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martedì 24 maggio 2016

Lavoro, in Italia il record europeo degli "scoraggiati"

 





I numeri Eurostat: nella Penisola ci sono 3,55 milioni di persone che non cercano lavoro, pur essendo disponibili a lavorare, o lo cercano ma non sarebbero immediatamente pronti a svolgere mansioni



 MILANO - Un "serbatoio" di lavoratori da 3,55 milioni di persone. Sono in gran parte "scoraggiati", italiani tra i 15 e i 74 anni che non hanno fatto un tentativo di cercare un lavoro, o che - in minima parte - hanno cercato lavoro ma non si sono dichiarati immediatamente disponibili a svolgere mansioni. Secondo le statistiche ufficiali di Eurostat, nessuno come l'Italia registra un esercito tanto folto di persone che restano ai margini del mercato del lavoro, non indossando la casacca di occupati e neppure quella di persone in cerca di occupazione.

 I numeri sono stati pubblicati in settimana dall'ufficio statistico europeo e il grafico mostra chiaramente come l'Italia si distanzi dagli altri Paesi. Nel complesso dell'Unione, infatti, ci sono 11,4 milioni di lavoratori potenziali, un quarto dei quali risiede tra le Alpi e la Sicilia. In Germania, giusto per fare il raffronto con i primi della classe, i lavoratori potenziali sono solo un milione, il 2,4% della forza lavoro complessiva contro il 14% italiano. Il bacino si divide in due gruppi: chi è disponibile a lavorare, ma non lo cerca, e chi cerca ma non è immediatamente disponibile. Il primo sottogruppo è generalmente più ampio del secondo e questo avviene in maniera rilevante in Italia, a testimoniare una maggior incidenza di scoraggiati (senza dimenticare il 'sommerso'). Per altro, si tratta di un esercito di persone che se si riversasse improvvisamente alla ricerca di lavoro, non trovando sbocchi, innalzerebbe sensibilmente i valori del tasso di disoccupazione, che sta lentamente scendendo.

Già altri studi, per esempio del Bruegel, indicavano come la crisi avesse esacerbato il problema tra i giovani: l'Italia vanta il poco gioioso primato dei Neet, ragazzi che non sono né al lavoro né agli studi. Eurostat ha invece quantificato che negli anni della crisi (2008-2015) sono cresciute, nel Vecchio continente, il numero di persone che non hanno cercato lavoro pur volendolo (+1,8 milioni), che aggiungono il già duro trend di crescita dei disoccupati (+6,1 milioni).
 
PAESE Disponibile ma non cerca Cerca ma non disponibile subito Forza potenziale totale % di donne % sulla forza lavoro 15-74
Forza lavoro aggiuntiva potenziale, 2015. Fonte Eurostat
UE 9 255 2 184 11 440 57% 4.7%
Belgio 86 54 139 53% 2.8%
Bulgaria 215 23 238 46% 7.1%
Rep. Ceca 49 16 65 57% 1.2%
Danimarca 44 21 65 47% 2.2%
Germania 533 476 1 009 52% 2.4%
Estonia 28 3 31 56% 4.5%
Irlanda 23 13 36 45% 1.7%
Grecia 100 41 141 66% 2.9%
Spagna 949 220 1 169 65% 5.1%
Francia 674 305 979 53% 3.3%
Croazia 162 12 174 56% 9.2%
Italia 3 451 104 3 555 60% 14.0%
Cipro 20 3 22 61% 5.3%
Lettonia 43 5 49 53% 4.9%
Lituania 13 11 23 46% 1.6%
Lussemburgo 14 8 22 55% 7.8%
Ungheria 145 9 154 50% 3.4%
Malta 2 : : : :
Olanda 344 156 500 54% 5.6%
Austria 161 40 201 50% 4.6%
Polonia 559 103 662 56% 3.8%
Portogallo 260 23 283 58% 5.5%
Romania 357 : : : :
Slovenia 25 -4 29 55%) 2.9%)
Slovacchia 56 14 70 56% 2.5%
Finlandia 141 65 206 48% 7.7%
Svezia 123 109 231 51% 4.4%
Uk 681 344 1 024 54% 3.1%
Islanda 8 2 10 56% 5.0%
Norvegia 72 24 96 47% 3.5%
Svizzera 186 55 241 60% 5.0%
Macedonia : 7 : : :
Turchia 1 824 62 1 886 58% 6.4%

Il rapporto di Eurostat non si è limitato a indagare il fenomeno della forza lavoro potenziale, ma ha altresì registrato il numero di lavoratori part-time sotto-occupati, cioè che avrebbero volentieri rimpinguato il loro orario di lavoro. Gli europei a tempo parziale sono 44,7 milioni, due su dieci occupati, e di essi sono ben 10 milioni quelli che la statistica considera forzatamente in quella condizione: quasi un quarto (22,4%) di tutti i lavoratori a tempo parziale e il 4,6% del totale degli occupati. Il problema affligge in modo particolare le donne, che sono i due terzi dei sotto-occupati a tempo parziale. Almeno in questo caso, l'Italia non spicca per i suoi numeri: i sotto-occupati sono 748 mila, il 3,3% degli occupati.
 
