una delle regioni più colpite) le denunce nell'ultimo anno sono aumentate del 200%. Ribellarsi però non è facile e chi sceglie di farlo rischia di trovare la strada sbarrata dalle norme bancarie.




Indebitarsi per battere la crisi


Dalle botte alla denuncia, la rinascita di Mario
"Diventiamo vittime per il tenore di vita"
Un prestito per lo smartphone
 

ROMA - Il ceto medio è sotto usura. Impiegati, liberi professionisti, ma anche pensionati: la crisi morde e a rivolgersi agli strozzini non sono più solo gli imprenditori o i giocatori d'azzardo. Negli ultimi cinque anni il 52 per cento dei soggetti che si sono rivolti agli ambulatori della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura (Fai) dislocati sul territorio nazionale sono persone con un reddito fisso, le famiglie della porta accanto. Un fenomeno in crescita specie al Nord, terra di conquista delle mafie. "Quando è arrivata la crisi - spiega il coordinatore della Fai, Luigi Ciatti - il sistema di assistenza non si è fatto trovare pronto. E ancora oggi su 33 associazioni iscritte negli elenchi del ministero dell'Economia e deputate a  gestire i fondi di prevenzione, solo sei agiscono dalla Toscana in su".

I dati più recenti del Viminale, relativi al 2013, sono eloquenti.  In Emilia Romagna i reati di usura sono aumentati del 219 per cento (schizzando dai 21 del 2011 ai 67 nel 2013, con 31 denunce e 43 vittime accertate). Stesso discorso per la Lombardia, dove imperversa la criminalità organizzata e il numero delle denunce è cresciuto del 54 per cento (da 48 nel 2011 a 74 nel 2013 ). Allarme rosso anche nel Lazio: lì gli arresti nell'ultimo anno sono incrementati di oltre il 20 per cento rispetto al biennio precedente. A livello generale, in Italia il fenomeno si è espanso e i reati riscontrati dalle forze dell'ordine sono cresciuti del 30 per cento (da 352 del 2011 ai 450 del 2013). Numeri che fotografano purtroppo solo la punta dell'iceberg, visto che, come è comprensibile, solo una minoranza tra le vittime trova il coraggio di denunciare i propri carnefici. Inoltre sono sempre di più le donne che rischiano di soffocare nelle spire degli strozzini. Nel Lazio il numero è addirittura superiore a quello degli uomini: 617 contro 598 nel 2013.


rassegna stampa: Repubblica 
 http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/11/25/new/l_italia_nella_trappola_dell_usura-101394338/

 

venerdì 5 dicembre 2014

Il Censis e l'Italia: "Famiglie e imprese bloccate dalla paura del futuro"

Un aumento più che consistente del risparmio testimonia i timori degli italiani: il 60% teme di poter diventare povero da un momento all'altro. De Rita: "Questo Paese ha il capitale, ma non lo sa usare". Alla politica: "Orienti le aspettative". Forte aumento dei Neet e della disoccupazione giovanile, aumentano le disuguaglianze, eppure l'Italia ancora piace: 200 milioni nel mondo parlano la nostra lingua.


"Questo è un Paese che ha capitale, e non lo sa usare - dice il presidente del Censis, Giuseppe De Rita - E' il Paese del capitale inagito". Non solo per le famiglie, anche per le imprese, che non investono più: gli investimenti nel 2013 hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi 13 anni. Nello spreco di otto milioni di persone che non lavorano, di un patrimonio culturale che non viene utilizzato. "Questo capitale inagito è la cosa più angosciante che c'è in Italia", lamenta De Rita, che cita le parole del frate francescano Bernardino da Feltre: "Moneta potest esse considerata vel rei vel, si movimentata est, capitale", solo la moneta movimentata diventa capitale. Il presidente del Censis fa appello alla politica, perché ridiventi "arte di guida", immedesimandosi nuovamente nello Stato e recuperando la reputazione persa. Alla politica non tocca tanto la gestione del potere, quanto l'orientamento delle aspettative del Paese: "Nessuno più sa orientare le aspettative, eppure tutto nasce da un'aspettativa".

