Hanno in portafoglio il 38 per cento di Piazza Affari. E sono ormai al capolinea patti storici e salotti buoni. Sono loro i maggiori azionisti di Generali, Unicredit, Intesa SanPaolo e di molte altre blue chip
MILANO - Un manipolo di vedove scozzesi, preti presbiteriani e combattivi maestri dell'Illinois sta ridisegnando in questa primavera 2014 la mappa del potere economico di Piazza Affari.La borsa tricolore è stata per quarant'anni una riserva di caccia con due soli protagonisti: i salotti buoni - un groviglio di patti di sindacato e partecipazioni incrociate tra banche e famiglie incaricato di gestire gli affari dei soliti noti - e le aziende di Stato.
Oggi il vento è cambiato. Gli ex-poteri forti, fiaccati dallo sfarinamento delle dinastie industriali, dai prestiti in sofferenza e dalla crisi, sono a corto di quattrini. E in virtù dell'aurea legge ("Articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto") coniata da Enrico Cuccia, il deus ex machina di questo mondo, il listino milanese ha trovato il suo nuovo padrone: i grandi fondi esteri.