PAEASE Part-time sotto occupati (in migliaia) % di donne % sul totale degli occupati
UE 10 005 66% 4.6%
Belgio 169 71% 3.7%
Bulgaria 26 53% 0.9%
Rep. Ceca 30 70% 0.6%
Danimarca 66 64% 2.4%
Germania 1 553 72% 3.9%
Estonia 8 67% 1.3%
Irlanda 111 54% 5.7%
Grecia 244 54% 6.8%
Spagna 1 523 67% 8.5%
Francia 1 630 73% 6.2%
Croazia 43 51% 2.7%
Italia 748 60% 3.3%
Cipro 33 55% 9.2%
Lettonia 27 65% 3.0%
Lituania 23 64% 1.7%
Lussemburgo 6 75% 2.5%
Ungheria 68 55% 1.6%
Malta 4 56% 2.3%
Olanda 563 65% 6.8%
Austria 182 73% 4.4%
Polonia 322 63% 2.0%
Portogallo 240 63% 5.3%
Romania 268 33% 3.1%
Slovenia 31 64% 3.4%
Slovacchia 58 54% 2.4%
Finlandia 99 62% 4.1%
Svezia 213 65% 4.4%
Uk 1 718 64% 5.6%
Islanda 10 65% 5.2%
Norvegia 77 68% 2.9%
Svizzera 304 74% 6.6%
Macedonia 15 32% 2.1%
Turchia 317 35% 1.2%
 

mercoledì 4 maggio 2016

Anche il fondo norvegese contro i maxi stipendi dei manager



Il fondo sovrano alimentato con i proventi del petrolio è uno dei maggiori investitori al mondo. Fino ad ora, la sua presenza in molte aziende è stata "discreta". Ora il cambio di bassa: basta remunerazioni inappropriate

MILANO - Nelle loro torri dorate, i grandi manager dell'economia e della finanza globale probabilmente stanno iniziando a percepire un po' di pressione sulle loro buste paga: il Fondo sovrano norvegese, uno dei maggiori al mondo con i suoi 870 miliardi di dollari di potenza di fuoco (grazie ai proventi dal petrolio), vuole mettere pressione alle società nelle quali è presente perché ci sia maggior attenzione nella distribuzione di bonus e stipendi agli alti dirigenti.

Fino ad ora, il Fondo scandinavo ha assunto una posizione "passiva" nelle società delle quali è diventato azionista; soprattutto in tema di remunerazioni, visto che la situazione scandinava è diversa da quella di Usa o Uk e gli stipendi apicali sono meno pesanti, mentre le differenze con i livelli più bassi molto più sottili. Negli ultimi tempi è diventato più attivo per quanto riguarda le tematiche di governance, cioè la scelta dei componenti del cda. Il cambio di passo che allarga l'attenzione anche ai salari, nota il Financial Times, dovrebbe richiamare l'attenzione di molte le società, visto che la massa di denari a disposizione del fondo potrebbe virtualmente essere azionista all'1,3% di tutte le società quotate del mondo. Quindi il potenziale di pressione, da parte del Fondo, c'è tutto.

Il fatto non è certo isolato. Gli azionisti si stanno mostrando sempre più intransigenti verso gli schemi di remunerazione dei manager. In particolare, il livello d'attenzione si sta sollevando nel Regno Unito. Gli investitori che detengono il capitale di Weir Group, ad esempio, solo la settimana scorsa hanno bocciato il piano di pagamento dei manager con una maggioranza in assemblea del 72%. Lo scorso mese è successa una piccola rivoluzione in Bp, quando la fetta maggiore dell'assemblea ha respinto la porposta di far salire del 20% la paga del ceo Bob Dudley. In quell'occasione, però, il fondo aveva votato in favore. Era stato contrario alla politica di remunerazione di Anglo American, ma sostenendo che ci fosse un problema strutturale visto che sarebbero state assegnate troppe azioni ai manager. Ora, secondo quanto sostiene il numero uno del Fondo, Yngve Slyngstad, al quotidiano della City, l'intendimento è di stoppare ogni proposta di remunerazione che sia a un livello non appropriato. Non più, quindi, solo questioni di forma o strutturali, ma anche di sostanza e quindi di peso dell'assegno.
 
rassegna stampa: la repubblica 2 maggio 2016