Senza aspettative, rimane solo "un adattamento alla mediocrità: si regge. Due tre anni fa alla domanda come va si rispondeva ancora 'stiamo malissimò - ricorda De Rita - adesso abbiamo preso atto che la ripresa non c'è, non c'è neanche la ripresina, quindi reggiamo. Rimane la solitudine del singolo, che non sa dove andare. Si è liquefatto il sistema: stiamo diventando non tanto una società liquida o molecolare, ma una società profondamente asistemica". Che si deteriora di giorno in giorno: "Il rischio è che l'attuale deflazione economica si trasformi in deflazione delle aspettative, che porta all'attendismo e al cinismo, alla solitudine e allo sfilacciamento dei legami comunitari", osserva il direttore della comunicazione del Censis, Massimiliano Valerii, che quest'anno ha presentato per la prima volta la sintesi del rapporto.

Famiglie "liquide" e strategie di evasione. E' singolare che in un Paese in recessione per la terza volta in sei anni contanti e depositi bancari possano aumentare, eppure è così, più 4,9% tra il 2007 e il 2013. Il 44,6% delle famiglie destina il proprio risparmio  alla copertura da possibili imprevisti. In più, il contante è anche lo strumento preferito per quella che il Censis chiama "l'immersione difensiva degli italiani": il nero, il sommerso, l'evasione e l'elusione fiscale. La spesa pagata in contanti dalle famiglie italiane, le ultime in Europa per l'utilizzo dei sistemi di pagamento elettronici, si può stimare in circa 410 miliardi di euro, il 41% del totale.

I giovani: il grande spreco. I 15-34enni costituivano già prima della crisi il 50,9% dei disoccupati, ma adesso sono arrivati a quota 75,9%. In forte aumento anche i Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non svolgono attività di formazione, passati dai 1.946.000 del 2004 ai 2.435.000 del 2013. I giovani sono anche la maggior parte dei sottoinquadrai, orami il 19,5% degli occupati. Nel 2004 era occupato il 60,5% dei giovani, nel 2012 era occupato il 48%: in meno di dieci anni sono scomparsi oltre 2,6 milioni di occupati, con una perdita di oltre 142 miliardi di euro che si ripercuote drammaticamente già adesso sul sistema di welfare. Per chi lavora i salari sono bassissimi: di 4,7 milioni di giovani che vivono per conto proprio, oltre la metà ricevono un aiuto economico dai genitori.

E lo spreco del patrimonio culturale. L'Italia non spreca solo le sue energie umane migliori, ma anche un patrimonio culturale che pone il nostro Paese al primo posto nella graduatoria dei siti Unesco. Se ne occupano infatti solo 304.000 lavoratori, l'1,3% del totale, la metà di quelli degl Regno Unito (755.000) e della Germania (670.000), ma molto meno anche dei 409.000 della Spagna. I risultati sono evidenti in termini economici: nel 2013 il settore della cultura produceva un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro, contro i 35 miliardi di euro della Germania e i 27 della Francia. Calano anche i consumi culturali interni, visto che gli italiani sono costretti a tagliare su tutto: la quota di chi è andato a visitare un museo o una mostra è passata dal 30,1% del 2010 al 25,9% del 2013, mentre quella di chi ha visitato siti archeologici e monumenti dal 23,2% al 20,7% e di chi ha assistito a uno spettacolo teatrlae dal 22,5% al 18,5%.

Cosa conta davvero nella vita.
Non c'è da stupirsi di come, in una società così spaventata, impoverita e ripiegata su se stessa gli italiani siano particolarmente cinici nel rispondere alla domanda su quali siano i fattori più importanti per riuscire nella vita. L'intelligenza raccoglie solo il 7% delle risposte, il valore più basso dell'Unione Europea. All'istruzione va meglio perché viene indicata dal 51% contro però l'82% della Germania e il 63% della media europea, mentre il lavoro duro conta per il 46% degli intervistati contro il 74% del Regno Unito. Superiamo gli altri Paesi quando si arriva alle conoscenze giuste (indicate come fattore chiave dal 29% degli italiani contro il 19% dei britannici), alla provenienza da una famiglia benestante (20% contro il 5% indicato dai francesi).

L'aumento delle distanze e della disuguaglianza. Con la crisi le distanze tra le aree del Paese si sono acutizzate. Così, se il tasso di occupazione della fascia 25-34 anni a Bologna è il 79,3%, a Napoli si ferma al 34,2%, mentre la quota di laureati passa dall'11,1% di Catania al 20,9% di Milano e la quota di persone che non pagano il canone Rai passa dal 58,9% ancora una volta di Napoli al 26,8% di Roma.

L'ascesa degli immigrati. Gli immigrati sembrano affrontare la crisi meglio degli italiani. Negli ultimi sette anni infatti le imprese con titolare extracomunitario sono aumentate dle 31,4% mentre quelle gestite da italiani sono diminuite del 10%. Diffusissimi i negozi di alimentari gestiti da stranieri, soprattutto quelli di frutta e verdura, che a fine 2010 rappresentavano il 10% del totale. Vi fanno la spesa, almeno qualche volta, 33 milioni di italiani. Bene anche le imprese artigiane, cresciute del 2,9% negli ultimi due anni contro il calo del 4,5% di quelle italiane.

Eppure l'Italia ha ancora appeal.
In questo panorama desolante, il Censis ha raccolto alcuni dati che testimoniano la persistenza di un certo fascino del "modello Italia" all'estero. Siamo la quinta destinazione turistica al mondo con 186,1 milioni di presenze turistiche straniere nel 2013 e 20,7 miliardi di euro spesi, con un aumento del 6,8% rispetto al 2012. L'export del Made in Italy è aumentato del 30,1% in termini nominali tra il 2009 e il 2013. E poi, forse il dato più stupefacente, 200 milioni di persone parlano la nostra lingua nel mondo.

rassegna stampa: Repubblica 5.12.2014
http://www.repubblica.it/economia/2014/12/04/news/rapporto_censis-102141895/



giovedì 4 dicembre 2014

Wall Street brinda al flop di Obama

Wall Street brinda al flop di Obama

Ma il vero problema è che i mercati finanziari hanno raggiunto una dimensione incontrollabile. Si ricomincia a parlare di rischio sistemico... 
La crisi finanziaria ha indebolito la capacità di governo della politica proprio in ambito economico e ha trasferito sulle Banche Centrali il compito di attuare le policy per cercare di uscire dalla
crisi, investendo tali istituti di un ruolo di supplenza. Gli interventi monetari non convenzionali di “espansione quantitativa” ne sono la prova più evidente.
In particolare in questi anni di grave crisi economica, il trend positivo dei mercati finanziari, sempre più scorrelato dall’andamento dell’economia reale, ha svolto un ruolo “quasi di compensazione” socialmente utile. I risultati positivi dei portafogli investiti nei mercati finanziari hanno infatti rassicurato in parte i consumatori. Inoltre i mass media non hanno avuto un’ulteriore occasione per enfatizzare la crisi con grida di allarme sull’andamento delle Borse.  

...Ma soprattutto il vero problema è che i mercati finanziari hanno raggiunto una dimensione tale da divenire incontrollabili. Inoltre l’applicazione in essi di tecnologie avanzate li rende ulteriormente
vulnerabili. Il mercato obbligazionario valeva 70.000 miliardi di dollari nel 2007 e ne vale ora oltre 100.000 miliardi. I derivati ammontano a 691.000 miliardi.  Se si sommano Borse e valute si arriva a
cifre impensabili.

martedì 2 dicembre 2014

Il paradosso delle due Italie: ricchezza privata record (a 4mila miliardi) e debito pubblico ai massimi

Vista così sono due Italie. Due mondi che non si parlano, o meglio stanno agli antipodi. Nel 2014 la ricchezza finanziaria detenuta dalle famiglie italiane toccherà i suoi massimi storici, superando i livelli del 2006-2007, gli anni pre-crisi. Questo mentre il Paese sfiora la sua terza recessione, con la disoccupazione ai picchi assoluti e il debito pubblico che continua a inannellare nuovi record. Due Italie, quella pubblica con i conti sempre in bilico, e quella privata sempre più ricca.
 
La ricchezza in titoli e contanti sfiora i 4.000 miliardi
Un paradosso vero? Eppure è così. Già a marzo di quest'anno secondo quanto rileva un rapporto dell'Ufficio studi di Bnl, c’è stato il sorpasso. La ricchezza mobiliare (conti correnti, azioni, titoli di Stato, polizze, fondi comuni) delle famiglie italiane è salita a 3.858 miliardi, battendo il precedente record di 3.738 miliardi del 2006 e crescendo di 400 miliardi dal 2011. E di certo il record è destinato a incrementarsi. Basti il dato sul risparmio gestito che ha toccato anch'esso il suo record di sempre sfondando quota 1.500 miliardi lo scorso mese. Certo buona parte dell'incremento è da attribuire alle performance di azioni, bond, fondi comuni. Con gli asset finanziari in continua progressione di valore dal 2009 in poi, il patrimonio investito non ha fatto che incrementarsi. Ma una parte significativa è nuova liquidità messa a fruttare.
 
110 miliardi di nuovi flussi in 10 mesi nel risparmio gestito
Ancora i dati dell'industria del risparmio gestito dicono che la raccolta netta cioè il saldo attivo dei nuovi flussi di denaro investito è stato nei primi 10 mesi del 2014 di ben 110 miliardi. C'è capitale disponibile che non viene speso, non viene immesso nel circuito dell'economia reale, ma viene messo da parte, immobilizzato per mesi se non per anni. Produce, finché le borse e i bond salgono, un poderoso effetto ricchezza che si cumula. Ecco il paradosso.
 
Ricchezza ineguale: il 10% degli italiani ne possiede il 50%
L’Italia non cresce da decenni, il Pil viaggia stentatamente con percentuali di zero virgola e il debito pubblico ha superato i 2000 miliardi. Una cifra imponente quella del debito pubblico che è però solo la metà dell'intera ricchezza finanziaria posseduta dagli italiani. Che, letta così, appaiono popolo ricco, quanto meno rispetto ai concittadini europei. Questo appare evidente – rileva lo studio di Bnl – passando dai valori aggregati a quelli pro-capite. Alla fine di marzo, ciascun italiano deteneva in media poco più di 65mila euro di attività finanziarie. I francesi e i tedeschi si fermavano ad una disponibilità media pro-capite pari a circa 63mila euro, gli spagnoli si dovevano accontentare di 40mila euro. Ma le medie sono ingannevoli, sono come i polli di Trilussa. Gli osservatori più attenti fanno notare che la distribuzione della ricchezza è affatto omoegenea. Molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza, mentre poche famiglie dispongono di patrimoni molto elevati. In Italia il 10% più ricco della popolazione detiene il 50% della ricchezza complessiva. Di quei quasi 4.000 miliardi di patrimonio sui conti correnti, nei fondi comuni, nelle polizze, impiegati in Borsa e in Btp ben 2.000 miliardi sono appannaggio di 2 milioni di famiglie italiane sui 20 milioni di nuclei familiari. Ricchezza tanta ma ineguale, quindi. Sta di fatto che capitale investito in titoli e contanti per oltre due volte il Pil e per il doppio del debito pubblico italiano dice che ci sono davvero due Italie. Quella che lotta ogni anno con Bruxelles per far quadrare i conti pubblici a livello europeo e quella che ha passato indenne la crisi.
 
L'Italia non spende ma accumula
Anzi si è arricchita e continuerà ad arricchirsi se i mercati finanziari continueranno a crescere. Ma questo dualismo dice che l'Italia delle famiglie con grandi disponibilità non spende, accumula per il futuro. Un segno di sfiducia che si legge nelle statistiche sui consumi interni che languono da anni. Chi non ce la fa spende sempre meno e intacca i pochi risparmi per sopravvivere. Chi ha mezzi ingenti, risparmia sempre di più. Per un futuro che, si sa, è denso di incognite per l'Italia pubblica.

rassegna stampa: Il sole 24 Ore 30.11.2014
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-11-30/il-paradosso-due-italie-ricchezza-privata-record-a-4mila-miliardi-e-debito-pubblico-massimi-171629.shtml